E' una risorsa rinnovabile, sana, praticamente gratuita e buonissima. Aggiungeteci che è disponibile in grandi quantità, che deve essere controllata per motivi di equilibrio ambientale e pubblica sicurezza, che a fare il lavoro “sporco” sono migliaia di volontari felici di farlo, e sarà subito chiaro che è una follia continuare a pagare (con le tasse dei cacciatori) i danni che animali come cinghiali, caprioli, cervi e daini causano all'agricoltura, senza trarre alcun beneficio economico per la comunità e continuando a non riconoscere e difendere il grande servizio pubblico svolto dalla caccia. A togliere le classiche fette di salame dagli occhi degli amministratori, e a metterle sui banchi di macellerie e ristoranti, ci penserà forse ora un progetto toscano, su cui da tempo lavorano le province di Pisa, Firenze e Pistoia.
La prima filiera in Toscana
L'idea, giunta ora alle fasi operative in Toscana, è quella di avviare una rete capillare che, come era nelle intenzioni dalla legge regionale di tre anni fa, riesca finalmente a coinvolgere cacciatori, ristoratori, province e Atc, in maniera sistematica. Il tutto per rendere più incisive, e valorizzare in termini economici, quelle operazioni di controllo faunistico richieste a gran voce dagli agricoltori.
In Toscana, ma situazioni molto simili riguardano ormai tante regioni, Liguria, Marche, Emilia Romagna, Abruzzo e Lazio per esempio, sono infatti i numeri allarmanti della crescita di cinghiali e altri ungulati ad obbligare le istituzioni ad incentivare i prelievi. Qui infatti sono stimati circa 350 mila ungulati (160 mila caprioli, 4200 cervi, 8400 daini e 180 mila cinghiali). Ai soli cinghiali sono imputabili il tra il 70 e l'80% dei danni a colture e produzioni agricole, visto che da soli rappresentano la metà della popolazione totale di ungulati. Stando ai numeri dei nuovi nati per anno, tratti dalla relazione del Dott. Vito Mazzarone (dirigente alla Fauna selvatica alla Provincia di Pisa) al convegno La valorizzazione delle carni dei selvatici abbattuti (Pisa, 9 novembre 2013), si ha un incremento medio annuo (minimo) del 100% di cinghiali, del 50% di caprioli, e del 20% di cervi. Numeri allarmanti, senza ombra di dubbio. Ma guardandola in positivo, bisogna anche ammettere che ogni anno queste risorse possono fornire in tutta la Toscana qualcosa come quasi 11 milioni di porzioni di carne (dato che emerge dal prelievo di 117 mila ungulati del 2010). E non carne qualsiasi, ma di ottima qualità perchè povera di grassi, ricca di ferro e proteine nobili, priva di antibiotici e altri farmaci che vengono somministrati negli allevamenti e, oltretutto, prelevata a costo zero (nessuna spesa di allevamento, manodopera volontaria e ben organizzata).
A San Miniato il primo centro di raccolta
Per cominciare occorrerà far funzionare i centri di analisi e raccolta delle carni, dove i cacciatori potranno portare le proprie prede e cedere (vendere) la carne di cinghiali, cervi, caprioli e daini. Per il momento si è mossa Pisa. Con il nuovo Piano faunistico provinciale (2012-2015) è stato infatti deciso l'avvio a San Miniato del primo macello pubblico che effettuerà tutti i controlli necessari sulle carcasse, sia per l'autoconsumo che per destinarle alla vendita. Il piano pisano prevede la creazione di punti strategici di raccolta per Aziende Faunistiche, Agrituristiche, squadre di caccia e distretti per gli Ungulati, ma anche per il singolo cacciatore. In questo modo sarà possibile fornire agli esercizi di rivendita e ai ristoranti un sistema di approvvigionamento sicuro della carne di selvaggina e sarà possibile contrastare efficacemente la cessione illegale di carne ed assicurare la sicurezza dei consumi da parte degli stessi cacciatori. I centri di raccolta saranno collegati ad un centro di lavorazione della carne selvatica (con bollo UE), con la possibilità di una successiva trasformazione e quindi, presumibilmente, con conseguenze positive in fatto di occupazione e nuove opportunità turistico-ricettive.
Cinghiali a Km 0 nei ristoranti
Ma Pisa vuole fare molto di più che regolarizzare la vendita delle carni dei selvatici. L'obbiettivo è anche culturale: incrementare il consumo di carne di selvaggina come fonte alimentare alternativa a quella prodotta negli allevamenti intensivi, farà infatti bene all'ambiente e alla salute, oltre che all'economia e al turismo. La filiera certificata sarà lì a testimoniare la qualità di una delle tipicità territoriali più preziose e ricercate della gastronomia locale, che nelle trattorie e nei ristoranti va già alla grande, soprattutto in Toscana, dove il "marchio" cinghiale è uno dei più inflazionati.
In questo senso l'idea toscana potrebbe costituirsi come l'inizio di una sorta di operazione verità, che rimette al centro l'utilità del cacciatore e che potrà forse un giorno contribuire a demolire tutte le costruzioni anticaccia mascherate di ambientalismo, che insistono a ritenere il cacciatore un usurpatore dell'ambiente. Al contrario questa filiera lo riabiliterà in pieno. A patto che si abbiano cacciatori sufficientemente informati e pronti a interagire con queste nuove strutture territoriali. Per questo, almeno a Pisa, presto verranno realizzati corsi per informare e formare adeguatamente i cacciatori, che saranno i veri protagonisti dell'intera operazione.
Se la cosa funzionerà, si potrà pensare di estendere questo modello a tutte le altre regioni che hanno problemi con la fauna in eccesso. Insomma un'opportunità da non farsi sfuggire per il mondo venatorio, che questa volta ha letteralmente il "coltello" dalla parte del manico. Molti, soprattutto tra gli ostili alla caccia grossa, storceranno il naso e diranno che questo non è lo spirito vero della caccia. Ma portare sulle tavole dei nostri concittadini la carne prelibata di alcuni selvatici potrà servire a farci capire meglio e da un più vasto pubblico... quindi perchè no? Del resto per questo succede in tantissime parti del mondo non solo per i cinghiali e per altri ungulati, ma anche per specie che da noi sono considerati no limits come certi tetraonidi, anatre, colombacci, beccacce....
Cinzia Funcis
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