Ad ogni nuovo studio, che riporta a galla una realtà tangibile ormai ovunque, ovvero la graduale scomparsa degli uccelli nelle nostre campagne, il nostro cuore sussulta. Siamo ancora lì, dopo il bando del Ddt che negli anni 70 ha avvelenato campi, animali e persone? Stiamo ancora parlando del devastante impatto dei pesticidi sulle specie selvatiche e sulla nostra salute? Qualche passo avanti c'è stato, ma l'agricoltura ancora oggi e in maniera sempre più evidente, data la crescente richiesta di prodotti, è nuovamente la prima causa, la principale responsabile del depauperamento dell'avifauna, soprattutto quella insettivora, colpita dall'uso intensivo di pesticidi, neonicotinoidi soprattutto e da sostanze killer come il glifosato, un potente erbicida.
Il fenomeno è più evidente dove si praticano monocolture, aumentate costantemente, in particolare in Francia, un Paese che, come si apprende dai dati diffusi in questi giorni, ha perso un terzo degli uccelli campagnoli in 17 anni. L'allarme viene dagli ornitologi del CNRS sulla base del rapporto Stoc (monitoraggio degli uccelli comuni), le cui conclusioni, per altro, sono suffragate da un altro recente studio, condotto dal Cnrs nel dipartimento Deux Sèvres (zona per altro non oggetto di caccia, a cui nulla si può quindi imputare), che si è avvalso di ininterrotte rilevazioni su 160 punti dal 1994.
Secondo il biologo Bonoit Fontaine, che lavora per il Centro di Ecologia della Conservazione francese, ci troviamo di fronte ad una catastrofe. Dove si coltivano cereali, in particolare, le popolazioni di uccelli stanno crollando. L'ecologista Vincent Bretagnolle, che ha diretto le ricerche nella valle della Sevre, sul quotidiano Le Figaro, evidenzia come le pernici siano quasi estinte in quell'area di studio, arrivando a quota -90%. Calano soprattutto pispole (-68% in 17 anni), allodole (ridotte di un terzo in 20 anni), fanelli (-27%).
Ciò che è veramente allarmante, secondo i ricercatori, è che tutti gli uccelli delle zone agricole stanno diminuendo allo stesso ritmo, anche i più generalisti o gli uccelli tipici degli habitat boschivi che, tuttavia e a riprova, nei loro ambienti – cioè lontano dai campi coltivati - non diminuiscono o diminuiscono molto meno. Il che significa, secondo il biologo Vincent Bretagnolle, “che la qualità complessiva dell'ecosistema agricolo sta degenerando”. Lo studio francese tra l'altro non fa che confermare una tendenza già chiara. Un'altra ricerca tedesca, pubblicata su Nature l’autunno scorso, evidenziava il crollo del numero di insetti nel continente, sceso del 76% in 30 anni.
Anche da noi quindi, nonostante sia in crescita l'agricoltura biologica (che copre il 20% delle colture), il problema è serio. Tanto che lo ha certificato perfino la Lipu (Birdlife in Italia) nel suo rapporto sulle specie nidificanti in Italia, condotto per conto del Ministero dell'Ambiente. Qui si trova conferma di ciò che è stato appena appurato in Francia: anche da noi sono in calo non le specie oggetto di caccia, ma quelle che vivono negli ambienti rurali, cacciabili e non. Secondo le più recenti dichiarazioni dell'associazione, il calo in Italia per gli uccelli tipici dell'ambiente agricolo arriva a 42,4%, in pianura. Quasi la metà, dunque, in 15 anni.
Il che è scandaloso. Perché se da un lato i biologi delle associazioni animaliste, quando fanno il loro mestiere, non possono far altro che confermare le vere cause di perdita di biodiversità, dall'altro nulla (o poco) fanno per invertire la tendenza, per sensibilizzare le istituzioni e i cittadini. Molto più comodo – e conveniente – è prendersela con un facile bersaglio: i cacciatori, che però, messi tutti insieme, anche considerando gli illeciti (bracconaggio), sono niente rispetto ai disastri provocati dalla moderna agricoltura.
Basta dare una scorsa alle ultime notizie pubblicate dalla Lipu-Birdlife e del Wwf per capire quale siano le priorità degli ambientalisti (glissando per carità di patria sulle follie di Casaleggio/Cinquestelle). Nonostante la gravità dei dati arrivati dalla Francia, nessuna delle due si è presa la briga di sollevare il problema, di denunciare, di informare i cittadini, di sollecitare le organizzazioni agricole. Dove sono i sit-in di protesta, le campagne massive di informazione, le pressioni sulla politica, gli ultimatum agli amministratori e le richieste di intervento della Commissione Ue che abbiamo visto in tante occasioni contro la caccia?
Cinzia Funcis