L’anno di Grazia 2008 volge al termine. Negli ultimi otto mesi una ridda di proposte di modifica della legge nazionale n. 157 del 1992 ha preso forma in svariati e multiformi consessi, per trovare infine l’approdo alla Commissione Ambiente del Senato, ove chi di dovere sta svolgendo e svolgerà le proprie valutazioni del caso al fine di ricavare un disegno di legge unico che possa proseguire il suo cammino parlamentare.
Tutti, a tal proposito, hanno detto di tutto, chi urlando sopra le righe, chi dimostrando molte cautele, chi trincerandosi dietro una presunta bontà dell’esistente. Come già verificatosi in passato in analoghe situazioni, la ragione non sta mai da una parte sola, ma tutti – o quasi – ne hanno tanta o poca, talché tutte queste porzioni dovrebbero essere mescolate tra loro per il più completo risultato finale, come buoni ingredienti per un’ancor migliore ricetta.
Ma tant’è: le posizioni equilibrate sono merce rara, soprattutto quando in mezzo ci stanno voti, interessi o privilegi, come avviene inevitabilmente anche per la Caccia (la quale, si badi, non a caso scriviamo con la “c” maiuscola).
Abbiamo perciò assistito e assisteremo a dispute e litigi poco edificanti tra i cacciatori, a svendite dell’attività venatoria a beneficio dei suoi avversari storici, ad alchimie verbali dei politici, a dannosi equilibrismi delle associazioni venatorie, a strumentalizzazioni (consuete) da parte dei media.
Tutto ciò a significare che di Caccia ancora oggi, quasi allo spirare del primo decennio del XXI secolo, non si riesce a trattare con mente libera da pregiudizi. E le responsabilità di ciò vanno ripartite fra tutti gli attori, anche se qualcuno ne può “vantare” di maggiori rispetto agli altri.
Perché deve essere tanto difficile? Pur comprendendo l’insopprimibilità delle forti pulsioni, pro o contro la Caccia che siano, non possiamo invece comprendere né tantomeno giustificare che in nome di esse si pieghi il legislatore. Semmai, esse andrebbero messe al suo servizio, proprio perché dalla passione scaturisce l’impegno in ciò che si fa, dal quale nascono conoscenza ed esperienza, necessario supporto a chi tecnicamente ne capisce poco o niente (fatte salve rare, lodevoli eccezioni).
In definitiva, domandiamoci: vogliamo fare il bene della Caccia o quello di qualche parrocchia? Pensiamo al progresso per i cacciatori o a quello per le tessere associative? Pensiamo alle ricadute positive per la gestione di territorio e fauna o soltanto a un lifting a uso dell’opinione pubblica? Pensiamo a una seria impostazione tecnica o a compiacere chi vuole restringere specie e tempi in nome di dati tutti da verificare? Pensiamo di invocare l’Europa come alibi punitivo a priori o piuttosto per costruire rapporti seri e biunivoci da Stato sovrano quale siamo?
Pensiamo, pensiamo, pensiamo… intanto passano settimane e mesi e anni e la Caccia italiana continua a boccheggiare attendendo quel po’ di ossigeno che le è assolutamente indispensabile. Eppure, abbiamo fiducia. Ce l’abbiamo, perché fa parte del nostro carattere; ce l’abbiamo, perché non averla sarebbe sciocco e inutile; ce l’abbiamo, infine, perché dobbiamo averla.
La Caccia ha bisogno di pacificazione sociale, vitale premessa per lavorare concretamente sul territorio. E se anche qualcuno, com’è sicuro, cercherà ancora di metterci i bastoni fra le ruote, basterà prendere a riferimento il Sommo Poeta: non ragionar di lor, ma guarda e passa…