Ormai era diventato vecchio, le sue membra erano stanche per il tanto muoversi che avevano fatto ed anche il suo intelletto, quella magica Fucina di Vulcano, che gli aveva illuminato con chiarezza e molta razionalità l’intera esistenza, non aveva più voglia di sforzarsi per capire, per prevedere e per risolvere… la sua “Fucina” ora egli la teneva “spenta”, come amava dire lui.
Sulla poltrona, davanti all’ampio camino della grande villa in cui era nato, cresciuto ed invecchiato ci stava proprio comodo e la tazza del tè caldo e profumato di limone gli trasmetteva un senso di calore e benessere di cui si rallegrava, sorridendo, mentre guardava un grosso ciocco di legno di pesco bruciare tra gli alari con una fiamma rossastra, emettendo il profumo piacevole di quel frutto maturo.
Tutti lo conoscevano in paese, era stato per tutta la sua vita un bravo medico ed un grande cacciatore di Beccacce e lui si compiaceva che queste fossero le sue credenziali, era contento di essere stimato come il migliore della valle in questa difficile caccia invernale.
Fin da ragazzo aveva avuto cani buoni o eccezionali, ma soprattutto la capacità di trovare i luoghi in cui lo scolopacide dal lungo becco amava fermarsi per cercare nel terreno umido e ricco di foglie marce, la sua pastura preferita, i vermi ed i piccoli invertebrati di cui era ghiotto.
Ormai da anni non cacciava più, da quando il giovane cardiologo gli aveva diagnosticato un affaticamento ed una leggera cardiopatia senile legata ai troppi sforzi fatti, lui aveva cercato pace nell’ozio e nei ricordi, soprattutto in questi trovava quel piacere a cui neppure ora sapeva rinunciare, perché quelle emozioni erano parte integrante della sua vita, non le poteva dimenticare.
Mentalmente, con l’anima, percorreva da quella poltrona il suo bosco ed i viottoli che conosceva a memoria, gli pareva di passare tra la vegetazione… ne scansava idealmente gli ostacoli, arrivava nei luoghi in cui Lei, la regina, c’era e lì guardava la sua brava spinona Leda, tessere quella magica tela che solo lui capiva e intuiva, quasi vedeva: della sua spinona percepiva i fremiti e le emozioni, … eccola là Leda, era ferma tra gli arbusti; era il preludio, stava iniziando una nuova opera lirica e lui con la bacchetta ne dirigeva magistralmente l’orchestra. Che belli quei momenti! Non era facile definirli, spiegarli, trasmetterli a chi non fosse mai entrato in quel gioco che lui faceva con la Natura, nel suo scrigno più bello e con le regole più difficili e rigorose, un gioco che lui vinceva quasi sempre e che gli faceva pensare di essere benvoluto anche dalle divinità dei boschi, da Pan e dalla Natura stessa.
Era stato un privilegiato, sì, lo era stato, e quando ci pensava, desiderava ringraziare l’entità che glielo aveva concesso, così a lungo, per così tanto tempo e sempre pienamente, il suo spirito era riconoscente.
Ormai mancava poco al Natale, il clima stava tornando quello di quei giorni di festa e in casa lo vedeva dall’atteggiamento di tutti, dei figli, dei nipoti e della sua donna che lo aiutava e seguiva da tanto tempo, oltre ad amarlo con tutta se stessa.
In questo periodo, immaginava tra sé e sé, che con quella nebbiolina e con quella temperatura fredda, veicolata fin nelle ossa dall’umidità, … Lei, la regina, sarebbe stata in due o tre posti, ben noti, definiti, certi, … anzi, li voleva rivedere, e per questo la sua mente li cercava tra i quadri dei ricordi che coprivano la parete del tempo; e li trovava facilmente perché nei ricordi e nella memoria era ordinato e molto forte. Il posto migliore, in questi giorni, era quella piccola radura, poco oltre la macchia dei carbonai, vicino al rudere della casa del Gobbo della Venturina, ci si arrivava a fatica, pochi trovavano il vecchio sentiero, ormai scomparso negli anni, fagocitato quasi del tutto dal bosco, sempre più invadente e non rinnovato periodicamente come una volta, quando ogni tredici anni immancabilmente veniva tagliato, per la legna.
Era la sua mente che avanzava nel bosco, idealmente scostava i rami dei carpini, che gli sbarravano il passaggio, le scope si aprivano al suo incedere deviate dalle ginocchia e dal calcio del vecchio e leggero sovrapposto Beretta che gli pendeva dal fianco destro, finalmente arrivò nel piccolo tratto libero dalle piante… il cane era in ferma, una statua di marmo bianco tra la vegetazione dormiente del bosco invernale, uno sguardo sul fucile aperto; dalla culatta emergevano appena sollevati i fondelli della due cartucce F2 Flash, con la loro bella capsula di rame, lussuosa, di tipo coperto, ornata da una bomba fiammeggiante…
I due nipoti, i figli di suo figlio, la sua intima speranza di immortalità, arrivarono nella sala in quel momento e lo salutarono, affettuosamente, come sempre, … interrompendo la caccia, il sogno. Erano ragazzi molto belli, forti di corpo e spirito, avevano quella luce negli occhi che si ha da giovani, prima di capire come la vita non sia un premio; lo amavano, infatti lui stesso lo percepiva, dalle parole, dal tono della voce, ma soprattutto dagli sguardi. Alberto il più giovane lo guardava senza staccare gli occhi dal suo volto… il ragazzino aveva una predilezione per il nonno, lo amava da sempre, lo ammirava silenziosamente, pendeva dalle sue labbra, le stesse che ricambiandolo, ormai da qualche anno gli trasmettevano i suoi ricordi, i suoi piccoli trucchi, i piccoli segreti, quelle sue personali abilità e capacità, che a nessun altro avrebbe donato, mai.
Alberto pur se ancora ragazzino, aveva il sacro fuoco di Diana che gli bruciava dentro, il nonno ne aveva soverchia responsabilità, lo aveva tirato su fin da bimbetto raccontandogli della caccia, della sua vita venatoria, trasmettendogli passione e curiosità; tante volte lo aveva osservato mentre puliva i suoi fucili davanti al focolare, mentre ordinava le cartucce nelle loro cartuccere di pelle o nelle loro scatole di cartone.
Nessuno lo sapeva, ma da poco Alberto era stato addirittura iniziato, il nonno lo aveva fatto sparare cedendo alle sue suppliche, con il leggero monocanna Beretta calibro 36, le cui cartuccine rosse di cartone, con la testa del cane ed il piccolo dischetto di chiusura col numero dei pallini, facevano su di lui un effetto di immensa curiosità ed attrattiva… ed era bravo Alberto, nel maneggio sicuro e prudente che il nonno gli aveva insegnato e nel tiro sempre accurato e centrato in modo spontaneo.
Dopo i primi cartoni riportanti per bersaglio l’immagine di una beccaccia , aveva iniziato a sparare ed a colpire i barattoli vuoti da pomodori pelati, che prendeva da una cassa sul retro del cortile della villa, ormai colpiva quasi sempre anche quelli lanciati in aria dal nonno. Spesso il giovane si perdeva nei suoi racconti, che lo trattenevano in casa o nel cortile e il vecchio lo trovava sempre più simile a se stesso da giovane, riscontrando in lui quell’erede in cui ormai non sperava più.
I giorni passavano e le Feste erano alle porte, ormai il clima natalizio era evidente ovunque, la villa era addobbata con fili d’argento e palle colorate di vetro lucido, l’albero ed il piccolo presepe erano a fianco del grande camino. Fu nel pomeriggio della vigilia di Natale, che tutta la famiglia si riunì e decise di portare i nonni in città per fare le spese tradizionali per il cenone e le Feste che sarebbero seguite, ma pur su grande insistenza il nonno non ne volle sapere; non aveva voglia di andare a spasso tra la confusione, con tutti gli altri, … poi era un pomeriggio bellissimo, con un cielo plumbeo che prometteva neve ed una leggera nebbiolina che invadeva e offuscava a tratti la macchia che circondava la villa … la sua visione preferita, quando andava a finire il giorno a caccia, col cane ed il fucile, cercando la “regina del bosco” al vespro, come Hemingway. La famiglia andò, ma un poco per caso, un poco per destino, il giovane Alberto volle rimanere a casa, a far compagnia al nonno, … per non lasciarlo solo, diceva, come a giustificare la sua scelta.
I due erano nella sala, in silenzio contemplativo, non davanti al camino, ma in piedi, alla grande finestra che dava sul giardino e sull’antistante parco della villa, guardavano quel cielo e quella zona boscosa, con il medesimo pensiero nella mente, la caccia, le beccacce, … nella magia di quel nuovo Natale in arrivo. Fu Alberto a rompere il silenzio, chiese in modo improvviso e diretto al nonno, se mai avesse preso o trovato beccacce nel grande parco della villa, … il nonno si voltò sorridendo, lo guardò diretto negli occhi intensamente, sorrise e fece un cenno di conferma col capo. Rispose che molti anni prima, quando partiva per la caccia, quando le leggi erano razionali e giuste, lui si avviava col fucile in spalla ed il cane al seguito, dalla porta di casa della villa, ed il primo tratto del percorso venatorio era proprio nel parco, in cui negli anni aveva trovato le beccacce diverse volte, spesso in un punto preciso, che evidentemente preferivano, … vicino allo stagno, ai piedi di un grande noce secolare.
Ora Alberto pareva sognare, rimase in silenzio alcuni minuti, poi si rivolse al nonno, lo guardò serio e raccolto tutto il coraggio dal suo giovane cuore, in un fiato gli chiese se - essendo la casa vuota e non essendoci nessuno in giro - non potessero andare a vedere in quel posto, se ci fosse una beccaccia, portando Leda ed il piccolo fuciletto calibro 36…!
Il vecchio ebbe un sussulto, non se lo aspettava, … ma la proposta del ragazzino lo aveva investito come una folata di vento di gioventù, con un turbine di passione ed entusiasmo, lo aveva spiazzato; ora un insistente desiderio gli tormentava il vecchio cuore, passando nella sua anima, ecco che … si risvegliava in lui il vecchio grande beccacciaio.
Touchè, si disse, guardò il nipote negli occhi e si sedette invitandolo a farlo anche lui; non poteva apparire così sfrontato e cedevole, da accettare su due piedi e senza meditare almeno in apparenza, quella proposta di un ragazzino, non poteva accettare di fare una cosa proibita, non lecita, … cacciare nel parco, senza licenza … ma, pensò, sono regole di uomini mai stati cacciatori, … ed ormai sapeva che sarebbe andato.
Le parole uscivano ora dalla sua bocca e il suo pensiero correva, pensava già a dove fosse stata messa la sua giacca maremmana di fustagno, i pantaloni pesanti di velluto, il cappello cerato da caccia. Certo il monocanna Beretta 36 e le cartucce del n. 10, non erano un problema, erano lì davanti a lui nella fuciliera a vetrina, ma avrebbe preso anche altro... E gli stivali di cuoio dove saranno stati? … E poi, la vecchia Leda, dopo tanti anni avrebbe avuto la passione, l’istinto, la capacità di cacciare ancora?
Bastarono alcuni attimi, tutto fu pronto, il vecchio sentiva il cuore battere all’impazzata in quel suo vecchio petto, ma non era un fastidio, era quell’agitazione che conosceva ed aveva vissuto mille e mille volte; quel cuore faceva una cosa non nuova passata in tante antiche occasioni, non accadeva niente di grave là sotto alla sua giacca maremmana, appena indossata di nuovo dopo tanti anni. Aprì la vetrina e prese il fuciletto Beretta 36 con un pugno di cartucce rosse di cartone, si voltò, lo porse con slancio ad Alberto, poi trasse dalla rastrelliera il filante sovrapposto Beretta S:55, senza bindella, calibro 20 il suo fioretto preferito .... e prese da una scatola quattro vecchie cartucce Baschieri & Pellagri, erano F2 Flash; belle ed ottime le pregiate cartucce bolognesi in cartone marrone laccato, con le scritte serigrafate in oro, con quelle cartucce, le beccacce erano cadute mille volte, non avevano mai fallito, mai una volta. Diede un ultimo sguardo all’armadio “della caccia”, meditò ed infine prese e si mise in tasca il coltellaccio a serramanico con gli estrattori… come aveva sempre fatto. Voltandosi incontrò lo sguardo della sua vecchia Spinona Leda, … lo guardava, non c’era bisogno di dire nulla, … era vecchia, ma aveva già capito, era in piedi accanto ad Alberto, entrambi con gli occhi pieni di un’emozione visibile e tanto forte, da non poter guaire o parlare … entrambi pervasi dalla felicità.
Si erano avviati, ora stavano percorrendo la lunga loggia di casa, il nonno col fucile in spalla, 4 cartucce in tasca, la sua maremmana aperta, gli stivali un poco duri che fasciavano le gambe ed Alberto al suo fianco, era troppo bello per essere vero! Forse era un sogno, uno splendido sogno?
Appena fuori, rapidamente i due cacciatori attraversarono il giardino e raggiunsero la macchia del parco, la luce stava calando, entrarono e si incamminarono sicuri e decisi in silenzio assoluto, del resto non c’era bisogno di parlare, di spiegare, di raccomandare o semplicemente di dire qualcosa, … il vecchio lo aveva già fatto tante, tante volte, Alberto era un ragazzino sveglio.
Leda ora cacciava, lo faceva con passione, non tralasciava nulla, batteva gli angoli del parco, proprio come sempre, si vedeva bene come lo avesse fatto mille volte, … seguiva gli ordini dati con rapide occhiate, senza fiatare, Alberto stava incollato alle spalle del nonno, col monocanna carico ma aperto e piegato sulla spalla con ogni attenzione volta a rammentare quanto gli era stato detto e spiegato ogni volta, ad ogni racconto. La macchia invernale ormai tutta marrone, bruna e senape era bella, con alcuni punti di ocra e rossiccio. La sagoma chiara di Leda filava come appesa ad un filo, correva da un angolo all’altro, … il grande stagno era ormai vicino e i due, avanzando senza parlare, sentivano il cuore battere più forte e l’emozione salire prepotente dal cuore tumultuoso alla testa.
Leda pareva un cane giovane, rallentava e ripartiva, ora cercava più attenta e circospetta, qualcosa doveva averlo percepito, perché adesso si voltava spesso per trovare lo sguardo del padrone, arrivarono al grande noce e lì Leda si bloccò immobile, come una statua, col piede anteriore alzato, come nei racconti. Avanzarono lentamente senza rumore, il nonno lasciò Alberto dietro al cane e si spostò di alcuni passi alla sua sinistra, il fucile ora era chiuso e con le canne in alto ed in avanti tenuto da entrambe le mani, proteso leggermente, per favorire una rapida e pronta imbracciata. Anche Alberto lo aveva fatto, i due parevano statue identiche, lo sguardo fermo davanti al cane e i sensi attentissimi ad ogni stimolo… poi il filo dell’incantesimo si ruppe e la Regina partì davanti ad Alberto, rapida, frullando rumorosamente, ma quel rumore non lo sorprese, pareva proprio quello fatto dal nonno con le labbra durante i suoi racconti.
La fucilata secca e poco sonora del calibro 36 lacerò l’aria e chiuse l’arcera, come un fiocco, poco sopra la sommità della macchia, stava cadendo rimbalzando tra i rami, quando un secondo frullo li colse, appena più a sinistra, una seconda beccaccia si alzò da pochi metri per una rapidissima fuga, tessendo gli arbusti alla sinistra del vecchio, la cui fucilata poco più rumorosa, tagliò ancora l’aria; il cielo ormai grigio piombo prese con le sue lunghe dita colore del tramonto anche questa regina e la depose sul tappeto di foglie.
I due si guardarono, un attimo, no, non era un sogno, Leda orgogliosa aveva riportato entrambe le beccacce, mettendole nelle mani del nonno.
Il vecchio, si era lentamente inginocchiato su una gamba davanti al grande noce, accarezzava la bianca spinona, cui parlava lisciandole il collo e la giogaia … Alberto le accarezzava a sua volta la bella testa ispida, mentre nel silenzio due lacrime gli rotolavano sulle guance… nessuno parlava, non c’era niente da dire. I due ora erano seduti in silenzio davanti al camino nella grande sala, guardavano la fiamma e raccoglievano il calore sulle mani e sul volto, Leda era distesa davanti a loro. Le due beccacce, erano in cucina, accomodate su un vecchio grande piatto ornato che ne aveva viste centinaia, ma queste per chiunque erano arrivate come regalo, dicevano portate nel pomeriggio da un caro amico di famiglia, dono di Natale al grande beccacciaio del passato. Nessuno avrebbe potuto immaginare che solo mezzora prima, quelle tre anime avevano vissuto un bellissimo sogno di caccia, una realtà, in cui un ragazzino era stato battezzato Cacciatore al cospetto della dea Artemide, nella più emozionante ed incredibile delle cerimonie e dentro al tempio bellissimo del bosco invernale, mentre il padrino, il vecchio cacciatore di beccacce del passato, … per un attimo era tornato ad essere quello del presente.
Gianluca Garolini
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