Pubblichiamo con piacere queste note di Michele Milani che introducono il bellissimo libro "La Caccia di Igles e dei suoi amici", che raccoglie il meglio della odierna cucina stellata, a conferma che la caccia ancora oggi costituisce un patrimonio economico, sociale e culturale di cui dobbiamo tutti essere orgogliosi. Un messaggio anche per i cacciatori, affinchè sappiano apprezzare il bene di cui dispongono e rendere onore alle responsabilità che hanno nei confronti della caccia e della società.
Ecccole:
Ancora un libro di caccia?
No, non è corretto, questo non è semplicemente un libro di ricette di selvaggina... Questo libro vuole dimostrare che c'è interesse per un mondo che oggi è ingiustamente bistrattato e relegato a semplici ricordi della tradizione. La carne di selvaggina è una risorsa straordinaria, una grande opportunità nel territorio e una meravigliosa materia prima nella cucina di chi la sa valorizzare.
I grandi chef, che hanno aderito a questo progetto, da sempre la utilizzano per piatti che emozionano lasciando piacevoli ricordi in chi li ha provati. La grande cucina di valle di Maria Grazia Soncini a Codigoro, che meraviglia!
Germani, alzavole, fischioni tutte anatre che oggi, per motivi incomprensibili, non sono più disponibili sul mercato.
Si cacciano, si cucinano, ma i ristoratori non possono più proporli ai loro appassionati clienti, a meno che non sia il cliente stesso a portarli al ristorante per farseli cucinare...
Un paradosso tutto italiano.
Negli anni passati si facevano anche centinaia di chilometri per un risotto di caccia con l'alzavola al Trigabolo di Argenta, o per una beccaccia da Uliassi a Senigallia.
Piccioni, tortore, colombacci e grouse nella fantasia dei grandi cuochi diventano piatti indimenticabili.
Quel piccione di Davide Scabin, che grande interpretazione!
Dobbiamo tornare ad averne disponibilità per le loro cucine, in modo regolare, senza nasconderci dietro a ipocrisia e ignoranza.
Fortunatamente con la selvaggina “di pelo” le cose cambiano, in Emilia Romagna la filiera controllata consente un regolare mercato di “caccia”.
Grazie a una determina dell'Asl si è potuto indicare un percorso corretto per il trattamento e la conservazione degli ungulati cacciati sull'Appennino.
La valorizzazione di queste carni deve diventare una risorsa per la promozione di un territorio che rischia l'abbandono anche per l'insostenibilità di un'economia agricola tradizionale.
La selvaggina acquistata tramite la filiera proviene da una corretta gestione dell'ambiente, prevede rigide regole per il prelievo e il controllo sanitario fiscale.
Regolarizzando così il mercato si ha una diretta vigilanza anche del bracconaggio.
Questa valorizzazione ci obbliga a cambiare punto di vista anche come cacciatori, dovremmo necessariamente diventare sempre più gestori di un patrimonio straordinario, cercando di avere massima cura dell'ambiente in cui questi animali si trovano e dovremo farlo con tutti i soggetti direttamente coinvolti, proprietari e agricoltori per primi, ma anche con quel mondo ambientalista meno radicale che comprende queste posizioni.
Il mondo agricolo oggi vede nella fauna selvatica una criticità che spesso si scontra con la realtà produttiva, in tutte quelle zone di produzione pregiata è una convivenza difficile, spesso impossibile, ma dove l'ambiente è più consono a caprioli, daini, cervi e cinghiali, si possono trovare vantaggiosi compromessi per tutti.
Sono profondamente convinto che il futuro della gestione faunistica passi necessariamente da una valorizzazione della selvaggina che abbia ricadute concrete sulla promozione anche economica del territorio.
Michele Milani