Tempo fa lessi stupefatta un testo in cui si citava un fenomeno talmente ovvio da passare quasi inosservato. Si parlava della propensione, insita in ognuno di noi, a preferire alcune specie, più “coccolose” o più carismatiche, rispetto ad altre di cui, onestamente ci frega ben poco. Il fenomeno si deve ad una certa naturale empatia, dettata da particolari schemi del nostro cervello che ci fanno preferire per esempio le forme tonde e gli occhi grandi (perché ci ricordano un cucciolo umano), innescando in noi un naturale istinto di protezione.
E' per quello che Disney ha attribuito occhioni spropositati al cerbiatto Bambi (Bambi starà per bambino?), la cui madre, manco a dirlo, è finita in stufato a causa di un cacciatore. Sicuramente tra una scolopendra e un gattino non abbiamo dubbi su chi preferire. Come tra una mucca e un maestoso cervo. Sono in molti, ovviamente tra i non cacciatori, a scandalizzarsi se ammetti di amare la carne di selvaggina. Al ristorante, se ordini capriolo potresti urtare la sensibilità di qualche fan di Bambi, ma nessuno muove un ciglio, a meno che non andiate a cena con un vegano radicale, se però opti per una bella bistecca al sangue, di manzo, ovvio.
L'effetto Bambi si verifica anche nei confronti dei grandi predatori, come il lupo, a cui attribuiamo caratteristiche umane positive, come il coraggio, l'intraprendenza, l'astuzia, la fedeltà. Da decenni, nel calduccio delle nostre case cittadine, abbiamo imparato a non temerli più. E i nostri occhi si riempiono di cuoricini quando ne incrociano uno sui nostri profili Facebook.
Ecco il principale motivo per cui il dibattito sul lupo delle ultime settimane ha avuto così poca attinenza alla realtà. Perfino gli scienziati, quelli accreditati per le loro conoscenze faunistiche, si sono sbragati con i loro “il lupo non si tocca!”, ergendosi a fieri paladini dell'ambiente e degli animali belli, che è poi il motivo per cui molti di loro hanno intrapreso gli studi faunistici. Perfino certi illuminati divulgatori scientifici hanno fatto tabula rasa, incespicando sulle motivazioni del no a tutti i costi al contenimento numerico.
Scherzando, potremmo scomodare i paradossi della meccanica quantistica (è l'osservatore che costringe la natura a rivelarsi in uno dei possibili valori) che dimostrerebbe almeno in parte come sia possibile che un'intera nazione cada in un trip sensoriale in cui i trend di crescita e i dati incontrovertibili delle predazioni (leggi danni al patrimonio zootecnico), contino così poco. Conta poco il sangue degli ovini sgozzati (sempre che non sia Pasqua e il lupo non c'entri), conta poco che decine e decine di piccolissime imprese familiari cadano come foglie, che chiudano produzioni di pregio simbolo della nostra italianità. Il tabù del lupo è dentro di noi. Tanto che sui siti come questo si fa fatica anche a nominarlo. Ormai i cacciatori temono di essere additati, (e lo sono) come quegli inguaribili sparatori che non vedono l'ora di metterci le mani sopra. E via con le congetture sulle pressioni della lobby venatoria su Governo e Ministro Galletti (se Galletti fosse stato impressionabile dalle doppiette a quest'ora si caccerebbero tordi a febbraio!).
Per lo meno resta da augurarsi che, in fatto di fauna, quello del lupo resti l'unico vero tabù. Il popolo lo difende, quindi lasciamo pure che cresca, la decisione sarà solo rimandata. E si mettano il cuore in pace quei montanari che devono fare i conti in fondo al mese, sperando giorno dopo giorno di non incappare in un branco affamato.
L'approccio gestionale ha prevalso per fortuna in altre situazioni, anche se per esempio per lo scoiattolo grigio e per la nutria si è dovuto attendere l'imposizione da parte dell'Europa prima di muoverci davvero. Prima abbiamo temporeggiato, strizzando l'occhio a quel mondo animalista che ha tanta, troppa, influenza sulla politica. Nemmeno la prospettiva dei gravi danni alla biodiversità ha fatto tentennare certi amministratori, così pronti ad arruffianarsi la Onlus di turno. Fino a che non è stato inevitabile.
Ma per il lupo ovviamente è tutta un'altra storia. La specie sta bene, non è in pericolo, i numeri lo dimostrano, portando man mano alla luce la crescita esponenziale che gli allevatori hanno gradualmente constatato sul campo. Ma anche qui tutto sembra essere opinabile. Certo cresce ma il pericolo di estinzione è sempre dietro l'angolo per alcune grandi menti animaliste, e ogni ipotesi di prelievo può seriamente mettere a rischio la stessa sopravvivenza della specie in Italia. La logica di certi ragionamenti trovatela voi, se riuscite.
Cinzia Funcis
P.s. A proposito, chi volesse consultare il
Piano sul lupo redatto dal Ministero (la cui approvazione è stata rimandata per opportune valutazioni dopo la marcia indietro di diverse Regioni),
lo può trovare qui, nell'ultima versione disponibile (Gennaio 2017)