Molti di noi, cacciatori, e migratoristi per giunta, naturalisti per natura e per vocazione, ovviamente, checchè ne dicano i nostri agguerriti animalisti da salotto con narcotico televisivo perennemente in funzione, molti di noi sono cresciuti formandosi sugli affreschi meravigliosi che lo svedese Kurry Lindall (Gli uccelli attraverso il mare e la terra) faceva del fenomeno migratorio.
E si girovagava per boschi e paludi con la Guida degli Uccelli d'Europa (Peterson-Mountfort), manuale super accessoriato per farsi una cultura dell'avifauna del Paleartico Occidentale. Fenomeno che si razionalizzava grazie alle ricerche del francese Jean Dorst (Le migrazioni degli uccelli).
Ma l'esperienza dei nostri vecchi, quell'insostituibile esperienza, era la base su cui si formava la nostra conoscenza avifaunistico-venaatoria. Naturalmente, lo Stato faceva la sua parte, con il Laboratorio di Bologna, sotto la guida sapiente prima di Toschi, poi di Leporati, poi di Spagnesi. I quali, di queste esperienze sul campo, organizzate in gruppi di centinaia e centinaia di volontari, cacciatori, migratoristi, si servivano per disegnare una realtà, nazionale, che malgrado la lentezza delle comunicazioni - a metà del secolo, e anche dopo, si usava ancora poco telefono, ma molta corrispondenza spesso vergata a mano - fornivano un quadro più che esauriente di come stavano le cose riguardo al patrimonio ornitico che passava e sostava sui nostri territori.
C'era tanta gente di buona volontà, tanti appassionati, un clima di collaborazione straordinario. Oggi, nell'era dell'informatica/telematica, pare che tutto questo non sia possibile, tanto che di fronte a certe sollecitazioni, sembrano diventati tutti papi, visto che non di rado si risponde: Non possumus.
Eppure, quotidianamente, oggi, i nostri cacciatori, soprattutto in periodo di passo, si scambiano in tempo reale informazioni preziosissime su quello che vedono da un palco ai colombi o da un appostamento in valle o in padule, o da una tesa alle allodole o da un capanno ai tordi. Volendo, anche il più pignolo ricercatore blasonato, potrebbe seduta stante elaborare una mappa con un dettaglio al millimetro. Meraviglie della tecnologia!
Ma, sembra che non sia possibile. Eppure, di riferimenti del genere ormai se ne conoscono. Nascono e crescon "app", escono come funghi pagine e pagine dedicate sui social, si parla di velocizzazioni dei sistemi di calcolo da far invidia a Star Trek, diversi istituti di ricerca si "applicano", appunto, per rendere alla portata di tutti nuovi sistemi per assolvere a certi deficit di conoscenza che in casi come il nostro, migratoristi devoti, ci penalizzano.
Si parla anche di georeferenzialità. Ad esempio, grazie a questa specifica applicazione tecnologica, si apprende che "In Svizzera - come riferisce Giuseppe Giannini, ricercatore dell'Università della Calabria, sull'ultimo numero de "Il Cacciatore Italiano" - hanno avviato ormai da tanti anni il progetto "Monet" che lavora sistematicamente sull'aggiornamento e il monitoraggio di ben 120 indicatori, comune per comune, per valutare lo sviluppo sostenibile in ambito sociale, economico, ambientale. Le informazioni, ci informa Giannini, sono georeferenziate in maniera puntuale/comunale. Ciò anche a indicare che la gestione del territorio attraverso la georeferenziazione delle informazioni oggi è possibile e utile, porta con sè riduzione dei costi, aumento dei servizi al cittadino, analisi accurate e puntuali...".
Sarebbe interessante sapere se a questo metodo sia già possibile collegare anche l'intervento di coloro che realmente presidiano il territorio (sicuramente i cacciatori, in misura ancora preponderante, rispetto a quei sedicenti scienziati che si attardano su schemi di ricerca dell'altro secolo), che con un semplice clik, o post, o chat, nel rispetto di tutti i principi galileiani, sono già in grado via smartphone di dare un contributo determinante al mancato o tardo servizio che tanto ci costa. Sarebbe un piccolo passo per ogni modesto cacciatore, un grande passo per la ricerca e per la società. Di cui, prime fra tutti si dovrebbero far carico le tante nostre associazioni di categoria, fra una lite e l'altra che di certo non portano acqua al nostro mulino.
In tempo di Brexit, verrebbe spontaneo un hashtag: meno ispra, più cacciatori. Troppo cattivo?
Vieri Moretti