Ha ragione Marinetti – proprio lo scorso anno abbiamo celebrato i 100 anni del futurismo, di cui fu eminente esponente – quando nel Manifesto della cucina futurista, oltre a tuonare contro la pastasciutta, afferma che “si pensa, si sogna e si agisce secondo quel che si beve e quel che si mangia”.
Siccome in questo Paese, i vegetariani, cioè l’Italia che non mangia carne e pesce, sono una minoranza che, per quanto agguerrita, non è granchè significativa, credo che ci sia un orizzonte di lavoro culturale. Siamo di fronte ad un fondamentalismo: se con la LAC non ci possiamo sedere a lavorare, con il sistema nel suo complesso sì. Per fare questo, però, dobbiamo investire.
Riprendendo il discorso interrotto nelle altre note pubblicate recentemente da Bighunter.it, voglio introdurre un’altra provocazione agricola. Sempre il domenicale del Sole 24 ore ha pubblicato un breve articolo dal titolo: “Di quale gallina mangereste le uova?” (corredata con la foto di tre galline), che proponeva ai lettori un esperimento, chiedendo “Qual è l’uovo della gallina che ci dà più sensazione che sia buono?”. Io credo che nessuno, eccetto chi provenga dalla campagna, preferirebbe una gallina un po’ mingherlina, sembrando, questa, un po’ più stentata. Si tratta, invece, della gallina allevata sul prato, che può beccare qualche lombrichetto e mangiare un po’ d’erba. Se il consumatore finisce per non riconoscere la gallina, così come accade, è inutile, sotto un profilo economico, che gli agricoltori investano in un’organizzazione aziendale dotata di maggiori spazi, che necessita una migliore condizione di benessere animale, tempi naturali di accrescimento e migliori mangimi.
Bisogna partire dal consumatore: per questo è partita una campagna per far conoscere gli orti, perché è giusto che i bambini, sin dalle scuole, vedano come si organizza un ciclo colturale. Anche loro devono partire dalle zolle.
Io credo che proprio il rapporto con i più giovani sia la più grande priorità della caccia. Mi spaventa davvero sapere che, fra le persone ricomprese nella fascia di età che va dai 20 ai 30 anni, meno del 6 % siano giovani cacciatori. Il ricambio generazionale è e deve essere una priorità. Si continua a parlare di modifica delle leggi, mentre vi sono urgenze molto più pressanti, come quelle dei giovani (se uno ha un minuto da spendere per la caccia deve pensare ai giovani) e delle quote rosa. Infatti, bisogna introdurre le quote rosa, non dico, come accade in politica, per legge - che poi si corre il rischio di coinvolgere persone con talenti diversi dalle qualità intellettuali - ma è importante lavorare sul territorio per attrarre le donne. Del sondaggio di Finzi mi ha impressionato il dato sulle persone ostili: le donne. E sono proprio loro le mamme e, sempre più spesso, le maestre e le professoresse.
Il tema dei giovani ci deve far riflettere per investire nella comunicazione e richiede un ragionamento sulle tendenze della green economy. Un altro titolo di Repubblica ci dice che un’impresa su tre è legata all’ambiente: “Dai faunisti agli energy manager: i nuovi mestieri della green economy”. Nella caccia c’è posto per i giovani, non solo per fare volontariato, ma anche per lavorare. Come mai non siamo in grado di valorizzare questa indicazione, che vede l’ambiente come un’opportunità di business? Risulta che il 38% delle nuove assunzioni sia riconducibile a diversi ambiti di diffusione della green economy. Ritengo che anche l’ATC abbia bisogno di pianificatori, di studi naturalistici.
Ma non dobbiamo dimenticare nemmeno gli anziani e la nostra tradizione, la cultura, perché, come dice un vecchio proverbio africano, “quando un vecchio muore una biblioteca brucia”. Dobbiamo valorizzare la presenza degli anziani nel racconto che dovremmo svolgere, perché il raccontare ed il tramandare ai più giovani - lo abbiamo detto prima – ha una funzione fondamentale.
Proprio come accade all’università, dovremmo prenderci un anno sabbatico. Smettiamo per un anno di parlare di riforme della caccia e dedichiamoci a risolvere questi problemi. Un anno non è lungo. Credo che abbiamo perso già tanti anni ad andar dietro a questa o quella politica che non ha fatto altro che dirottare la caccia su binari morti. Liberare, quindi, le nostre energie per focalizzarci sulle priorità, sulle cose serie; poi riparleremo della modifica delle leggi.
Dobbiamo concentrarci sulla formazione, pensare ad un centro di alta cultura venatoria, ad una scuola dove formare i giovani dirigenti. Parlare di cultura della caccia, dialogando ed interagendo soprattutto con altri mondi. E’ fondamentale che la caccia si doti di una scuola.
La caccia deve essere interpretata in senso multifunzionale, in un ottica di servizi. Non soltanto andare a caccia da settembre fino a gennaio, ma guardare alle altre opportunità che essa offre, come l’essere guida naturalistica, fare bird watching. Ogni qual volta leggo che la Lipu fa bird watching, penso che le opportunità che hanno i cacciatori di palude di vedere da lontano un codone o un fischione non le ha nessun altro: sono vere e proprie energie sprecate. È necessario insistere in questa direzione. Penso anche alla prevenzione incendi, come già si fa, al tiro, alla cinofilia, ed a molto altro, guardando alla società ed ai nuovi bisogni che da essa emergono.
La comunicazione deve essere permanente, un grande investimento, che va al di là degli organi associativi. Qualcuno ricorda la rivista Oikos? Se è pur vero che all'epoca (anni novanta) fu anche criticata, non possiamo non riconoscere che fu una grande esperienza, affidata ad uno dei più grandi scienziati mondiali dell’ambiente, Enzo Tiezzi. E’ venuta meno, forse perché partita troppo in anticipo, come è talvolta accaduto a Giacomo Rosini, scomparso presidente di Federcaccia, per alcune delle grandi cose che ha fatto. L'Ekoclub, per esempio, ancora, vive, oggi, nell’opacità poiché esprime un ambientalismo corporativo, mentre dovrebbe essere una punta di diamante di un altro modo di pensare: non Ekoclub perché un posto in più nell’ATC fa comodo. Ekoclub deve battersi per un posto in più in un parco, uno su 772 parchi. Da qualche parte ci saranno pure le condizioni per farlo.
Parlando sempre di comunicazione, voglio citare un altro esempio recente che riguarda la Coldiretti, di cui io faccio parte: abbiamo deciso di mettere un televisore in tutte le 8.000 Sezioni che abbiamo sul territorio, in cui 24 ore su 24 si trasmettono filmati di agricoltura. Questo perché chi entra in una Sezione deve poter ascoltare e guardare quello che facciamo. I video funzionano. Anche i cacciatori dovrebbero fare più video e mandarli sul territorio, farne occasioni di dialogo. Si potrebbe potenziare, ad esempio, il sistema dei notiziari on-line.
Bisogna svecchiare la comunicazione, comunicare con i più giovani, anche mediante gli sms, creare un database di numeri di cellulare.
Anarchia e intelligenza affettiva – l'ho già detto - non bastano più. Bisogna miscelare spontaneità e direzione: la spontaneità dei presidi locali (i circoli, le sezioni, anche quelle con un solo socio, perché è lì che c’è l’entusiasmo, il rapporto stretto col territorio) ed una forte guida centrale.
Parlerei senza vergogna di un neo-centralismo, perché occorre risolvere questa opacità nel governo della macchina e la soluzione risiede nel separare i ruoli di rappresentanza da quelli tecnici. Orientare l'impiego delle risorse, ricorrere a competenze di professionisti, adeguate strutture tecniche, per interpretare scientificamente gli eventi, il mondo della ricerca, l'agricoltura, fare squadra.
Quanto al sistema associativo, è chiaro che il tesseramento deve avere un valore simbolico, ma qui sta la provocazione: oltre alla tessera, forniamo servizi. Quello che conta è fare i servizi del futuro, che vanno dagli esami per la licenza (le licenze, ormai), gli aggiornamenti tecnici e culturali, l'assistenza per i servizi che l’ATC può erogare, l’organizzazione degli eventi. È indubitabile che per far questo occorre una vera e propria progettazione politica.
Quanti dirigenti di associazione sono informati sulla riforma della PAC? Non lo chiedo, va bene, però bisogna interrogarsi. Se in una organizzazione associativa di livello provinciale non si segue questo tipo di lavori, significa non essere in grado di leggere il futuro del territorio di domani, in quanto nell’elaborazione del mercato dei beni pubblici su cui si sta discutendo c’è la rappresentazione di come sarà il territorio dal 2013 in poi.
In conclusione, voglio ribadire il mio ottimismo verso il futuro.
Ho letto poco tempo fa un interessantissimo articolo, pubblicato su Der Spiegel, di un intellettuale tedesco, Enzensberger, sulle categorie del benessere. Chi è che vive nel lusso? Uno pensa a chi ha i soldi, il denaro: ma il nostro filosofo ci dice qualcosa di diverso, ossia che il lusso riguarda quei beni che scarseggiano nella nostra società. Cos’è che scarseggia oggi? Il tempo: tutti noi sacrifichiamo il bene principale, quello di seguire le nostre passioni, la famiglia, la caccia. Ed ancora, l’autonomia, lo spazio, la sicurezza. A questi beni Enzensberger ne aggiunge, però, altri che sono ancora più rari e, perciò, più lussuosi: la convivialità, l’ambiente e la bellezza.
Credo che tutti noi che andiamo a caccia siamo d’accordo che la caccia sia convivialità, perché vogliamo passare del tempo con gli amici e con i familiari; sia ambiente e bellezza, perché cacciamo in Italia che è un Paese straordinariamente bello ovunque, che è un mosaico di paesaggi. Se saremo capaci di vendere questi beni lussuosi potremo coinvolgere i giovani e le donne in un’attività che torna ad avere prima di tutto colore culturale.
Certo, per far questo bisogna prima e velocemente aver fatto quello che fin qui ho provato a indicare. Dobbiamo procedere, lo ripeto e concludo, possibilmente tutti insieme, verso una radicale riorganizzazione del nostro sistema di pensare e di agire.
In Bocca al Lupo