E' un piccolo e ordinato “Allevamento di cani da caccia”, come era scritto sulla carta intestata dell’Azienda ereditata dal padre, in una zona dove i cacciatori, si diceva, avevano le starne all’uscio di casa.
Con il “Capoccia”, nel senso di omaccione con la testa pelata, siamo coetanei e sostanzialmente d’accordo su quasi tutto. Cacciatore raffinato, credo che non abbia mai abbandonato la sua vecchia doppietta, magari sognando Purdey, Greener e Holland Holland; conosce i cani e con la sua filosofia del “Voi e Io” continua a pontificare. “Voi - dice sempre - allevate soggetti limitati a una o due razze, che, con l’Affisso, hanno nome e cognome. Io, che non “produco” cani, faccio qualche cucciolata e cerco di recuperare un po’ di spese, ma se potessi li terrei tutti. Voi valutate le altre razze con quello che avete letto o sentito dire. Io, quando posso, provo direttamente”.
Il che è anche vero. Personalmente ricordo un grande Kurzhaar, un Bracco francese e un mitico Bracco italiano, dall’aspetto aristocratico, che mi ha sempre ricordato Bartolomeo, il cane del grande scultore Garaventa, che viaggiava tranquillo nel bellissimo studio dell’artista, sui tetti di Genova.
Poi c’è stata la fissa sul Gordon. Un maschio non bello, che però si diceva un portento in padule, e Ermenegildo (questo il vero nome e la necessità di un Gildo da ragazzo e un soprannome da adulto), lo guardava con deferenza, e ripeteva ai presenti, ci fosse anche il papa, che quella razza era un miracolo. E qui, puntuale, iniziava la storia del duca di Gordon e della sua cagnetta da pastore che una volta fu vista fermare un fagiano. Portata a caccia fece cose straordinarie e il bravissimo gamekeeper convinse il duca a provare un accoppiamento con il migliore dei suoi setter. Nacque così, secondo la leggenda, la prima cucciolata di nerofocati, su cui il reverendo Blaine scrisse subito: “I setter possono essere praticamente di ogni colore, e questo non ha nulla a che vedere con la qualità”.
A prescindere dal reverendo scozzese, la leggenda è servita al nostro amico quando non poteva più ingaggiare chi lo conosceva almeno un po’, e cercava il meleggiamento di qualche sprovveduto. Ora quel cane non c’è più, e sembra che qualcuno lo abbia sentito fare lo spiritoso citando addirittura Henry Ford, che avrebbe detto: “I miei clienti possono scegliere il colore della loro auto, basta che sia nero”.
Ora, se questo è vero, aspettiamo conferma, certi che non gradirà neanche far sapere a tutti quanto ha riservato da sempre a pochi amici. Un personaggio che non ha mai voluto apparire, istintivo e imprevedibile, capace di grandi slanci di generosità e scherzi terrificanti. Praticamente sconosciuto nel mondo dei cani, era però noto per essere una specie di centro informazioni cinofile. Lui, che non aveva mai partecipato ad una manifestazione seria, sapeva tutto su Coppa Europa, le grandi prove per inglesi in Croazia, quelle di montagna e la Grande Cerca del Kennel Club Grecia e Salonicco, fino alle prove per retriever. Felice che finalmente il Derby era stato spostato a Sud, citava personaggi noti, terminando sempre con Zurlini, che ha detto e scritto: “Chi alleva per ottenere qualche Cac o Cacit non fa il bene della razza, e chi fa tre trailer e quaranta scarti non è un allevatore”.
Insieme a queste cose, naturalmente, ogni tanto qualche bischerata gli riusciva. L’ultima che sapevo, piuttosto datata, era una cena tra amici, con invito scritto e menù allegato: Ravioli alla penna, Spezzatino di cervo con crauti rossi e Stinco di maiale alla griglia. Dessert: rollè alle noci e Grappa di mele. L’invitato era un suo amico, a dieta strettissima ordinata dal medico, che declina cortesemente l’invito e comincia a pensare. Il Capoccia lo aveva sempre accusato di confondere le Prove con le Gare, specie quelle domenicali nei campetti, che lui proprio… E invece si. Non sappiamo se per sbaglio o convinto da chi, ma una sua partecipazione c’era stata, malignamente documentata da foto e relazione. Nell’occasione, il suo dinamicissimo breton, trovandosi davanti una bella striscia di terreno con erba bassa, mira il cespuglio in fondo, parte a razzo e sfrulla. Figura meschina e sottaciuta fino al ricevimento della provocazione, senza conseguenze ma con una richiesta dell’interessato sovrappeso: “Mi dovresti spiegare perchè quando dici - Certo siamo ben strani eh!-, dici siamo, anzichè sono. Saputo questo, restiamo amici”.
Mille cose mi sono riapparse, confuse e sbiadite, dopo una telefonata del Capoccia a metà giugno. Non ha detto chi era e non l’ho riconosciuto dalla voce, poi ha rammentato Tiburzi e ho capito. “Sto cercando di avere notizie di chi conosco. Mi è capitata una cosa che non pensavo potesse farmi stare così male: giovedì scorso, la mattina presto, ha telefonato un mio amico che te non conosci. Ha qualche anno meno di noi e vive da solo, ma con un po’ di pensione e in casa propria, è sempre riuscito a cavarsela discretamente; quella mattina, senza farmi aprire bocca e con la solita voce tranquilla: “Ti chiedo scusa. non mi serve niente, ma avevo bisogno di parlare con qualcuno. Grazie”, e ha riattaccato. Senza perdere tempo a richiamare, ho preso qualcosa, comprese le mascherine, e sono andato. Non è lontano, ma è stato un brutto viaggio, quasi in affanno. Mi aspettava, e non c’è stato bisogno di suonare. Ha aperto per la prima volta a qualcuno, con la mascherina e i capelli troppo lunghi, ripetendomi che stava bene e non aveva bisogno di niente. I ragazzi della Croce Rossa gli hanno sempre portato il necessario sulla porta di casa e una vicina controllava che la mattina aprisse la finestra davanti. Ma nessuno può credere, ha detto quasi sottovoce, cosa significhi essere solo per tanto tempo. La paura ti soffoca. Poi ha chiesto dei cani, e io ho cominciato a respirare. Ora sono pochi e per fortuna tutti adulti, ma sono in difficoltà. All’inizio ho cercato di spiegare perché non potevo portarli. C’è un virus, che in latino significa veleno, e quindi non si può prendere. Col passare dei giorni ho ripetuto a tutti che erano anche fortunati: va a finire che anziché la museruola mettono le mascherine anche a voi. Rivolto agli inglesi ho chiesto di spiegare agli altri cosa significa lockdown hotspot e online. Arrivato a smart working mi è sembrato di vedere qualche risolino. Come ultimo tentativo ho letto ad alta voce le tredici pagine dell’ultimo Dpcm. Risultato: da principio non capivano, poi mi hanno guardato con odio e ultimamente, è chiaro, mi consideravano scemo.
Coraggio gente. Anche Ermenegildo è tornato. E a tutti voi, amici, uno speranzoso in bocca al lupo.
Mario Biagioni