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EditorialeAmbientalisti italiani, poche idee ma confuse lunedì 30 dicembre 2013 | | Difficile non condividere, pur se con un po' di ritardo, l'intero pensiero esposto nell'articolo Animalismo e pesca: poche idee ma molto confuse pubblicato alla fine della scorsa estate sul sito pesca ricreativa.org. L'articolo segue il pubblico attacco subito dai pescatori amatoriali da parte di 13 sigle ambientaliste (le stesse su per giù che si scagliano contro la caccia) con la campagna Urlano in silenzio, pubblicata su alcuni quotidiani. Così, rasentando il ridicolo, grandi Ong come Lipu e Wwf, che nell'immaginario collettivo rappresentano una buona fetta dell'impegno ambientale nel nostro paese (anche se parte della loro reputazione è l'effetto di una buona strategia di marketing), si associano all'iniziativa dell'organizzazione dichiaratamente estremista Animal Liberation Front, mettendo il proprio logo (a pagamento?) sulla campagna che di fatto se la prende contro chi mangia pesce, oltre che chi lo pesca. “Nessun pesce ottiene una buona morte – recita la locandina – Neppure uno. Non c'è bisogno che tu ti chieda se il pesce che hai nel piatto abbia sofferto, ha sofferto”. E' solo l'incipit della campagna, che prosegue descrivendo le interminabili sofferenze dei pesci e si sofferma su alcune “recenti ricerche” che in sostanza dimostrerebbero che anche i pesci hanno una coscienza. E se l'avessero anche le piante? Viene da chiedersi... E se soffrissero in silenzio anche le verdure strappate dalla terra? Chissà cosa mangerebbero queste persone.
L'invettiva contro la pesca è arditamente generalizzata e strumentale, avendo come scopo principale quello di diffondere l'ideologia animalista e raccogliere fondi per finanziare iniziative mediatiche come questa. Il messaggio degli animalisti, definito dai pescatori “talebanismo vegano” è strategicamente molto confuso: utilizzando immagini truculente e termini in grado di colpire le coscienze assopite, si lascia credere che la pesca ricreativa e quella senza regole siano la stessa identica cosa. Proprio ciò che si fa con l'accostamento caccia/bracconaggio. La campagna, secondo i pescatori sfrutta “persone mosse da una sincera passione ma non dotate di una cultura specifica” (anche qui, guarda caso, proprio ciò che succede con la caccia), facendo una enorme confusione tra la pesca sostenibile e quella massiva che danneggia il mare e le sue risorse.
Interessante la parte in cui gli autori dell'articolo parlano di una sorta di “preconcetto etico-autistico”, che colpisce le grandi organizzazioni ambientaliste. Wwf per esempio, che, ricordano i pescatori, partecipa con grande attivismo a tutte le sedi consultive del settore pesca ed interviene con pareri favorevoli sulla pesca sostenibile ma che poi schizofrenicamente aderisce a una pubblicità a pagamento che mette al muro chi mangia pesce, e dà informazioni distorte. Come ci è finito lì lo stemma del panda? Probabilmente, spiega l'autore dell'articolo, a causa di una scheggia impazzita in una sede locale. Tesi che poi puntualmente viene confermata da Wwf . L'associazione infatti diversi giorni più tardi tramite il responsabile nazionale del Programma Mare Wwf Italia, manda una precisazione pubblicata postuma all'articolo, dissociandosi da un gruppo di volontari locali che ha sottoscritto un accordo con altre Ong di Bologna. Il manifesto era apparso almeno quindici giorni prima su un quotidiano importante come Repubblica di Bologna ed è quantomeno sospetto che se ne siano accorti solo dopo l'articolo dei pescatori. C'è voluta l'indignazione di una categoria di persone che praticano la loro passione con coscienza e nel rispetto delle leggi e del mare per far fare un passo indietro all'associazione? Sarebbe interessante a questo punto capire se a questi volontari ) sarà chiesto di uscire dall'associazione e aderire ad un'altra più in linea ai loro ideali... (Inciso: mai sentito di un volontario che può disporre di un marchio su cui spesso si lucra; al massimo sarà stato un...dirigente-volontario, come dovrebbero essere tutti i dirigenti di associazioni del genere).
Abbiamo visto diverse volte le associazioni ambientaliste dire tutto e il contrario di tutto, attaccare da una parte e ritrarsi dall'altra. Di base sono contrarie a tutto ciò che comporta l'uccisione di anche solo un animale (cosa che fa molta presa nel pubblico), ma poi partecipano a incontri tecnici e scientifici e si ritrovano a convenire sulla necessità di approvare gli abbattimenti o, in questo caso, la pesca sostenibile. Il che determina una specie di marasma dissociato in cui chiunque può riconoscersi. Basta usare la tattica del gambero e sgusciare via non appena si viene messi all'angolo. Probabilmente anche il mondo della caccia dovrebbe pretendere simili ammissioni di colpe anche di fronte agli ingiusti attacchi rivolti alla caccia, che fino a prova contraria, come la pesca ricreativa, viene esercitata nel nostro paese in condizioni di piena sostenibilità ambientale e nel rispetto delle Direttive comunitarie, come confermato recentemente da Potocnik, il Commissario europeo all'ambiente, rispondendo all'onorevole Zanoni. O forse pretendere serietà dagli ambientalisti è chiedere troppo? Carlo Finch | Leggi altri Editoriali | |
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