Chi l'ha conosciuta, ma anche chi dotato di un minimo di capacità intuitiva ne ha sentito parlare, può a buona ragione confermare che "la caccia di una volta" era una cosa seria. Però, basta intendersi. Infatti, a seguito di questo concetto (la caccia di una volta) sorge spontanea una domanda: ma qual era la caccia di una volta? Qui, secondo me, i pareri discordano. C'è chi si riferisce al bel tempo andato, cioè all'Italia rurale, prima del boom, chi all'epoca del boom, appunto, chi alla caccia d'elite, chi alla bella vita vagabonda. E qui si aprirebbe un capitolo a parte.
I riferimenti, oltre alle esperienze dirette, o ai ricordi di genitori e nonni, riguardano modelli recuperati dalla letteratura, o dalla pubblicistica di area. Quella storica, Diana ormai più che secolare, Il Cacciatore Italiano, soprattutto quello prima maniera, e poco altro. Quella contemporanea, Caccia & Pesca, soprattutto, con i suoi successi e il suo lento declino, poi Sentieri di caccia e qualche altra, compresi gli organi ufficiali delle varie associazioni. Infine il web, dove, come è noto, c'è di tutto e di più, mentre manca quasi del tutto un organo controllore (per tutto ciò che vi appare, ovviamente) che ci risparmi le bufale e le ciofeghe. Molti di noi hanno alimentato la propria passione leggendo Renato Fucini (Le veglie di Neri, prima edizione 1882), Niccolini (Giornate di Caccia, prima edizione 1926), Barisoni (Bella vita vagabonda, prima edizione 1934), Piero Pieroni e le sue beccacce, Gin Bardelli, del quale leggerei volentieri una raccolta ragionata dei suoi scritti. I più appassionati. Storie di un tempo che fu, ormai. E aggiungerei purtroppo.
Col boom, poi, cresciuto il portafoglio e conquistata la mobilità, molti di noi, in cerca nell'altrove della caccia di una volta, hanno sperimentato modelli di caccia europei e - con l'avvento delle piccole o grandi agenzie di caccia, ma anche col fai-da-te - anche più in là. Con esperienze a fasi alterne, in relazione al risultato. Con soddisfazioni, quasi sempre, legate alle condizioni ambientali: terre primitive o tipicamente rurali, condizioni sociali da epoca preindustriale.
Poi, per la caccia di una volta, occorre anche fare dei sani distinguo fra i diversi tipi. La cosiddetta piccola stanziale, starne lepri (e fagiani), ha subito diversi tracolli, in più o in meno, a seguito delle rapide e radicali trasformazioni fondiarie, con conseguenti immissioni a rincalzo di contingenti piuttosto eterogenei. Degli ungulati, fino a mezzo secolo fa, si parlava di cervi, caprioli e camosci sulla cerchia alpina o poco più, cinghiali in maremma (e in Sardegna), daini nelle riserve ex reali. I mufloni vennero "inventati" (come selvaggina) fra gli anni sessanta e i settanta.
Per la migratoria, il vero oggetto della caccia (popolare) di una volta, il discorso si fa ancora più complesso. La meravigliosa caccia agli acquatici si è andata riducendo negli spazi, a mano a mano che le bonifiche e la speculazione hanno ridotto gli ambienti adatti. Oggi, nonostante tutto, rimane una buona realtà grazie a quelle poche aree palustri che siamo riusciti a conservare. Soprattutto grazie alla passione di cacciatori. La beccaccia fa storia a sè. Appennino e preappennino, e macchie costiere, costituiscono un ottimo serbatoio che ne garantisce il passaggio e la presenza. Stessa cosa si può dire per il colombaccio e per i tordi, o meglio i turdidi. Forse ce ne sono più oggi che...una volta. Soffre invece l'allodola, a causa di quelle radicali trasformazioni agricolturali che cominciano a destare preoccupazione per ben altri problemi, purtroppo. E la caccia alle allodole è stata per questa e per le precedenti tre-quattro generazioni una vera caccia popolare.
Quello che rode, a molti di noi, è la burocrazia, le pastoie spesso illogiche, l'impossibilità di girovagare a nostro piacimento da su a giù per lo stivale. Ma su questo s'aprirebbe un lunghissimo capitolo, proprio sul concetto di "caccia di una volta". Perchè "una volta" - ove s'intendesse il periodo della giovinezza di molti di noi - non è, appunto, un'epoca tanto lontana, se come possiamo concordare la si colloca nel periodo a cavallo fra gli anni cinquanta e settanta. Ma in quella sostanzialmente ridotta fascia temporale ne sono successe di cose dalle nostre parti, in fatto di trasformazioni sociali e colturali: oggi siamo 60milioni, almeno dieci di più di allora, e si gira il mondo, mentre fino agli anni sessanta eravamo confinati nel nostro ristretto territorio (in pochi avevano mezzi di locomozione per spostamenti veloci). Inoltre eravamo solo noi a frequentare le campagne: oggi tutti pretendono quell'aria “pulita” che non trovano nelle città. Da tutto ciò deriva, purtroppo, una burocrazia che sciaguratamente è stata inquinata da quella deriva animalista che nasconde interessi molto consistenti, “naturalmente” in contrasto con le nostre aspettative. E questo ha fatto senza alcun dubbio la differenza. Per cui, se vogliamo dare una definizione certa a quanto si diceva in premessa, bisogna intendersi su dove collocare il confine fra caccia di oggi e caccia di una volta.
Su tutto, e soprattutto sulla conservazione delle diverse specie selvatiche, quasi nessuna esclusa, chi ha davvero a cuore la loro conservazione non deve avere alcun timore dei prelievi da parte dei cacciatori, la cui pressione è oggettivamente in calo e quel territorio interdetto alla caccia, che ormai in vaste aree del paese supera il trenta per cento, ne è sicuro custode. Anche con non pochi guasti, come vediamo per certe specie non solo di ungulati. Il problema è nato e cresciuto altrove. Qualcuno prima o poi se ne dovrà rendere conto.
Lorenzo Mazzini
NOTA: Le molte approssimazioni che i più eruditi possono rilevare, sono frutto di una necessità di sintetizzare. Nel nostro paese, la caccia moderna abbraccia ormai quasi due secoli di storia, ma anche "la caccia di una volta", intesa dai nostri contemporanei cacciatori, attraversa quel lungo periodo che arriva ad oggi partendo almeno dall'epoca a cavallo fra le due guerre mondiali. E anche per la caccia ne sono successe di cose, in questo lungo periodo. E, in conclusione, anche gli "storici di professione" non hanno ancora affrontato l'argomento con la necessaria attenzione.
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