OVVIA! Dopo tante amarezze, non ultime quelle della carnevalata dei calendari con contorno di TAR che hanno ridotto, ritardato, mortificato caccia e cacciatori in molte regioni del paese, rifacciamoci la bocca! E non c'è dubbio che le scelte di Enzo Vizzari direttore de Le Guide dell'Espresso, che con l'edizione de "I ristoranti e i vini d'Italia 2020" ha consolidato la lista dei "5 Cappelli", un discreto incremento della secrezione di acquolina in bocca ce l'ha provocato anche a noi, comuni mortali, che probabilmente almeno una volta nella vita ci potremmo affacciare di persona alla corte dei grandi chef stellati.
E non solo in bocca, la dolce acquolina deve stimolarci, ma nello spirito e nell'orgoglio di cacciatori appassionati, se scorrendo i tanti menù dei "5 Cappelli", ma anche dei 4 e dei 3 Cappelli, incrociamo lo sguardo e, idealmente, le narici con una profusione di sapori che esaltano i piatti di selvaggina.
Ma restiamo fra quelli del TOP. In testa a tutti, quel Massimo Bottura, osannato a livello mondiale, tanto che la sua Osteria Francescana di Modena è stata considerata il miglior ristorante del mondo secondo la classifica del World's 50 best restourants. Del quale, quanto a selvaggina, nel suo menù se ne trova anche nei dessert. Si, perchè accanto a un piatto classico, Piccione camufflage e meatballs di pernice, per esempio, "dove il piccione (cotto nel foie gras) - come si legge in un laudativo servizio de Il Gambero Rosso, curato da Massimiliano Tonelli - "ha una cottura e un colore incredibile, la polpetta è carne di pernice battuta al coltello e poi riassemblata in un finto cosciotto, e fritta. Le verdure fanno sfoggio di tecnica: sono sempre le stesse in tre consistenze per le varie aree del piatto: a fette sopra al piccione, in salsa nel piatto e in polvere attorno alla pernice", dopo questo bendiddio si può chiudere la "cerimonia" con una tarte tatin di germano (pasta sfoglia con impasto di cacciagione, mele caramellate e brodo di anatra che racchiude un ripieno di germano e foie gras, coperto da pickles di zucca), o una torta al cioccolato e beccaccia, che richiama i fasti della corte degli Estensi, quando nei pranzi ufficiali si proponeva un "Tortino di paté di beccaccia e volatili, ricoperto da una salsa di fondo di frattaglie con cioccolato e caffè".
E che ne dite di Uliassi di Senigallia? La sua cucina nasce sulla caccia, come sappiamo. E ancora oggi, per una come si dice "utenza ultraraffinata", il menù racchiude sorprese sotto la definizione "La Caccia", partendo da un Colombaccio alla Marchigiana (che è tutto dire), seguito da una Royale di Germano, da una Tartare di Lepre, Ricci di mare, olio di ginepro, e poi un esotico Grouse, ostrica, olio di perilla e semi tostati, che può fare il paio trimalcionesco con una Fondente di patate, anatroccolo e tartufo nero estivo, o con dei Ravioli alal finanziera di Selvaggina, salvia e nocciole caramellate.
Non vi basta? Proviamo col St.Hubertus di San Cassiano (Chef Norbert Niederkofler), che offre ai suoi commensali un delizioso Ditalino di Farro in estratto di Selvaggina o una Quaglia laccata al fieno.Niente da invidiare comunque neanche a Le Calandre di Rubano, che tuttavia conserva nella tradizione culinaria della famiglia Alajmo un favoloso Germano scottato, con crema di ostriche, anguilla, alga tostata e composta di prugne. O un Cervo in salsa al mirto, funghi e wafer di riso nero al patè di fegatini. Sapori in contrasto, dolce e salato, carne e pesce, passato e presente in armoniche provocazioni.
Come quelle di Antonio Guida, che al Seta Mandarin nella centralissima via Monte di Pietà di Milano lancia una sontuosa Lepre alla Royale, in alternativa a un Royale di Fagiano al mirto con salsa alle ortiche e champignon. O, infine, di Enrico Crippa del Piazza Duomo di Alba, che sfoggia la sua maestria con un classico Capriolo in salsa di foie gras.
E questi sono solo i primi in classifica, quelli che stanno sul tetto del mondo della celebratissima cucina italiana. Figuriamoci se potessimo dare testimonianza delle decine di migliaia di proposte di piatti dfi cacciagione che danno sostanza ai menù regionali e locali. Ci vorrebbe un mese. Che vogliamo fare, allora? Rinunciare a tanto benessere della gola e del corpo, per un malinteso senso del benessere animale, come vorrebbero i nostri detrattori, oppure decidersi una buona volta a fare sistema, come si dice oggi, per sostenere le nostre culture, le nostre tradizioni popolari, le nostre comunità, che tanto hanno fatto e altrettanto possono fare a salvaguardia delle nostre identità? I riferimenti, anche di questi giorni, non mancano. Basta prenderli a modello o - se vogliamo - proporne anche altri di originali, consapevoli che tutti i salmi finiscono in gloria e dai salmi al salmì, celebrato fin dai tempi del grande Pellegrino Artusi, c'è solo un accento, che ben si "sposa" con tutta la carne che può uscire dalla vostra "cacciatora". Tant'è vero che per esempio - prendiamo un selvatico a caso, la lepre - cambiando il termine, salmì, con l'altro termine, cacciatora, per il palato il risultato non cambia...
Eppoi ogni tanto sento dire (o leggo) che la cucina e soprattutto la grande cucina, con la caccia non c'entra. C'entra, c'entra, eccome!
Vito Rubini