Secondo me non siamo nelle condizioni migliori per "dettare la linea". Quella al paese, alla politica, intendo. E per la caccia, ovviamente. Saremmo invece in grado di individuare una linea nostra, interna, della caccia. Solo se si volesse. Ma lo vogliamo?
La strada è nota a tutti. Unità. O unione robusta. Non questa cabina di regia che si accende e si spegne a comando, a seconda del vento che tira. Quello del tesseramento gira sempre a burrasca. Purtroppo. Quindi si ragiona per ipotesi. Qualcuno azzarda l'epiteto di sognatori anche soltanto a chi ci prova. Beh, cerchiamo di essere ottimisti, partendo da una reale analisi della situazione.
1 - E' indubbio che noi cacciatori siamo i più attivi sul territorio. Siamo un presidio certo. Operiamo per controllare la selvaggina, stanziale e di passo, organizzare la caccia, mantenere l'ambiente, dare una mano quando serve. Lo sanno bene le organizzazioni locali di protezione civile, i sindaci, i prefetti, le comunità.
2 - Sappiamo anche che sul territorio (extraurbano) non siamo soli. Il primo nostro interlocutore è l'agricoltore, il proprietario o conduttore dell'azienda agricola, col quale - è innegabile - dobbiamo fare i conti. Come abbiamo sempre fatto. Prima direttamente, in un rapporto di amicizia e mutuo soccorso, oggi tramite soprattutto gli Ambiti Territoriali e i Comprensori. Poi ci sono i proprietari di casette da weekend. Di rado, ma ci sono. E spesso, appunto, nel weekend. Spesso, purtroppo, quasi sempre, direi, vengono dalla metropoli, portano gatto e cane, spaesati, vogliono dormire (c'è anche chi protesta col sindaco e col priore perchè il suono delle campane gli disturba il sonno). Non mancano poi gli escursionisti in gita col manuale aperto, che si meravigliano appena riconoscono un dente di leone, o una libellula, la fotografano, la postano su FB. A volte sono tolleranti, sanno di essere fuori contesto, a volte purtroppo c'è qualcuno che imbevuto di cultura disneyana crede di essere il padrone del mondo e delle sue creature e non tollera che altri la pensino diversamente da quanto immaginano nella loro testolina immatura. In ogni caso, tanti che siamo, agricoltori, frequentatori della domenica, escursionisti, non tutti la pensiamo allo stesso modo. Soprattutto se ci si mettono anche quegli scappati di casa degli animalisti anticaccia, fattisi sempre più forti grazie a un mondo di altri "portatori d'interessi" (quelli di cui sopra), che pagano, che consumano che tengono su un business sempre più consistente. E questo conta, conta davvero.
3 - Difficile andare d'accordo con tutti. Con alcuni è assolutamente impossibile, ovviamente. Si tratta quindi di dare delle priorità ad alleanze praticabili nel reciproco interesse. Partiamo dalla politica. Con quella locale è semplice. Tutti i giorni c'è modo di dimostrare ai politici locali quello che siamo e quello che facciamo. Più complesso diventa con gli interlocutori regionali, soprattutto se ci presentiamo divisi, con richieste diverse e spesso contraddittorie, dettate da singolari punti di vista, egoismi, connotazioni politiche, casacche associative. Nel contesto nazionale - e internazionale, mi verrebbe da aggiungere - infine, l'approccio è assolutamente tutto da reinventare: i tre-quattro, dieci, toh, che potremo avere dalla nostra non sono in grado di dispiegare una forza sufficiente per sostenere un progetto. I partiti sono ormai finiti tra gli oggetti smarriti, le cosiddette lobby hanno ben altri "affari" a cui pensare, ben più consistenti di quelli (sempre ostentatamente esagerati) della caccia. La storia e la vita ci dicono che in tempi di crisi c'è spazio per cavalcare nuove opportunità. E le nuove opportunità che si presentano da qui a dieci venti anni e forse anche più in là sono collegate al benessere del pianeta e delle suo patrimonio naturale. Solo al pensare che per le nuove generazioni stanno arrivando anche in Italia due o trecento miliardi di euro in buona parte da investire nei miglioramenti ambientali, ci dovrebbe suggerire, a tutti noi, ma soprattutto ai nostri dirigenti, locali e nazionali, che ci dovremmo buttare a capofitto per fare emergere quel patrimonio di cose positive per l'ambiente, il territorio e la società che il mondo della caccia già esprime e ancora di più può essere in grado di esprimere se si unisce, se si dota di maggiori competenze scientifiche e tecniche, se riesce a dimostrare che una gestione di tipo venatorio può costituire il toccasana per riequilibrare le troppe anomalie che da più parti si segnalano: ungulati che spopolano nelle campagne, corvidi che distruggono nidi, nutrie, storni, monocolture a vista d'occhio, abuso di prodotti chimici eccetera. Ci vogliono dirigenti preparati, tecnici, non solo faunisti, sociologi, esperti di materie comunitarie per accedere ai tanti bandi UE favorevoli alla gestione integrata del territorio a fini faunistici e ambientali. Gli ambientalisti si sono attrezzati da tempo. Noi no. Noi no. Ci vuole una classe dirigente venatoria fresca, competente, aperta alla società in tumultuoso cambiamento.
4) Il primo passo va fatto migliorando i rapporti con gli agricoltori, per certi versi ostili ai cacciatori, ma ben predisposti nei confronti della caccia. Senza cedere a certe pretese di egemonia gestionale, ma coordinando i percorsi paralleli, verso il fine comune dettato dall'agenda europea. La ventilata pioggia di miliardi ha già prodotto in quella categoria un'infinita serie di progetti, che dovranno essere esaminati attentamente anche da noi per potenziare tutto quello che può favorire il benessere della fauna selvatica. Evitando il più possibile che si scenda ancora una volta sulla facile presa per i fondelli con limiti e divieti ingiustificati all'attività venatoria.
5) E qui casca l'asino, perchè non potremo fare a meno di sederci a fianco del pesante convitato di pietra: l'ambientalismo (animalismo) nostrano. A mio parere tutti, agricoltori, politici, cacciatori, dovrebbero stare lontani dalle leghe anti caccia, LAV LAC e brambille cirinnate. Ma anche LIPU e WWF che da troppo tempo hanno tradito i principi canonici, scivolando per mero interesse di bottega sempre di più verso forme di becero animalismo. Ci sono però associazioni ambientaliste più orientate verso una gestione ragionevole del territorio, e con quelle non sarebbe male aprire una riflessione mettendo a disposizione le nostre competenze e le nostre conoscenze. In ogni caso, confrontarsi non fa mai male. Discorso a parte per le associazioni ambientaliste che già praticano politiche condivisibili. Non sarebbe male se fra di loro costituissero almeno un coordinamento, in modo da evitare sprechi e contraddizioni.
Insomma: solo sogni? Chi lo sa! Quel che è certo che non ci sarà momento migliore per verificarlo.
Riccardo Germinà