Tra poche settimane verranno resi noti i risultati della raccolta firme della petizione europea per la protezione del suolo, che in Italia, come altrove, ha impegnato le organizzazioni che hanno a che fare con l'ambiente e con lo sfruttamento sostenibile delle sue risorse, comprese quelle venatorie. A seconda del volume di partecipazione, ovvero del numero di firme raccolte, ci si potrà fare anche un'idea di quanto un argomento di così vasta portata – e così importante - possa far rizzare le antenne della politica e trovare riscontro reale nelle azioni concrete.
Secondo l'ultimo rapporto Ispra, i terreni sottratti dall'uomo alla natura in Italia sono aumentati di circa 250 km quadrati negli ultimi due anni. Il che significa che si sono persi circa 35 ettari di suolo ogni giorno. Compromessa è ormai più del 7% della superficie dell'intero paese, coperta da edifici, discariche, cantieri e asfalto. In cima alla lista delle Regioni più sconsiderate ci sono Lombardia, Veneto e Campania, dove si è ornai superato il 10% di territorio “consumato”. Non vanno molto meglio anche Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Puglia, Piemonte, Toscana, Marche, dove si registrano valori tra il 7 e il 10%.
Nonostante questi numeri spaventosi, l'indignazione per l'avanzata del cemento, a spanne, sembra essere niente più che un pensiero fugace fra i tanti che affollano le teste dei nostri concittadini, i quali per la maggior parte frequentano la campagna (o quel che ne rimane) e i boschi giusto per qualche gitarella sporadica. Il cemento ormai fa parte di noi. Lo abbiamo davanti agli occhi ovunque e ci stiamo pian piano adattando (o meglio, rassegnando) al nostro nuovo habitat, con tutte le sue scintillanti sfumature di grigio.
Anche se un'importante leva verso la protezione del suolo è certamente la fruibilità degli ambienti naturali, che sia venatoria, turistica o sportiva, in gioco c'è molto di più. La sopravvivenza della nostra decantata meravigliosa biodiversità. E quindi la responsabilità di consegnare ai posteri tutto questo enorme, seppur già depauperato, patrimonio naturale. Siamo uno dei pochi paesi al mondo che può ancora vantare (non certo per merito nostro ma per la combinazione particolare di clima e territorio) una grande varietà di specie animali e vegetali, siamo il primo paese in Europa in questo senso e ne dovremmo essere orgogliosi.
Un ruolo importante, nella nuova visione europea sulla protezione del suolo, lo giocano i cosiddetti “servizi ecosistemici”, quelli cioè prodotti naturalmente da un suolo di buona qualità. Servizi che hanno un valore economico, oltre che sociale e sanitario. Per intendersi, cose come qualità dell'aria, dell'acqua, del clima, mantenimento dei cicli naturali. Questi servizi, sottratti indirettamente dall'avanzare della copertura del suolo, si traducono in un danno che Ispra stima tra i 540 e gli 820 milioni di euro l'anno. Costi che ricadono direttamente sugli agricoltori (perdita di produzione) e sulle amministrazioni locali, basta pensare, per esempio, ai danni provocati dalla mancata infiltrazione d'acqua di un suolo che non è più in grado di assorbire.
Tramontata la prospettiva di una direttiva proposta anni fa dalla Commissione UE, in Europa si cercano strumenti alternativi all'imposizione per legge di obblighi per i possessori di terreni e per gli Stati. Come è la recente mappatura dei servizi ecosistemici appunto, che, come giustamente ricorda Filippo Segato nell'ultimo numero del Cacciatore Italiano, mensile della Federcaccia, è qualcosa che interessa direttamente i cacciatori. In tutta questa discussione, infatti, la caccia c'entra eccome, essendo nominata espressamente proprio tra questi servizi per la collettività. Il che significa che, tradotto per quei duri di orecchie degli “ambientalisti”, la caccia è uno dei risultati positivi prodotti da un suolo sano. Un suolo che spesso è conservato proprio per ragioni di caccia, che, quindi, paradossalmente, ma nemmeno poi tanto, è più ambientalista del birdwathcing e delle passeggiate ecologiche di Wwf e compagnia bella.
La Commissione Ue riconosce a questi servizi, e quindi alla caccia, un ruolo cardine nel suo Piano d'azione per la natura, i cittadini e l'economia. Uno strumento dato in mano ai Paesi membri per attuare le direttive Habitat e Uccelli. In Italia si dovrebbe procedere con la mappatura e la valutazione degli ecosistemi e dei loro servizi, e stando a quanto dice Segato nel suo articolo, il Ministero dell'Ambiente ha già fornito il sostegno finanziario alle università e alle associazioni a carattere scientifico per l'attuazione di questo processo.
In questa mappatura potrebbero (e dovrebbero) finire di diritto tutti quei risultati recensiti dalla Face nel suo manifesto per la biodiversità. I report annuali riportano in modo dettagliato quali sono le azioni positive per gli habitat e per le specie in tutta Europa condotte dai cacciatori. Per esempio nel 2016 si contano 221 progetti distribuiti nei vari stati per il ripristino di habitat, lo studio e la reintroduzione di specie e la lotta contro le specie invasive. I cacciatori sono protagonisti d'iniziative che contribuiscono agli obbiettivi di protezione della Rete Natura 2000. Diversi riguardano anche l'Italia (la ricostruzione di migliaia di ettari di superficie allagate in Emilia Romagna, il mantenimento di laghi di caccia in Toscana, la gestione delle aziende faunistico venatorie del nord Adriatico dal Friuli al Delta del Po). Ambientalisti per davvero, quindi, misconosciuti, ma concreti. In contrapposizione alle decine di sigle, anche altisonanti e presenti su tutti i media e in tutti i talkshow, che ormai cantano il deprofundis di fronte ai loro clamorosi insuccessi. Ambientalisti nella polvere, quindi e caccia sugli scudi. Si spera, dunque, che il Ministero ne tenga debitamente conto.
Cinzia Funcis
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