Fra denunce e smentite, il lupo sta tornando alla ribalta della cronaca su tutto il nostro Appennino. Ma com'è veramente questo scontroso animale, quando raffigurato come il romantico “Zanna Bianca di Jack London, quando come il lupo delle favole, famelico e truce divoratore di porcellini e cappuccetti rossi, e quando ancora come uno snob incompreso (il Lupo Alberto dei cartoni) o un brigante pasticcione (il Lupo Lucio della TV dei ragazzi)? Ce lo racconta una scienziata, Claudia Capitani, che in compagnia dei lupi delle foreste aretine ha trascorso diverse primavere.
Io sono il lupo
La fame è la mia compagna/La solitudine la mia sicurezza
Io giaccio di notte/Freddo è il mio letto
Il vento la mia coperta/Io sono il silenzio
Un’ombra nella foresta/Impronte lungo il fiume
La mia corsa è un lungo inseguimento/Di scintille di fuoco
Dalla pietra focaia della notte
Io sono ucciso/Ma mai distrutto
Io sono il lupo.
(Canto tradizionale indiano)
La Storia
Il lupo è un animale sociale, ai vertici della catena alimentare, in grado di adattarsi a una molteplicità di ambienti e di sfruttarne al meglio le risorse, seppure minime, e da questo punto di vista rappresenta “l’alter ego selvatico” dell’uomo, con il quale è in conflitto da sempre. All’epoca in cui conduceva una vita nomade, da raccoglitore-cacciatore, l’uomo era in competizione diretta col lupo per le prede selvatiche e probabilmente si nutriva spesso dei resti delle carcasse lasciate dall’animale.
Col tempo l’uomo ha sempre più ricercato la collaborazione del predatore, in virtù delle sue ottime doti d’intelligenza, fiuto e abilità nella caccia. Lo scontro col predatore, che avrebbe potuto portare alla sua estinzione, si sarebbe invece attenuato con la creazione della sua forma domestica, plasmata dall’uomo secondo le proprie esigenze. Il cane, quindi, è divenuto un intermediario, più o meno efficace, nell’ambito della lotta tra allevatori e predatore, proteggendo da un lato il bestiame domestico, dall’altro il lupo, scoraggiandolo dall’avvicinarsi all’uomo.
I contrasti non sono però cessati. Nell’Italia medioevale, furono emanati numerosi decreti per favorire la cattura e l’uccisione dei lupi, al punto che in numerose comunità nacque la figura del “luparo”. Si trattava di un individuo emarginato dalla comunità, abitante e conoscitore dei boschi, in questo senso molto più vicino al lupo che agli uomini, il quale aveva il compito di uccidere i lupi che attaccavano il bestiame domestico, guadagnandosi in questo modo “l’accettazione” da parte della comunità.
La Società
La persecuzione diretta da parte dell’uomo, proseguita fino ai giorni nostri, ha portato alla scomparsa della specie in tutti gli Stati Uniti e nella maggior parte delle nazioni dell’Europa occidentale. In Italia, dai primi del ‘900 si è verificata una progressiva diminuzione della presenza del predatore, che agli inizi degli anni ’70 era diffuso solo nella porzione centro-meridionale dell’Appennino. Da allora, il lupo ha rioccupato l’intera dorsale Appenninica, ed è ricomparso nelle Alpi Marittime, superando il confine francese. Da alcuni anni è in espansione verso la Val d’Aosta, e, con presenze occasionali, la Svizzera. Grazie alla sua plasticità e capacità di adeguamento, il lupo ha saputo trarre vantaggio dalla concomitanza di situazioni favorevoli verificatasi in quegli anni, in particolare “l’abbandono” delle zone montane e collinari da parte dell’uomo, le numerose reintroduzioni e introduzioni di ungulati selvatici e la definizione di una legislazione specifica finalizzata alla conservazione delle specie animali in Italia.
La legge 968/77 e la successiva 157/92 hanno definitivamente dichiarato il lupo specie pienamente e particolarmente protetta, in adeguamento alla Direttiva Europea Habitat. (92/43/CEE) Lo status legale della specie e, soprattutto, i cambiamenti economico-sociali, hanno favorito la ripresa della popolazione in tutta l’Europa occidentale. Nonostante le mutate condizioni, il conflitto con l’uomo si è acceso di nuovo, in particolare con le categorie storicamente “avverse”.
Quella degli allevatori che subiscono gli attacchi del predatore e quella dei cacciatori di ungulati selvatici, che lamentano una riduzione delle loro possibilità di prelievo, o che, talvolta, vedono nel lupo un ambito trofeo o un animale nocivo, che deve essere eliminato.
Ma cosa c’è di vero in queste accuse?
Le ricerche scientifiche sulla dieta del lupo condotte in diverse aree italiane hanno evidenziato l’esistenza di due situazioni contrapposte: nelle aree con abbondanza di ungulati selvatici, questi sono la preda preferita dal lupo, anche se sono presenti i domestici; questi ultimi, insieme a piccoli vertebrati, frutta e addirittura rifiuti, costituiscono, invece, la maggior parte della dieta nelle regioni povere di ungulati selvatici e con un elevato grado d’antropizzazione.
Disponibilità di prede: una parola chiave per comprendere il conflitto con le attività umane. In molte regioni italiane, gli ungulati selvatici hanno raggiunto una densità tale da provocare danni alle colture agro-forestali ben superiori a quelle causate alla zootecnia dal lupo, e da richiedere interventi di controllo straordinario. Inoltre, dalle ricerche effettuate emerge che il lupo non è in grado di limitare la popolazione di ungulati selvatici, anche quando essi costituiscono più del 90% della sua dieta. Pertanto, il timore che il lupo sia un forte competitore nella caccia risulta immotivato.
Un’altra parola chiave nella strategia predatoria del lupo è vulnerabilità. Quanto più le prede sono facilmente accessibili, tanto più saranno selezionate. Questo vale anche per gli ungulati domestici, soprattutto nelle aree in cui il lupo è tornato di recente e i sistemi di difesa del bestiame erano stati abbandonati da qualche tempo.
Laddove queste misure sono state ripristinate, con il contributo delle Regioni, il conflitto si è attenuato. Tuttavia, l’estrema complessità dell’iter burocratico rende talvolta difficile l’attuazione dei programmi di prevenzione e risarcimento dei danni.
A trent’anni dalla prima legge di protezione del lupo in Italia, si può affermare che il pericolo di estinzione della specie sia scongiurato, e che, probabilmente, nei prossimi trent’anni i lupi italiani si riuniranno con quelli centro-europei. La sfida dei prossimi anni è la gestione della convivenza con il lupo, attraverso la conoscenza e senza ipocrisie.
Lo Spirito
Se da una parte dovrà essere fatto un grosso sforzo sul piano culturale, economico e legislativo per mediare i conflitti tra lupo e uomo, dall’altro è necessario puntare anche a un cambiamento della mentalità generale.
Non credo si possa difendere il lupo dipingendolo come un regolatore della fauna selvatica, che renderebbe più sana e forte, meno numerosa e quindi meno dannosa (obiettivi utili anche per l’uomo-cacciatore-raccoglitore); oppure dipingendolo meno aggressivo, col muso meno allungato, i canini meno lunghi e affilati, il “padre dell’anno” della foresta (cosa utile al nuovo “turismo ambientale”).
Questo animale, così simile a noi al punto che la sua storia e quella dell’uomo non finiscono d’intrecciarsi, ci sfida ad accettarlo per quello che è, ad accettare la sua aggressività e pericolosità. Ma anche a rispettare la sua libertà, che forse noi gli invidiamo e rimpiangiamo.
Il suo ululato ci invita a tornare alle foreste da cui proveniamo, per riscoprirne i suoni, gli odori, e confonderli con i nostri, e sentire il nostro respiro, vederlo aleggiare nell’aria e forse, una volta, voltarci e scorgere un’ombra fugace, una figura snella e allungata, leggera e silenziosa…e sentire una fiamma riaccendersi dentro… e riconoscere…il lupo…o noi stessi.