Non c’è occasione sociale, professionale o privata, in cui io non faccia presente di essere cacciatore. Sì, me ne vanto.
E cerco di parlare della caccia con la stessa naturalezza con cui converserei di automobili, calcio o politica. Con un vantaggio: io, noi, la caccia la conosciamo più di ciascuno dei nostri interlocutori.
E di questo vantaggio dobbiamo sempre approfittare per diffondere i valori, veri e spesso sconosciuti, della nostra passione. E’ chiaro: nel rispetto delle opinioni altrui. Normalmente si parte dal generico toccando un tema che coinvolge tutti coloro che hanno una seconda casa in campagna: i cinghiali. Credo che il cinghiale possa oggi rappresentare una svolta per far comprendere quanto la caccia possa essere utile, e non solo dilettevole.
Nei confronti del cinghiale, anche chi non ha mai nemmeno visto un fucile, sembra avere alcuna pietà: "Vieni a casa mia, aiutami a toglierne di mezzo un po’. Mi hanno devastato il giardino…".
La richiesta, scherzosa ma non troppo, è quasi sempre inevitabile. E allora, conoscendo ormai il meccanismo, colgo la palla al balzo per spiegare che la caccia è cosa seria e severamente regolamentata.
Che non si gira per boschi a tirare a destra e a manca a tutto ciò che si muove come certi Pecorari Scani del passato e del recente vorrebbero far credere. E racconto di come si svolge una battuta. I tracciatori, la muta, i canai, la lestra, i diversi tipi di abbaio, la fatica, la macellazione, la divisione della carne, la gioia, l’incazzatura, la stanchezza, il ritorno.
E gli interlocutori ti ascoltano a bocca aperta. Partono domande a raffica. E allora mi scateno. Racconto dei cacciatori che puliscono i sentieri. Dei cacciatori che portano fieno agli animali anche quando la neve è alta due metri. Dei cacciatori che organizzano bellissime feste campestri.
Spiego che il capriolo non ha il grugno del cinghiale ma può essere altrettanto dannoso per le colture e i giardini. E lo stesso il daino. E allora ti dicono, “Si, ma poverini”. E allora se sei a tavola gli spieghi che il filetto che stanno mangiando non apparteneva a un vitello morto d’infarto.
Ma che magari quel vitello ha vissuto tutta la sua breve vita dentro una stalla, senza vedere mai la luce del sole, senza calpestare un filo d’erba. E così il branzino, nato solo per morire insieme a miliardi di polli e di maiali fatti a pezzi e messi sugli scaffali dei supermercati.
A quel punto l’etica degli interlocutori vacilla. Capiscono che hanno vissuto tra convinzioni frutto solo di luoghi comuni. E allora calo l’asso e sbalordisco con questa frase, che non ricordo più dove ho letto ma mi piace pensare che abbia scritto Mario Rigoni Stern anche se magari non è così: La caccia è una bellissima giornata all’aria aperta con il tuo cane.
Uccidere è solo un fatto incidentale.
Maurzio Donelli
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