Con “animalismo” si definisce la posizione di chi ritiene che vada accresciuta la tutela giuridica ed etica nei confronti delle specie animali differenti dall'uomo. La definizione è abbastanza chiara e, ai fini della salvaguardia del patrimonio naturalistico, su alcuni punti si potrebbe anche intavolare una discussione.
Quello sul quale è veramente difficile discutere è ben altro, vale a dire: arrogarsi il diritto di stabilire quale vita vale più di un’altra, annullando così il significato stesso della parola “vita”, arrivando infine al paradosso estremo, ovvero augurare la morte dei propri simili, stracciando quindi il concetto etico della vita e allo stesso tempo dimenticandosi di quei percorsi evolutivi che hanno portato la razza umana a distinguersi nel corso dei secoli dalle altre specie animali.
Queste parole non nascono da un mio vaneggiamento post aperitivo, ma dalle sempre più presenti osservazioni a sfondo funebre che leggo nei commenti degli animalisti sui siti di caccia
o sotto i video messi in rete dai cacciatori.
“ … vorrei che al posto di quel cinghiale ci foste voi o i vostri figli “
“ … sarà una grande soddisfazione quando un cacciatore per sbaglio ucciderà un suo collega”
“ … spero che facciate la fine di quel povero fagiano.. eccetera….eccetera…eccetera.
Non vado avanti perché il senso si è capito. Personalmente non ho mai augurato la morte a nessuno e non ho mai sentito un cacciatore augurare la morte del figlio di un ambientalista/animalista. Questo già ci pone molti gradini più in alto rispetto ai signori animalisti, sia per educazione, sia per senso civico, sia per senso morale. Ma torniamo alla definizione con la quale ho aperto questo mio pensiero,” tutela etica nei confronti delle specie animali”. Come mai – c'è da chiedersi – le attenzioni nei confronti dei pesci sono così sporadiche e così ritardatarie? Ad eccezione delle ultime rivendicazioni dell'Enpa nei confronti della pesca, sono quasi esigue le spinte emotive verso la vita di una spigola o di uno scorfano. Che valgano meno di quella di una lepre? Non ho mai sentito un animalista battersi per loro o andare con fischietti e campanacci a disturbare i pescatori durante una giornata di pesca!
La colpa di noi cacciatori, ammesso che di colpa si tratti, è quella di non essere ipocriti in un mondo dove tutto o quasi trova nell’ipocrisia i suoi fondamenti. Basti pensare ai ricchi menù di selvaggina presenti anche in ristoranti e trattorie; di certo non sarà solo la nostra categoria a cibarsene, visto che non abbiamo bisogno di andare nelle trattorie per mangiare della selvaggina!! Dunque a quale categoria appartengono i consumatori di polenta col cinghiale, o delle aristocratiche costate di cervo o di camoscio, o delle altre svariate ricette a base di selvatici? Sono più che sicuro che tra i molti amanti di queste pietanze, si nasconde anche qualche timido animalista.
E allora dove sta la differenza tra chi la selvaggina (o la carne in generale) se la procura direttamente e chi la selvaggina la “ordina” dal macellaio o in trattoria? I mandanti sono tanto colpevoli quanto gli esecutori materiali; e ordinare un’orata al forno, per esempio, rende il titolare dell’ordinazione un mandante, perché la vita di un pesce ha valore quanto quella di un’allodola e quanto quella di un uomo. Ma a quanto pare i signori animalisti fanno un po’ di confusione nell’interpretazione di questo concetto.
Lo so, parlare di caccia in questi termini è riduttivo, poiché spingerebbe i profani a pensare che lo scopo finale della caccia si racchiude solo in una piacevole cena con gli amici. La caccia è molto di più,e non basterebbero poche o molte parole a spiegarla. La verità è che la caccia non si può spiegare, nasce insieme a noi e ci accompagna per tutta la vita, e non solo quando siamo in mezzo alla natura, ma anche quando stiamo comodamente trascorrendo un tranquillo fine settimana con la famiglia (di solito a caccia chiusa); di tanto in tanto i nostri occhi involontariamente volgono verso il cielo rapiti dal rapido ed elegante volo di un colombaccio, o semplicemente perché la nostra attenzione è stata attirata da qualcosa che è legata in qualche modo alla caccia. Credo che il fascino di questa nostra passione risiede proprio nell’assenza di una definizione o spiegazione logica che dir si voglia. E cosi deve essere, perché citando un vecchio pensiero filosofico “ ogni cosa definita è una cosa finita”. Per cui va bene definire l’animalismo, va bene definire l’ambientalismo, ma lasciamo che la caccia rimanga avvolta da questo magico alone di antropologico mistero.
Noi siamo giudicati solo perché imbracciamo un’arma, e questo ci rende immorali e violenti a prescindere.
A mio parere, invece, la vera immoralità consiste nel rinnegare se stessi e il proprio passato. Ma esiste un’altra forma di immoralità,silenziosa e per niente condannata; è quella che quotidianamente si vede in televisione,con quei programmi che hanno il solo compito di creare generazioni di vagabondi e che allo stesso tempo offendono l’intelligenza e il decoro. Credo che per i giovani sia molto più educativo passare un’ora a caccia piuttosto che assistere a simili scempi.
Manca davvero poco all’apertura, e sicuramente ne sentiremo di tutti i colori, cosa che puntualmente si verifica ogni anno. Amici cacciatori,come disse quel tale “ non ragionar di lor ma guarda e passa”
In bocca al lupo a tutti