DOVE VA LA CACCIA. INCHIESTA BIGHUNTER.IT
Dove va la caccia? In un epoca così tumultuosa come la nostra, anche la caccia, l'attività più antica dell'uomo, è soggetta a volte a rapidi mutamenti. Sull'argomento, ognuno di noi ha le sue idee, legittime, ma a volte singolari perchè frutto di esperienze e riflessioni del tutto soggettive. Nei limiti di queste singolarità, abbiamo voluto fare il punto con alcuni dei nostri testimonial, sicuramente portatori di opinioni avvalorate da competenza ed esperienza sul campo. Alle quali, come sempre, Bighunter.it invita ad apporre i vostri preziosi commenti.
Massimo Marracci è un migratorista convinto. Con particolare predilezione per la caccia ai turdidi e al colombaccio. Esse appartengono alla storia e alla tradizione della sua famiglia paterna toscana e sono quelle che ha conosciuto, vissuto, apprezzato, sin da bambino. Negli ultimi venti anni non ha cambiato il tipo di caccia: ha cercato invece di affinare sempre più le sue forme preferite. Ad esempio la caccia agli acquatici, che dai primi anni di semplice posta sul far dell’alba lungo le traiettorie antelucane, ha man mano avuto la possibilità e la fortuna di sperimentare in molti ambienti umidi, dalle tese in campagna ai laghi prealpini, dalle valli bolognesi a quelle romagnole e, recentemente, a quelle venete. Ha però affiancato ad esse altre forme che ho voluto sperimentare per maggiore completezza tecnica e culturale, dalle quali ho ricavato intense sensazioni. Ad esempio la caccia alpina al forcello col cane da ferma sulle montagne del Piemonte; la braccata al cinghiale nella paterna Toscana; l’abilitazione al censimento e prelievo selettivo degli ungulati, conseguita nel 2008, che è stata per ora l’ultimo anelito di novità. "Ma datemi un palco alle palombe - dice - o un capanno a cesene e sasselli alle pasture e mi vedrete tornare bambino!".
Di aneddoti o racconti, come tutti i cacciatori, ne ha a decine. Ne ricorda uno, ancora è vivissimo nella memoria. "Nell’ottobre 2000 mi trovavo in Svezia inviato da Diana per un servizio sulla caccia all’alce con le nuove (allora) ottiche a punto rosso Aimpoint e le nuove (allora) carabine R93 Blaser. Durante una battuta nelle sterminate foreste di aghifoglie, piazzato su di un’altana dinnanzi al bosco, mi venne incontro come una palla di cannone un maschio di cedrone frullato davanti alla linea dei battitori, sorvolandomi sibilando due metri sopra il cappello. Potei ammirarlo per alcuni istanti in tutta la sua possanza e magnificenza: un vero quadrimotore! Questo per me primo – e purtroppo ultimo – incontro con il più grande tetraonide europeo, è stata un’esperienza veramente emozionante, benché fulminea. È come se ci fossimo guardati negli occhi e quelle pupille scure piene di boschi, foschie, licheni e nordici silenzi, non le ho più dimenticate".
Ha la licenza di caccia dal febbraio 1986, ossia dalla stagione dei referendum abrogativi che in ultima analisi hanno condotto, tra l’altro, alla legge 157. "Ciò che è cambiato nel trinomio “cacciatori-ambiente-società” - afferma con convinzione - è stata l’espulsione virtuale dei cittadini-cacciatori dalla società, poiché considerati non più facenti parte di essa o perlomeno facenti parte di un passato buono solo per essere dimenticato. Questo, naturalmente, a causa dell’azione di logoramento quotidiano condotta da certo ambientalismo con l’appoggio dei grandi media cui, in anni assai più recenti, si sono aggiunti gli animalisti e i vegani, tra i peggiori fanatici in circolazione nel mondo contemporaneo".
Parte della responsabilità, non ha remore a confermarlo, è stata anche del mondo venatorio, che si è arroccato invece di farsi propositivo e “attaccare” con idee nuove: anzi, peggio ancora, dilapidando tempo, risorse e credibilità nelle lotte intestine per la “corsa alla tessera”, uno degli aspetti più deleteri di tutte le vicende della caccia in Italia. "Sarei persino dell’idea - dichiara con coraggio - di abolire la famosa addizionale che la legge 157 destina per ciascun socio alle associazioni venatorie riconosciute, perché in tal modo cominceremmo con l’eliminare parte del problema. Sia chiaro però che di idiozie ne fanno pure le associazioni non riconosciute: sembra proprio - conclude - una patologia inguaribile della categoria".
Gli ambienti che frequenta - secondo lui - sono purtroppo assai mutati nel giro di pochi decenni. Il principale problema che impatta su tutto il territorio nazionale, benché con differenze e sfumature più o meno accentuate, è il consumo di suolo. Si tratta di un nemico subdolo, cui la gran parte della popolazione sembra essere indifferente, forse considerandolo un male necessario a vantaggio di lavoro e benessere. Invece è un cancro, che espande le proprie metastasi a danno di tutti: fauna selvatica, flora spontanea, agricoltura e, ovviamente, esseri umani. "Mi piacerebbe - chiosa - che i cacciatori, che spesso si vantano di essere i “primi ambientalisti” senza però fare granché di concreto per dimostrarlo, fossero in prima fila contro questo potentissimo avversario, nemico della qualità della vita di tutti noi e prima causa della perdita di biodiversità. La battaglia contro il consumo di suolo, oggi non dovrebbe essere vista come azione da sovversivi, bensì come opera di cittadini consapevoli e dotati di coscienza critica".
Anche la caccia, secondo lui, come ogni attività umana, si sta senza dubbio trasformando. Tradizione e innovazione si mescolano continuamente fra loro. Una discreta quantità di giovani sta tornando alla caccia, pur senza riuscire a colmare le “perdite” tra i ranghi dei più anziani e questo ritorno a suo avviso farà solo bene alla nostra passione. Se poi questi ragazzi fossero valorizzati anche nel mondo associativo, sarebbe una bella prova di maturità della categoria. Del resto, la capacità di adattamento è indispensabile alla sopravvivenza: chi non si adatta, perisce e scompare. "Attenzione però - ammonisce - a non incentivare, per questo motivo, gli scontri fra praticanti forme di caccia diverse: tutto ciò che le vigenti normative consentono di fare, è legittimo e deve avere i propri spazi. Si rifugga cioè dalla tentazione – diffusa tra non pochi cacciatori – di ritenere politically correct solo ciò che è nuovo, rottamando tutto il resto". Tuttavia, Marracci ha ancora una discreta fiducia nel futuro e nelle prospettive che ci attendono. È però fondamentale che il cacciatore italiano, accanto alla fiamma fondante della passione, si evolva e lo mostri pubblicamente. Il cacciatore oggi è atteso da ruoli di primo piano: operatore faunistico per il controllo delle specie invasive o alloctone, sentinella sanitaria su patologie e zoonosi della fauna selvatica, operatore antincendio (nell’estate 2017 di drammatica attualità), gestore del patrimonio faunistico come rilevatore biometrico e soggetto formato, produttore di carni di eccellenti qualità come base di filiere innovative. Mansioni non delegabili ad altri, anche se l’ormai antiquata legislazione nazionale non tutte le riconosce o valorizza (come dimostrato dalle recenti sentenze della Corte costituzionale), mentre molte Regioni al contrario e per me meritevolmente, si sono già spinte sulla strada giusta.
Redazione BigHunter.it
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