Quando ebbi la conferma che la nuova legge sulla caccia era stata varata e che con essa anche gli A.T.C. erano diventati una realtà, mi “sentii male”. Come un fulmine a ciel sereno, passai in un attimo dalle “stelle alle stalle”. Io che ero abituato a cacciare nel “Parco del Gran Paradiso“, mi ritrovavo a dovermi smarrire nel “deserto del Sahara”. Risiedo in Maremma, nell’Alto Lazio e con venti minuti di macchina sono in Toscana, la regione che, venatoriamente parlando, è senz’altro la numero “Uno”. L’estensione del territorio, la bellezza del suo habitat ed il profondo rispetto della cultura venatoria radicato nei toscani, fa sì che questa regione sia un paradiso per i cacciatori. E’ chiaro che io, appassionatissimo seguace di Nimrod cacciavo prevalentemente in Toscana, mentre solo di rado scorrazzavo nella mia regione di residenza. Ora, ad essere fortunato, era tutto il contrario. In un primo momento avevo quasi deciso di trasferirmi a Grosseto, ma in quel caso avrei dovuto anche cambiare lavoro (e forse la moglie!).
Mi fu consigliato d’acquistare almeno cinque ettari di terreno nell’A.T.C. prescelto, ma sinceramente come soluzione mi sembrava alquanto drastica e sopratutto esosa! Infine, da buon italiano, smossi mari e monti, richiamando a dovere tutte le persone che in un modo oppure in un altro mi dovevano qualche favore. Niente, tutto fu vano, non mi rimase altro da fare che mettermi in lista per il sorteggio per ottenere il permesso di averlo come secondo A.T.C., ma con poca speranza. Domato dalla cruda realtà mi dovetti rassegnare. A mali estremi, estremi rimedi. Dovevo convocare subito il consiglio di guerra con Sandro, amico del cuore e compagno di mille avventure. Ci saremmo organizzati insieme per preparare la prossima apertura in ”casa“ dato che, dalle amate macchie toscane ci avevano dato lo sfratto esecutivo. Se c’è una cosa a cui do volentieri ascolto, sono i consigli delle persone anziane.
Un vecchio capocaccia, purtroppo recentemente scomparso, soprannominato “Er diavoletto“, un giorno mi disse: “Il cacciatore deve essere come il carrozziere, meglio prepara la macchina e più bella verrà la verniciatura finale“. “Gli animali devono essere assestati bene prima della battuta di caccia.” Sante parole le sue. Il giorno dell’apertura non puoi pretendere di fare carniere, se prendi una settimana i cani (che assomigliano a delle mortadelle con le zampe) e li porti a fare un giretto di un’ora in un posto dove a primavera un conoscente ha sentito cantare un fagiano mentre andava a raccogliere asparagi. Il giorno dell’apertura, se vogliamo gustarci qualche bella ferma e magari tirare anche a qualche fagiano, dobbiamo preparare la “macchina“ con molto anticipo.
Eravamo ai primi di luglio, un sabato mattina. Sandro ed io eravamo partiti in perlustrazione. Sembravamo Clark e Lewis in territorio indiano. Meta della nostra spedizione era la bellissima zona che confina con la Tenuta del Principe Torlonia nella provincia di Viterbo. Non avevamo i cani dietro: il calendario venatorio imponeva che per l’addestramento si doveva aspettare il 15 agosto, ditemi voi se questo era giusto! Ma comunque ancora non servivano, ne avremmo fatto a meno, saremmo bastati noi due per una prima “assestata". Il fagiano è pur sempre un gallinaceo, ama parecchio pasturare, non sta mai fermo e molto tempo lo dedica alla cura del proprio corpo. Noi due, camminando nel pattume, lungo i sentieri polverosi e nelle culture annaffiate, avremmo visto facilmente le impronte, gli spolverini e qualche piuma. I maschi poi, non di rado, specialmente in prima mattina, si sentono cantare. Un aiuto fondamentale spesso lo possono dare i contadini ed i pastori che si incontrano in campagna. Chi conosce la zona meglio di loro? Io e Sandro, quando ne incontravamo uno, ripetevamo sempre la stessa storia: ”Buon giorno Maestro, abbiamo dei cuccioli da provare, in zona c’è qualche fagiano?” Ed intanto gli allungavamo un pacchetto di sigarette. La zuppa di pesce con una bottiglia di grappa gliela avremmo portata dopo l’apertura se avessimo avuto fortuna! Ripetemmo la scampagnata altre volte, con dei risultati abbastanza soddisfacenti, ma non certo eccezionali, finché un bel giorno……mentre stavo raccogliendo un po’ di finocchio selvatico incontrai Mastro Armando: “Sempre a cercar fagiani?” “Sempre”. Gli risposi “Ma purtroppo con scarso risultato. C’è poca roba in giro, abituato com’ero ad andare sempre in Toscana.” E lui continuò: “Un giorno, se non hai altro da fare, fatti una passeggiata al di là del fiume che costeggia la mia vigna perché spesso in quella zona sento i fagiani cantare”.
Il brav’uomo, per essere sicuro che non avrei sbagliato strada, mi disegnò persino una rudimentale cartina geografica. “Ok” gli dissi “Ci andrò sabato prossimo con i miei cuccioli”. Il più giovane aveva tre anni. Come promesso a Mastro Armando arrivai alle “Tombe“ (così era chiamata quella zona) mentre albeggiava, notando subito e con piacere che l’habitat era veramente meraviglioso. Pensai che se fossi stato un fagiano avrei voluto vivere proprio in un posto come quello. Drago, Kira e Luna erano sovralimentati con il turbo, se gli stavi dietro ti toglievano il fiato, erano in ottima forma fisica e vederli cacciare era un piacere per gli occhi oltre che per il cuore. Dopo neanche un quarto d’ora che giravamo, Luna s’inchiodò in velocità e dalla stoppia frullarono una fagiana e sei pollastroni. Mica male come inizio! Lungo il fiume alzai ancora una covata, nella spalla di falsco ne frullai un’altra e dall’ingresso di un canalone partirono tre maschi. Nel giro di due ore contai più di cinquanta fagiani. Ero Alice nel paese delle meraviglie. Tanti fagiani così lì avevo visti soltanto quando sconfinavo nell’Oasi di Ripopolamento del WWF. Non vedevo l’ora di dirlo a Sandro. Alla sera telefonai all’amico dicendogli che avevo trovato il paradiso terrestre. Gli dissi di farsi trovare l’indomani alle cinque davanti al canile che ce lo avrei portato.
Era ancora buio quando mettemmo in campo tutte le nostre forze: quattro setters e una breton. Con il vento a favore battemmo la stessa zona che avevo setacciato il giorno prima ritrovando più o meno gli stessi animali. Erano tutte covate compatte e poco disturbate ed io pensai che era troppo bello per essere vero, il trucco doveva esserci per forza. Vuoi vedere che nella foga della caccia non abbiamo visto le tabelle e siamo entrati in un divieto? Andammo a trovare Mastro Armando per chiedergli notizie. L’anziano viticoltore, tra una tirata ed un'altra di trinciato, ci tranquillizzò dicendoci che da quando era nato (quasi un secolo prima!) non c’erano mai state riserve in quella zona. Sostenne che se i fagiani erano tanti e tranquilli dipendeva dal fatto che quei terreni erano molto impervi e infestati di vipere. Per niente impauriti dagli avvertimenti del “Sor Armando”, ritornammo alle “Tombe” diverse volte ma senza calcare troppo la mano, giusto quel tanto per conoscere bene i movimenti dei selvatici nelle varie ore del giorno. E una settimana prima dell’apertura decidemmo che era giunto il momento di non andare più a disturbarli.
Possibile che, con tutte le volte che eravamo andati ad allenare i cani, non avevamo trovato mai nessun altro cacciatore? Forse era tutta una favola e Mastro Armando era come la fatina di Cenerentola? La penultima domenica di settembre io e Sandro, silenziosi come spettri e con i cani legati, aspettavamo il sorgere del sole almeno un’ora prima. Se le nostre aspettative erano esatte, nella macchietta davanti a noi doveva dormirci una covata di fagiani. Eravamo in sette: io, Sandro e…. cinque cani, uno più “arrapato” dell’altro. La giornata sì presentava chiara senza una nuvola nel cielo. Fra pochi minuti sarebbe stato giorno, ma ancora non ci si vedeva bene per poter sparare. Ad un tratto Sandro bisbigliò: ”Se aspettiamo ancora altri cacciatori ci circonderanno. Vedrai che tra poco ci sembrerà di stare alla fiera del paese. Io mi apposto e tu sbrigati a liberare i cani prima che venga troppa gente.” Come Garibaldi a Teano gli risposi: ”Obbedisco. Il capocaccia sei tu, anche se a me sembra ancora troppo buio”.
Liberai i cani contro luce, ebbi appena il tempo di caricare il Benelli M1 Super 90 che già erano tutti in ferma. Drago e suo fratello Argo avanti, gli altri tre dietro di consenso. Al comando: “Sotto belli” frullarono due maschi adulti e Sandro, concentratissimo, non li perdonò. Arrivai di corsa appena in tempo per veder volare quattro femmine, gli tirai male tre colpi ma ne colpii ugualmente due. Ricaricai veloce mentre marcava i punti dove si andavano a posarsi le altre. Sandro con la breton andò al recupero dei capi abbattuti, mentre io, come al solito, feci le feste ai miei bravi ausiliari. Non era ancora sorto il sole che avevamo già abbattuto quattro fagiani. Mi guardai intorno, sospettoso come un ladro, e solo allora capii che eravamo completamente soli! In tutta la mia vita non mi era mai capitata una cosa del genere, era tutto così irreale. Una spiegazione logica non riuscii a trovarla. Gli anni precedenti dove c’era qualche fagiano si rischiava di fare a schioppettate. Inoltre, strano a dirsi, non sentii neanche la mancanza delle felici aperture in Toscana. Sapevo che in futuro l’avrei sicuramente rimpianta ma quel giorno me lo sono veramente goduto. Avevo sostituito le cartucce Elite della Fiocchi con un altro tipo che non andarono troppo bene e quasi tutti gli animali che abbattei caddero feriti, ma per il resto fu una giornata indimenticabile, fu proprio un’apertura da favola. Purtroppo non posso dirvi precisamente quanti fagiani incarnierammo quel giorno. Per la cronaca furono quattro, due per ogni cacciatore, ma se avremmo potuto contare anche i cani come dei componenti della squadra, forse avremmo avuto la possibilità di abbatterne addirittura quattordici !!!!