Mentre il solito Fulco Pratesi, ormai decrepito immagino, scrive le sue fruste baggianate su giornaletti di terz'ordine che fanno affari (!) nel "non profit", si legge con piacere un'affresco "elettorale" che Carlin Petrini, l'uomo di Slow Food, dà alle stampe per declinare gentilmente (causa impegni più importanti) l'offerta che gli era stata fatta pervenire per candidarsi alle prossime elezioni.
Non voglio stare qui a discutere se ha fatto bene o se ha fatto male. Se avesse aderito, certamente l'avrei votato. Ma, credo, che l'avrebbero votato molti di voi, perchè le sue raccomandazioni sono le nostre. Sicuramente le mie. Non solo per il futuro del paese, del nostro patrimonio culturale e paesaggistico, delle nostre campagne, della nostra agricoltura, della nostra salute. No. Non solo. A un uomo così, io affiderei anche la caccia. Il futuro della caccia.
In questa specie di suo manifesto, Petrini delinea poche ma chiare necessità, che se fatte proprie dalla ("nuova"?) politica che tutti auspichiamo esca dalle urne non potranno non incidere anche sul nostro futuro di cittadini e di cacciatori.
Cosa dice, insomma. Chiede in primo luogo di "cambiare" le nostre politiche agricole, fino ad oggi inadeguate e insufficienti. Trasformandole in "politiche alimentari". La sintesi, in quattro punti, è accompagnata da alcuni "paletti".
I quattro punti. Il primo: se si fa politica per il cibo (il buon cibo) e per l'agricoltura, si fa politica per tutti. Si tutela il bene comune. Si tutela l'ambiente, l'agricoltura, l'educazione, la salute, l'economia, la giustizia, lo sviluppo, l'industria, i beni culturali.
Il secondo: il disegno di legge "salva suoli" andrà subito approvato. E' un efficace strumento per evitare speculazioni fondiarie, scempi urbanistici sui territori ancora "rurali", che rischiano di scomparire. E se questa non è una critica a tutta la politica ambientale e ambientalista di questi ultimi cinquant'anni, ditemi voi cos'è. E pensare che ci sono ancora dei cosiddetti benpensanti che firmano appelli perchè vengano blindati nei listini elettorali dei partiti illustri personaggi classificati "preziosi ambientalisti"che in questi ultimi trent'anni , in Parlamento, hanno chiuso un occhio e forse tutt'e due, non accorgendosi di tutto quello che succedeva a loro insaputa: calamità poco naturali, dissesti ambientali, inquinamenti a dir poco criminosi e criminali.
Il terzo. Diamo l'occasione ai nostri giovani, disperatamente disoccupati, di misurarsi in campagna. I nostri agricoltori sono vecchi e stanchi. C'è bisogno di ricambio, offrendo una buona remunerazione, crediti agevolati, meno burocrazia.
Ultimo, ma non ultimo. Sollecitare un nuovo approccio nei confronti dell'agricoltura. Che non deve essere più considerata come attività residuale, assistita, compatita. Nell'agricoltura ci dovremo credere. Perchè serve al paese. Meno brevetti e più tutela della biodiversità. Meno multinazionali (ecco i paletti) e più prodotti tipici e più garantiti. Niente OGM e più agricoltura tradizionale.
Una green economy, meno "green economy" e più "economia verde". Alla nostra maniera. Che fra l'altro - più bio, più siepi, meno monocolture - fa bene alla fauna selvatica.
Insomma, un'agricoltura sostenibile, quella che per secoli ha mantenuto così vario e così bello il nostro paese e che è l'unica che ancora oggi può garantire un attività che tenga il passo con la concorrenza internazione, su mercati che tutto offrono ormai a prezzi stracciati, ma che non potranno mai offrire qaulcosa come i nostri prodotti di qualità, figli di una cultura, oggi a volte maldestramente definita "rurale", figlia di un patrimonio in buona parte immateriale ma che proprio per questo la rende unica e irripetibile.
E in un contesto del genere, che ci riporterebbe all'integrità delle nostre campagne dei scorsi secoli, anche la caccia avrebbe un diverso valore. E migliore. Voi che leggete, lo sapete meglio di me.
Agostino Lari
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