In questo anno orribile, anche Bruno Modugno, compagno di tante battaglie, ci ha lasciato. E' passato appena un mese da quando volle organizzare - in tempo di block down - una videoconferenza sul "suo" canale televisivo per ricordare pubblicamente il comune fraterno amico Gianni Bana, raccogliendo idealmente le testimonianze di chi più di altri, insieme a lui, ne avevano condiviso l'amicizia: Stefano Masini, Marco Ciarafoni, Marco Castellani, Massimo Marracci. E adesso siamo a piangere la sua scomparsa. Praticamente lo consideravamo inossidabile, tetragono a qualsiasi intemperie, a qualsiasi aggressione del tempo. E invece no. Siamo tutti costernati, perchè in poco tempo abbiamo perso due grandi pilastri della nostra caccia. Due protagonisti delle vicende venatorie italiane degli ultimi cinquant'anni. Questo mi spinge a scriverne un commosso ricordo, un saluto che non sarà l'ultimo, perchè comunque li terrò sempre nel cuore.
Con Bruno fu proprio Gianni Bana una quarantina d'anni fa a creare la nostra amicizia, in occasione - se non ricordo male - di una delle tante trasferte fuori casa, in Francia in quel caso, per sostenere le ragioni della caccia italiana nel contesto europeo. Ne nacque un'amicizia, un sodalizio, che sono andati avanti praticamente fino... a ieri, appunto. Allora, Bruno era caporedattore del TG1 Rai, per poi passare a condurre una trasmissione d'intrattenimento a sostegno dell'ambiente, dove fra i primi non mancò di dare valore alle nostre eccellenze gastronomiche, con i piatti di selvaggina in bellavista sulla tavola. Con Carlo Peroni (allora presidente del CNCN) organizzammo quattro puntate dedicate alle belle cose della caccia. Poi vennero i referendum e lì non mancarono le occasioni per dare battaglia a quei movimenti che ci volevano cancellare. La spuntammo, anche con qualche colpo gobbo di cui forse un giorno avremo modo di dare qualche dettaglio. tante furono le iniziative che ci videro insieme, nell'Unavi, nel CIC, nella Face. Con piacere accettò di far parte del Comitato di Redazione di "Diana", per la quale tenne per anni una sua rubrica quindicinale, regalandoci pagine di saggezza. Con l'Editoriale Olimpia pubblicammo il suo secondo romanzo (Ballata Saracena). Tanti gli incontri a caccia. Spesso complice Bana, altre volte in Valle (memorabile una giornata io e lui in botte e controbotte a Cavallino - rese uniche da Gino Fantin, presidente di Euroducks - dove organizzammo anche una di quelle puntate per la Rai) o a Monterongriffoli, nelle Crete Senesi, con Enrico Vallecchi e altri comuni amici, e nelle tante braccate maremmane, in Lazio e in Toscana, dove lui era davvero superlativo, come cacciatore e come compagno di caccia. Un'amicizia insomma che in tante occasioni si allargò alle rispettive famiglie, con frequenti scambi di ospitalità. A Bracciano, in occasione dei diversi Game Fair, a Pescia, per alcune ricorrenze. Ricordo con piacere che mi fu padrino quando Rosini e la Federcaccia decisero di assegnarmi un prestigioso riconoscimento, che anche lui ha ricevuto. In tutti questi anni ho fatto tesoro dei suoi grandi insegnamenti, mi è stato fratello maggiore e guida. La sua saggezza, la sua eclettica cultura, le sue sfide, il suo coraggio hanno reso orgogliose generazioni di cacciatori, che come me non lo dimenticheranno.
Con Gianni Bana, fu più o meno lo stesso. Stessa Amicizia, stesse condivisioni, stesso legame familiare. Quando gli avevano appena conferito l'onorificenza di Commendatore, mi chiamò al microfono della 50a Assemblea dei Migratoristi, in un teatro di Bergamo, se non sbaglio - proprio in tandem con Bruno Modugno - per portare un saluto ai convegnisti e a un parterre di prestigiosi ospiti nazionali e internazionali: rompendo come mio solito il protocollo, mi permisi di aprire con una battuta, abbinando la sua commenda al chioccolo, simbolo dell'arte dei suoi migratoristi. A distanza ormai di più di dieci anni, posso riconoscere che fu irriverente. Ne approfittai, però, per lanciare l'ennesima filippica censoria (oh tempora, oh mores) a sostegno della caccia e soprattutto della caccia alla migratoria. E un invito all'unità dei cacciatori, rampognando i presenti in prima fila, cioè lo stato maggiore della caccia italiana. Col Minosse di turno (sempre l'impeccabile Massimo Marracci, uno dei due "giovani" dioscuri di Gianni Bana; l'altro, Marco Castellani, come sapete, ne è valido successore), che - esorbitando io ampiamente dai cinque minuti raccomandati - provò a più riprese a strapparmi il microfono di mano. Senza riuscirci, ovviamente.
Ma con Gianni Bana, il mio rapporto era così - familiare, amicale, spesso ruspante, da toscanaccio - tale che anche nelle occasioni ufficiali dimenticavo quel poco di etichetta di cui ero e sono in grado di disporre.
Fu grazie a quel meraviglioso libro - Gli uccelli attraverso il cielo e la terra - dello zoologo svedesa Curry Lindahl, che diventammo amici nei lontani, ormai, anni sessanta. Io ero appena approdato alla redazione di "Diana" e lui, Gianni, giovanissimo avvocato e appassionato ornitologo, curava per noi la rubrica del passo, sotto la guida del padre Antonio, fondatore e presidente di quella che allora si chiamava familiarmente la Gasparotto. Una passione comune, quella per gli uccelli migratori, che ci fece subito familiarizzare. Su quel libro, che lui mi consigliò, passai nottate incantevoli a scoprire le meraviglie di un mondo che fino ad allora amavo da semplice cacciatore da capanno.
Per le quotidiane pressanti vicende legislative, travagliate anche allora, non sempre ci trovavamo d'accordo. Lui, ...giurista di rito meneghino, aveva gran dimestichezza con l'arte del cavillo, io, poco aduso ai sofismi, spingevo per sbaragliare il campo. Eravamo nel sessantotto, non a caso.
C'incontrammo di persona quando, con Enrico Vallecchi, editore e mio Mentore, e Riccardo Todeschini, l'allora direttore effettivo della rivista, organizzammo a Firenze l'incontro fra i presidenti nazionali delle associazioni venatorie, grazie al quale nacque il CIAV (Comitato d'Intesa fra le Associazioni Venatorie), che poco tempo dopo dette vita all'UNAVI.
Da allora, nel rispetto reciproco dei ruoli, ebbe inizio e si consolidò un rapporto di collaborazione e d'amicizia che è durato fino a poche settimane fa, quando purtroppo si è interrotto. Nel tempo, incalzati dalla burrascose vicende referendarie e dal mondo che tumultuosamente si stava trasformando, il suo dinamismo vivificò un affiatato gruppo di lavoro fra il formale e l'informale, che ci offrì l'opportunità di rafforzare l'amicizia e contribuire a dare forma a iniziative e progetti per la caccia. A giro per l'Europa alla ricerca di sintonie "corporative" e istituzionali, ai tavoli italiani, principalmente fra Roma, Milano e Brescia, per inquadrare i problemi e prospettare soluzioni. Lui sempre propositivo, positivo, dinamicissimo. Alle riunioni Unavi, ricordo chi diceva scherzando che prima che lo stato maggiore avesse quagliato su una iniziativa, lui, Gianni Bana, aveva già dato disposizioni qua e là per l'Italia per passare dall'idea ai fatti.
Metodico, da gran lombardo, andava al sodo senza preamboli. Con garbo, ma sostanzialmente chiaro. Anche a casa, o all'osservatorio, non derogava. Scandiva i secondi, tanto che appena partiva dall'ufficio per rientrare a cena, telefonava alla Pia, la paziente Pia, perchè la tavola fosse apparecchiata e la minestra in tavola.
Alla domenica, aveva preso l'abitudine di telefonarmi alle otto di sera. Tanto che scherzando io gli dicevo che aspettavo quella telefonata per rimettere l'orologio. Consuetudine che dai primi anni settanta si è prolungata fino a poche domeniche fa, quando - in questi giorni bui, a telefono silente - avevo immaginato che stava succedendo l'irreparabile.
Come ci mancherà il Bruno Nazionale, ci mancherà anche il caro Gianni. Mancherà alla caccia. Mancherà il suo stare addosso alle cose, senza mollare mai. Diceva l'altro suo e mio caro amico, Carlo Peroni, in risposta a chi si opponeva a volte a sue maldigerite insistenze: "Ascolta: se non ci fosse, un Bana, bisognerebbe inventarlo".
Sicuramente, anche per rendergli onore, occorrerà fare tesoro della sua inventiva, per rilanciare questa nostra amata caccia alla migratoria, il più possibile uniti, il più possibile su piani scientifici e culturali. La ricerca, da lui sempre sollecitata e coltivata, sia in Italia sia in Europa, fin dall'epoca delle coinvolgenti pagine di Curry Lindahl, la sua cultura giuridica, il suo amore per le nostre tradizioni, la sempre coltivata attenzione alla cucina della selvaggina.
Ci sarà modo, se questi tempi malvagi ce ne daranno l'occasione, di ricordarli tutt'e due, molto più compiutamente, il Bruno e il Gianni. Già c'è chi ha iniziato. La mia età, le mie a volte casuali e inusitate esperienze - spesso mi sono immaginato come il Forrest Gump della caccia - possono contribuire, spero, a dare forma al folto fogliame di quell'alloro ideale che il nostro mondo deve assegnare alla loro memoria di cacciatori appassionati e di uomini di vaglia in questi tempi bui.
Ciao, cari amici miei.
Giuliano Incerpi
Nota: Ringrazio Bighunter.it, che mi ha concesso questo grande privilegio.