Nella società contemporanea, la caccia deve essere concepita in modo diverso, quantomeno rispetto al recente passato, prima di tutto dagli stessi cacciatori.
La caccia non è più, da tantissimo tempo, un’attività di sussistenza. Non può certo essere considerata uno sport, come si faceva qualche decennio fa. E non è nemmeno un’attività ricreativa qualsiasi.
La definizione di caccia che prediligo, e mi sembra più attuale, è invece questa: caccia come utilizzo razionale e sostenibile di una risorsa naturale – la fauna – non infinita, ma rinnovabile.
Tradotto in pratica significa che, indubbiamente, noi tutti pratichiamo la caccia per passione, ma questo non è sufficiente: la nostra attività si deve fondare su presupposti tecnico-gestionali solidi e applicati con rigore. In modo che si possa continuare a cacciare anche in futuro e che noi possiamo consegnare alle nuove generazioni un ambiente ed un patrimonio faunistico più ricchi di quelli che abbiamo ricevuto in custodia dai nostri predecessori.
In questo senso, la caccia è molto importante e i cacciatori hanno molte più responsabilità che in passato.
Nella nostra società molte persone, in particolare quelle che vivono in città, non hanno più un rapporto diretto con la natura. Conoscono la natura in modo “virtuale”, soprattutto attraverso i media. Ci sono bambini che sanno molto sui leoni del Serengeti, ma non hanno mai visto una mucca, una gallina o una pecora… in carne ed ossa. Così la natura, più che un’esperienza, diventa un’icona, un’immagine artefatta. Una sorta di fiction. Far capire a persone con questa formazione culturale cosa sia in realtà la caccia è molto difficile.
Però quando si parte da una gestione faunistica seria e si fanno avvicinare le persone, un passo al volta, agli ambienti naturali concreti e vicini, alla fauna che li popola ed alla sua gestione sostenibile… i risultati arrivano. Certo, ci vogliono impegno e pazienza.
I cacciatori, da parte loro, devono crescere culturalmente e, fra le altre cose, imparare a comunicare in modo efficace.
Fra i tanti comunicatori, mi piace qui ricordare Mario Rigoni Stern, da poco scomparso. Non ho avuto la fortuna e il privilegio di essere suo amico, ma non lo dimenticherò mai. Come un grande nella letteratura italiana del ‘900. Come uomo di montagna che sentiva la natura sulla pelle e insieme nell’anima. Come cacciatore e comunicatore di rara sensibilità.
Ettore Zanon