Negli ultimi decenni è molto aumentata l'abitudine delle famiglie italiane avere un cane per compagnia o per affezione. Ci si procura un cucciolo appena svezzato che viene allevato in casa, facendolo così integrare perfettametne con i ritmi della vita domestica e venendo presto considerato un membro della famiglia.
L'attitudine alla convivenza del cane con l'uomo è merito degli allevatori che sono riusciti a dotare il cane (derivato dal lupo selvatico) di una plasticità neuronale (capacità del cervello di modificarsi con le esperienze) e di una sinaptogenesi (trasferimento di informazioni tra le cellule attiva nel periodo sensibile fino ai 24 mesi del cane) tali che la sua capacità di apprendimento e di adattamento risulti superiore a quelle di tutti gli animali domesticati.
Grazie a questo miglioramento dell'apparato cognitivo, il cane non solo è in grado di convivere facilmente con l'uomo ma anche di svolgere attività utili come la caccia, la difesa, la guardia, il controllo del bestiame. Cose impossibili a tutti gli altri animali domesticati, che sono solo "strumenti" creati dall'uomo per produrre ottusamente carne, latte e forza lavoro.
Come detto, il cane discende dal lupo selvatico, un predatore che vive e caccia in un gruppo, regolato da socialità e da assetto gerarchico sotto la dominanza del capo branco che ne assicura l'assetto ordinato, evita liti sulla priorità nella alimentazione e nella scelta delle femmine, e assicura difesa del territorio e successo nella caccia.
In natura, poichè la sopravvivenza dei lupi dipende dalla vita in branco, lo scopo del repertorio di moine, contatti, finti assalti, posture di sottomissione verso il capo branco, è quello di rinsaldare questo. Il cucciolo separato dalla madre e dai fratelli e introdotto nella casa del padrone, non avendo esperienze precedenti, applica a questa nuova realtà ciò che gli suggerisce l'istinto genetico, vede nel padrone prima un sostituto della madre (e poi un capo branco), si sforza di essere accettato e di rinforzare il rapporto con la famiglia con lo stesso repertorio di moine festose che usava con la madre.
Questi atteggiamenti infantili e accattivanti del cucciolo, vengono interpretati dal padrone e dai familiari in una chiave antropocentrica, come espressioni di affetto e di riconoscenza e ciò fa emergere in loro l'istinto protettivo (comune nei mammiferi) alla tutela parentale della prole inetta, e così il cucciolo viene considerato e trattato come un bambino (con diminutivi, attenzioni ecc).
In realtà attribuire al cane intelligenza e capacità di sentimenti è inappropriato, perché il cane non ha coscienza di sè, non è in grado di programmare il futuro e non è in grado di comprendere i nessi logici esistenti tra i fatti perchè le sue associazioni sono basate solo sulla vicinanza temporale tra essi: se al fatto A segue da vicino il fatto B, per il cane A è la causa di B.
Dal postulato deriva il corollario che premi e punizioni per obbligare il cane a certi comportamenti, sono efficaci solo se quasi contemporanei all'azione o all'omissione. Ad esempio il cane che rifiuta a lungo di obbedire ai richiami del padrone e quando ritorna assume un atteggiamento contrito non perchè abbia coscienza della disubbidienza, ma perchè sa che il padrone lo punisce (anche se non sa collegarlo al mal fatto).
Tuttavia la vera natura del cane domestico è ancora poco conosciuta, perchè la scienza dopo i remoti esperimenti di Pavlov sui riflessi condizionati, non si è più occupata del cane domestico, considerato un prodotto artificiale della selezione e solo dopo gli studi di K. Lorenz gli etologi, anche sulla scia delle ricerche sul lupo selvatico, sono tornati a studiare sistematicamente la natura del cane.
Gli etologi dunque, ripercorrendo a ritroso le tappe evolutive che dal lupo selvatico hanno portato al cane domestico, sono riusciti a distinguere in lui ciò che è eredità diretta del lupo da ciò che è frutto della pressione selettiva.
Così possono considerarsi eredità del lupo la territorialità, la socialità, la gregarietà, l'opportunismo, la volontà di dominio, l'ostilità verso gli estranei al gruppo, mentre sono dovuti alla selezione la plasticità neuronale, la sinaptogenesi, la docilità, il tasso di addestrabilità e la tendenza a preferire la compagnia dell'uomo a quello dei suoi consimili.
In conclusione il motore fondamentale dell'agire del cane resta l'istinto cioè quel complesso di reazioni automatiche finalizzate alla sopravvivenza orientativa e diretta dal, meccanismo piacere-dolore, in quanto un senso di benessere si accompagna e stimola le azioni utili, mentre un meccanismo inibitorio (dolore-paura) dissuade da quelle pericolose.
Una caratteristica pressochè costante del cane domestico è la fedeltà al padrone (visto come capo branco), un vincolo che ha riferimento non alla singola persona fisica ma piuttosto a chi tempo per tempo riveste il compito di padrone, con la conseguenza che in genere passare da un padrone ad un altro per il cane è quasi indifferente.
Un fenomeno non molto frequente (e spesso trascurato ma presente talora nei cani di utilità) si presenta quando il vincolo verso la dominanza del primo padrone assume una dimensione così totalizzante da divenire il vero essenziale punto di riferimento della esistenza del cane tale da sovrastare sia l'opportunismo, sia alcuni istinti fondamentali.
In questi casi il cane nel gergo cinofilo si definisce "appadronato" perchè il vincolo è assoluto, eterno, immutabile, non è intaccato ne da maltrattamenti ne da lunghe separazioni.
Infatti se separato dal primo padrone il cane "appadronato" per alcuni giorni appare spento, rifiuta di alimentarsi e di svolgere i compiti cui era stato addestrato, e se in seguito torna ad alimentarsi e a svolgere il suo compito, lo farà in modo diverso da quello originario perchè il vincolo con il nuovo padrone non intacca quello con il primo, che resta uguale a se stesso, anche a distanza di tempo.
Questo fenomeno ricorda quello che K. Lorenz ha definito come "imprinting" e nel cane domestico ciò è favorito dalla ipersensibilità (dovuta alla selezione) del sistema nervoso che rende precaria l'omeostasi.
I neurofisiologi definiscono l'"imprinting" una "stabilizzazione sinaptica selettiva".
In natura l'"imprinting" ha una funzione essenziale perchè consente ai cuccioli appena nati di riconoscere la madre (da cui dipendono per tutto) e poi i propri consimili.
Enrico Fenoaltea