Giorni fa, con una scarna notizia sui giornali locali, il mondo della caccia ha appreso che col 2019, a novembre, in tempo di caccia, sarà possibile affacciarsi di nuovo all'Exa, la storica fiera delle armi, nata a Brescia negli anni ottanta e proseguita senza interruzioni per ben 32 anni. Fino all'epilogo, 2014, e alla rinascita - speriamo - di oggi sotto un'egida e un progetto diversi, ma ad avviso di molti più lungimirante: da EXA-Exhibition Arms a EXA-Energie X l'Ambiente.
Connubio tutto da interpretare che della vasta gamma del comparto valtrumpino-bresciano ospiterà solo armi da caccia (e probabilmente da tiro). Insieme a tutt'altre proposte, probabilmente più congeniali all'attuale congiuntura e a un pubblico più eterogeneo. Sicuramente quel pubblico (che fa opinione) che fino ad oggi abbiamo peccaminosamente ignorato, pensando di poterne fare a meno. Le premesse ne sono la più chiara testimonianza. L'ente fiera (Pro Brixia), presieduto da Giovanna Prandini (parente dell'ex Ministro?, parente dell'attuale Presidente nazionale di Coldiretti?) ha impostato il lavoro ad altissimo livello, mettendo in piedi una squadra di esperti organizzatori di eventi, scienziati, università.
Indispensabile probabilmente la mallevadoria di Beretta e di UNA, la onlus che associa il mondo armiero (CNCN) e una serie di soggetti che vanno da Federcaccia e Arcicaccia, fino a Symbola, a Coldiretti, Federparchi, Simpev (Veterinari), Università di Pollenzo (Carlin Petrini, Slowfood) Università di Milano, di Napoli, di Urbino. Sarà proprio Coldiretti (Ettore Prandini è bresciano) che con UNA individuerà le linee d'impostazione di questa nuova Kermesse. Da una parte per aggiungere qualità alla selvaggina in tavola, oggi sugli scudi dei più grandi chef italiani, a partire da Bruno Bottura. Dall'altra per individuare un percorso virtuoso che superi il problema dei troppi ungulati, esorcizzando allo stesso tempo certe sciagurate mode contemporanee che inneggiano all'animalismo da salotto e al veganismo. La via italiana alla buona tavola, insieme alla dieta mediterranea, può passare anche attraverso la valorizzazione della carne di selvaggina, abbondante e pregiata, e nello stesso tempo bloccare quel triste andazzo che tramite gli ambientalisti di maniera punta a congelare qualsiasi utilizzo coerente del patrimonio naturale, mentre niente fa per arginare la perdita e lo sfacelo di questo stesso patrimonio, che giorno dopo giorno scompare in quell'enorme buco nero della globalizzazione, dove tutto è merce.
Il cacciatore come custode della natura, il valore proteico della selvaggina, la riscoperta di ciò che è "selvatico, naturale, selvaggio", come ha specificato la presidente di Pro Brixia, sono la sintesi di ciò che dovrà essere questa nuova sfida. La proposta di una caccia di oggi, sicuramente compatibile, utile, se non addirittura necessaria per il sostegno di una cultura, quella rurale, che potrebbe essere soppiantata dalla tecnologia, col rischio di non tener conto delle ricadute onerose a carico della collettività. (Nota: come stiamo vedendo, l'analisi costi-benefici è uno strumento soggetto a farsi tirare per la giacca). Il paesaggio, modellato da millenni di pratiche agricole (e venatorie) è un bene in sè assolutamente da non sottovalutare. Una sempre più anonima filosofia ecologista (l'animalismo non è neanche da considerare) dà troppo facilmente per scontata la bellezza dei nostri orizzonti, senza tener conto di come nel tempo si sono formati. Sudore e bellezza. Lavoro e senso estetico. Tecnologia e arte. Come nei grandi capolavori della nostra arte armiera che ci distingue nel mondo. Il marchio Beretta, per esempio, è considerato fra i più importanti al mondo, alla pari di Ferrari e dei grandi nomi della moda, all'altezza di quelli della Coca Cola o di Visa. I nostri incisori armieri sono ancora oggi un riferimento di altissima eccellenza, cresciuti nel rigore tecnico e stilistico della scuola dei maestri incisori Langè e Galeazzi, e dei loro tanti discepoli, Fracassi, Medici, Jora, Timpini, Bregoli, Pedretti. Che per anni hanno dato forma ai nostri grandi fucili da caccia, non solo Beretta, ma anche Zoli, Famars, Piotti, Toschi, Zanotti, Perazzi, Salvinelli, Franchi e la tecnologica Benelli, vanto del design nostrano.
Gioielli nati dal cesello e dal bulino valtrumpini, che per analogia possiamo assimilare alle mani prezione guidate dall'intelligenza dei nostri grandi chef, che sempre più spesso si misurano con i piatti di selvaggina. Basta scorrere le classifiche (stelle, forchette, cucchiai, gamberi, lumache) delle tantissime guide gastronomiche per rendersi conto di quanti di loro lo fanno: da Bottura, appunto, a Igles Corelli, a Crippa, Uliassi, Vissani, Scabin, Perbellini, Mollica, Heinz Beck, Lèveillè, tanto per citarne alcuni.
Ecco, se questo sarà, se la caccia della nuova Exa sarà quella della bellezza, del gusto estetico, del gusto culinario, del cibi salutare, della conservazione del territorio, delle atmosfere di un'epica rurale da rivisitare, ci saremo. Ci dovremo essere. Sarà un giorno, o un weekend (ancora non conosciamo le date) sottratti alla caccia cacciata? Macchè. Sarà un giorno superlativo, da segnare sul tesserino.
Renzo Silanni