Non che l'argomento nutrie o nocivi appassioni particolarmente i cacciatori, né chi si occupa di caccia, come noi da una redazione web. Ma quello che ci porta a parlarne, da semplici osservatori, è l'inqualificabile leggerezza con cui in Italia ci si ostina a trattare il problema della proliferazione di specie invasive come qualcosa di sopportabile, di cui prendere atto, nonostante tutto, e a cui contrapporre blande misure di protezione, se proprio non se ne può fare a meno, nel caso in cui gli agricoltori facciano la voce grossa.
Come se le specie sottoposte a contenimento faunistico (come nutrie anche storni, piccioni, cinghiali, volpi e corvidi) non lo fossero perchè cresciute a dismisura, tanto da creare problemi di impatto sulle biocenosi locali, ma per compiacere il mondo venatorio, come si legge spesso in articoli redatti a colpi di copia incolla sulla base di comunicati animalisti (quale cacciatore non sogna del resto di portarsi a casa uno scalpo di nutria o mettersi sul comò una bella cornacchia impagliata?). Pagando lo scotto di difendere il principio della gestione faunistico – venatoria, i cacciatori finiscono così per trovarsi isolati in una società che non sa avvicinarasi alla vita selvatica perchè ha smesso di frequentarla e di accettarne i meccanismi.
Durante la scorsa primavera abbiamo avuto un assaggio della confusione causata da certe derive. Prima Siena e Prato hanno ceduto alle pressioni di pochi, pochissimi animalisti e ritirato i propri provvedimenti di controllo sulle volpi (Prato ha corretto il tiro eliminando la possibilità di praticare la caccia con i cani, ritenuta troppo cruenta, Siena ha semplicemente rimandato la questione), poi Cesenatico ha dato spazio alle proteste animaliste dell'Enpa, piegando la schiena di fronte ad un gruppetto di persone preoccupate per la sorte delle povere nutrie indifese, cedendo la propria autorità e invitando gli animalisti ad occuparsi personalmente delle sterilizzazioni. E' evidente che c'è qualcosa che non va se qualche dozzina di persone con un paio di striscioni riesce a mandare nel panico Province e Comuni. Non c'è molto da girarci intorno: tentennare, prendere tempo e fare addirittura marcia indietro di fronte a proteste così superficiali e infantili, svilisce il lungo lavoro di studio e monitoraggio che è servito a redarre piani con rigore accademico (spesso certificati da firme le cui consulenze si pagano a peso d'oro) e rende fragile anche l'immagine dello Stato agli occhi dell'opinione pubblica. Ai danni causati dagli animali così si aggiungono anche quelli, collaterali, di credibilità dei nostri amministratori.
Molti provano la via della concertazione ignorando che opporsi ad ogni abbattimento è l'unico approccio possibile da parte animalista, costi quel che costi. Compreso un lento inevitabile logorio ambientale e faunistico, già per altro in atto. Eppure ci sono direttive comunitarie, leggi e perfino programmi internazionali di grandi organizzazioni scientifiche che operano su scala mondiale, come IUCN, o come Birdlife (entrambe forniscono dati ai dipartimenti statali e comunitari su cui si basano gran parte dei programmi di salvaguardia ambientale), che dettano i principi della gestione controllata, considerando la questione nel suo aspetto ambientale globale (come fa o dovrebbe fare l'ambientalista degno di questo nome).
Tornando al caso nutria, IUCN è dell'idea, ormai accettata ovunque, che le nutrie vadano eliminate del tutto dove non dovrebbero stare e dove creano grossi danni. La campagna di eradicazione effettuata in Inghilterra è addirittura presa ad esempio nell'ultimo rapporto sulle specie invasive in Europa (2012) per segnalare la possibilità reale di ottenere successi significativi sulla rimozione definitiva di mammiferi “alieni”, grazie ad un meticoloso lavoro di progettazione tecnica, all'attenta valutazione dei rischi, e ad un congruo sostegno finanziario e logistico su vasta scala. Anche se i costi elevati associati a campagne di eradicazione possono scoraggiare le autorità di intraprendere tali iniziative – dice IUCN -, il controllo permanente per limitare i danni può essere ancora più costoso. I numeri dimostrano che le campagne di controllo effettuate a livello locale sono molto più alti delle operazioni di eradicazione pianificate su scala nazionale. Peccato che però da noi sia già troppo tardi. Se l'Inghilterra è l'esempio virtuoso, l'Italia è l'emblema di una situazione fuori controllo, dove gli interventi sono ormai un mero palliativo. Ormai, dice il rapporto IUCN – in Italia la popolazione è troppo diffusa e consolidata per attuare una campagna di eradicazione (è per questo che non si parla più di eradicazione della nutria, non certo perchè l'allarme sia cessato). In termini economici, dunque, l'immobilismo italiano ha portato ad una situazione ormai insanabile, che pesa sulle casse pubbliche in maniera esponenziale. “E' stato calcolato che – citiamo direttamente dal rapporto - in Italia, i costi di campagne di controllo effettuate a livello locale in più di soli sei anni sono stati 14 milioni di euro, contro i solo 5 milioni di euro (costo aggiornato per l'anno 2000) spesi in oltre 11 anni per l'eradicazione totale della specie nel Regno Unito. IUCN prevede anche che la nutria italiana crescerà nei prossimi anni di almeno tre volte con perdite economiche che raggiungeranno i 9-12 milioni di euro l'anno. Insomma grazie alle proteste animaliste e all'indecisione della politica, siamo di fronte ad un vicolo cieco, con solo due possibilità: continuare a intervenire per tenere sotto controllo il numero delle nutrie rassegnandoci a vedere uscire consistenti fondi dai bilanci comunali o lasciare che l'invasione avanzi e che i danni siano del tutto devastanti.
Come IUCN, anche Ispra (unico istituto ambientale tecnico scientifico riconosciuto in Italia) sostiene che i castorini di cui sopra, come anche volpi, corvidi e cinghiali possono essere il più grande nemico per i delicati equilibri della biodiversità. E quindi su che cosa si basano le campagne animaliste? Su nulla di scientifico, come si può apprendere dal dossier della Lac, secondo cui “sarebbe azzardato trarre conclusioni definitive” sui danni creati dal roditore, “in realtà – dice senza citare le sue fonti la biologa Cassotta sul sito della Lega per l'abolizione della caccia – è provato che questi sono marginali”. La soluzione è una convivenza pacifica. Per i danni basta “interrare reti metalliche a maglia larga lungo gli argini di canali e fossati, habitat elettivi delle nutrie che attraverso queste vie si spostano nella campagna. L’operazione può apparire invasiva – dice la Lac -, ma si tenga conto che in realtà queste sponde sono per lo più al momento del tutto spoglie a causa di pratiche diserbanti intensive che eliminano ogni traccia di vegetazione naturale”. E chi pagherebbe per questi interventi è tutto da vedere.
Lasciando che qualsiasi specie prolifichi la Lac, Enpa e tutte le altre associazioni nate per la difesa degli animali tout court, dimostrano di non avere affatto a cuore la difesa dell'ambiente e di non avere nessuna idea di come si tuteli la biodiversità. La parola sarà pure inflazionata ma il suo significato è enorme visto che indica quella complicata catena formata da specie vegetali e animali interdipendenti, in cui ogni componente è fondamentale per l'esistenza di quelli sui gradini successivi. Va da sé che se spezzi un anello o ne introduci uno alieno (o lo lasci proliferare), le conseguenze si ripercuotono su tutta la catena e durano milioni di anni. Ma questo lo dovrebbero sapere perfino i bambini.
Cinzia Funcis
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