Oggi tutti sappiamo che è la terra che gira intorno al sole e non viceversa. Eppure, allora, quando Galileo ci provò a farlo capire ai dottori della chiesa, sappiamo tutti come andò a finire. Solo da pochissimo tempo, però, la bellezza di quattro secoli più tardi, c'è chi ha sentito il bisogno di chiedergli scusa. Se è lecito paragonare i massimi sistemi alle piccole cose della caccia, della nostra caccia, a me pare che ci si stia annodando intorno a un analogo impiccio: è il mondo, cioè, che gira intorno alla caccia, o è la caccia che ormai da qualche millennio gira intorno al mondo?
Non c'è dubbio che per noi, cacciatori, la caccia è l'assoluto universale; e l'universo è strettamente relativo alla nostra passione. Chi non l'avesse capito, vada a leggersi dichiarazioni, documenti, post, note che circolano sul web, esternate da singoli cacciatori, come da gruppi organizzati, movimenti, associazioni, e se ne farà presto una ragione. Ma è proprio così?
A mio parere, la passione per la caccia, le ingiustizie che noi da tempo stiamo soffrendo sono sì la reale condizione nella quale siamo immersi, ma non ce ne trarremo mai più fuori se non proviamo a riflettere sui perchè.
Primo punto - e penso soprattutto alla situazione Italiana, visto che altrove e in particolare in tutta Europa la caccia è trattata in ben altro modo a causa di una diversa collocazione giuridica - l'accesso al territorio. Il federalismo (Titolo V della Costituzione, proprio in questi giorni sotto verifica da parte delle forze politiche) ci ha portato ad un'arroccamento, che ha favorito anche nella caccia visioni localistiche con conseguenti privilegi, calendari arlecchino, chiusura degli accessi, limitazioni irragionevoli, dettate più da un perbenismo di facciata che da una reale necessità protezionistico-ambientalista. La costituzione degli ATC poteva essere un bene, visto che avrebbe potuto mettere in cantina la pretesa dell'abrogazione dell'842, ma è stato un fallimento in gran parte del paese, utilizzata come è stata utilizzata per accomodare sensibilità e culture locali, diverse e in molti casi opposte.
Secondo. L'associazionismo in questi ultimi trenta-quarant'anni ha dato il peggio di sè. La stagione dei referendum poteva essere l'occasione per rilanciare un'unità che oggi è acclamata a gran voce dalla stragrande maggioranza dei cacciatori, ma avversata da molti moltissimi dirigenti che per una ragione o per un'altra non intendono mollare la sedia su cui comodamente stanno assisi. Sarebbe sciocco dargli torto. Fatte salve rarissime eccezioni, non s'è mai visto uno stakeholder (portatore di interessi?) fare karakiri. Di solito è chi ha più puri ideali, più voglia di fare, più energie, ....più muscoli, anche intellettuali, che si impegna per punzecchiarlo e, se ce la fa, detronizzarlo. E qui sta il problema. Secondo me, o non siamo ancora abbastanza incazzati, o non ci sono sufficienti energie per passare dalla protesta alla azione. La congiuntura non ci aiuta, fra l'altro, visto che molti di noi stanno soffrendo anche per questioni di portata esistenziale.
Terzo. La politica ci ha deluso. Sfido chiunque a trovare un italiano, non un cacciatore, a dirsi soddisfatto dalla politica, se si escludono quel mezzo milione di miracolati che come stiamo vedendo dalla politica in qualche modo (motu proprio) sono stati beneficiati. Ma anche qui, mi chiedo, è giusto farci travolgere dall'antipolitica? E' giusto cadere nelle mani di gente come certi portabandiera che si vede lontano un miglio che non sono mossi da ideali condivisibili? E ancora: è ancora opportuno dare credito a coloro che propongono ulteriori scissioni associative o addirittura partitini che - l'abbiamo visto anche questo - possono andar bene quando in discussione c'è un posto in consiglio in un piccolo comune ma che scompaiono nel mare magnum delle aggregazioni/affiliazioni quando si corre per un posto in parlamento? O non è meglio, se ne abbiamo le forze, pretendere dalla politica una maggiore attenzione, sollecitando l'acquisizione nei posti che contano (nei partiti, nelle istituzioni) di nostri candidati, scelti da noi, di sicura fede venatoria, che comunque e ovunque costituiscano almeno una sentinella contro il dilagare di certa canea animalista/pseudoambientalista, dalla quale ci sarà da stare sempre più attenti, visto che la cultura metropolitana (anticaccia) è certificata dominante da quando anche l'Istat ha rilevato che in Italia sono ormai di più quelli che vivono in città rispetto a quelli che ancora vivono in campagna?
Che fare, allora? Dovremo lavorare al nostro interno. Dovremo avere le idee chiare su come fare alla svelta ad arrivare a un'unica cabina di rappresentanza. Dopodichè raggiungere un discreto equilibrio sulle cose da fare nell'immediato. Ma anche rifondare il nostro modo di pensare. Dobbiamo essere noi, i veri ambientalisti. Dovremo comunicare anche quello che abbiamo sempre fatto e che stiamo ancor di più facendo a favore dell'ambiente. Comunicare, sì, comunicare. E' la cosa che ci riesce di meno. Ma ce lo siamo mai chiesto perchè? Non sarà perchè la nostra classe dirigente (e chi la mantiene su) non ha gli strumenti sufficienti per farlo? L'altro giorno ho sentito di un candidato a qualche poltrona politica che continuava imperterrito a fare un comizio in una piazza...vuota. Si, vuota! Che dite, l'avrà capito che non funziona più? Non sarà il caso che anche noi si rifletta sui nuovi strumenti della comunicazione e soprattutto, soprattutto, si rifletta sui contenuti da comunicare? A quando dei bei corsi di aggiornamento (meglio ancora di preparazione di giovani leve) per dirigenti venatori?
A mio parere, di tecnica di caccia, di leggi e regole di caccia, di ecologia di zoologia e di etologia, di rapporti fra caccia e territorio, ne sappiamo: non ci insegna niente nessuno. Ma di questo nuovo mondo che ci si propone davanti, di come ci possiamo mettere in relazione, di come possiamo in qualche modo esorcizzarne i difetti, no, di questo no, non ne sappiamo abbastanza.
E allora, visto che qualcosa si muove, visto che molti giovani che hanno a cuore il futuro della caccia ce ne comincia ad essere, visto che qualcosa si muove, cominciamo subito a mettere a fuoco le strategie. E non facciamo come coloro che di fronte a un Galileo che sapeva che il mondo funzionava in maniera diversa, pensarono più al loro "quieto" vivere piuttosto che a diffondere la lieta novella.
Vito Rubini