Cop21, Parigi, dicembre 2015. L'occasione per bloccare il surriscaldamento di terra e clima e ridurre le emissioni dei gas serra. Un impegno che ha coinvolto 195 Paesi, tra cui anche l’Italia. L’attenzione si è concentrata sui settori dell’energia, dell’industria pesante, dei trasporti, ma anche sul suolo e sulla sicurezza alimentare. Infatti, ogni giorno milioni di persone perdono terra, fonti d'acqua e cibo con il rischio di trasformarsi in veri e propri profughi climatici. Le conseguenze del cambiamento climatico secondo un rapporto della Banca Mondiale, potrebbero portare alla povertà oltre 100 milioni di persone entro il 2030. Povertà che per contrastarla occorre produrre più cibo, quindi ridurre le foreste e aumentare le terre coltivabili. Con la conseguenza che per un pianeta più green bisogna ripensare anche l'agricoltura, se non vogliamo che da un vantaggio se ne tragga uno svantaggio ulteriore. E l'agricoltura moderna, purtroppo, al pari dell'industria e di uno concetto di sviluppo ormai non più sostenibile, di danni ne fa.
Per dirla in numeri, come afferma il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini su
La Repubblica, il settore zootecnico è responsabile del 14% dei gas serra. Infatti, “su scala mondiale, l’agricoltura e l’allevamento sono i più grandi utilizzatori di acqua dolce, in quanto consumano il 70% delle risorse idriche disponibili. I fertilizzanti a base di azoto rappresentano il 38% delle emissioni dell’agroalimentare. Allevamenti industriali sempre più grandi producono grandi quantità di deiezioni, creando problemi d’inquinamento e smaltimento; il mangime arriva da monocolture intensive, spesso lontane centinaia o migliaia di chilometri e causa di deforestazione”. Di fatto si tratta di un ruolo centrale nel rapporto diretto tra clima, coltivazione della terra e cibo. Proprio la produzione di quest’ultimo, in realtà, - prosegue Petrini – rappresenta una delle principali cause e una delle prime vittime del cambiamento climatico. Le siccità sempre più frequenti, le inondazioni e il caldo estremo condizionano ogni produzione, sia vegetale sia animale.
“L'equilibrio tra uomo e natura – precisa ancora Petrini – si è rotto quando abbiamo iniziato a gestire le fattorie come industrie. Ma l'industria non tollera i tempi della natura”. Puntando sempre più su monoculture e produzioni di massa, siamo andati a scapito di suolo, acqua, foreste e oceani.
All’analisi di Petrini si affiancano le considerazioni scaturite al summit “Agricoltura e cambiamento climatico” organizzato sempre in occasione del vertice COP21, dall’OMA (Organizzazione mondiale degli agricoltori), dal Copa (Comitato delle Organizzazioni professionali agricole dell’Unione europea) e dal Consiglio dell’agricoltura francese. Roberto Moncalvo, presidente della Coldiretti, ha affermato che “l’agricoltura è l’attività economica che più di tutte le altre vive quotidianamente le conseguenze dei cambiamenti climatici, ma è anche il settore più impegnato per contrastarli. Si tratta però di una sfida per tutti che può essere vinta solo se si afferma un nuovo modello di sviluppo più attento alla gestione delle risorse naturali nel fare impresa e con stili di vita più attenti all’ambiente nei consumi, a partire dalla tavola”.
Dato da non trascurare, infatti, è anche quello legato allo spreco. Petrini nella sua analisi riporta dati piuttosto allarmanti: ogni anno buttiamo via circa 1,3 miliardi di tonnellate di cibo, ovvero un terzo degli alimenti prodotti. A livello europeo, si possono attribuire circa 170 megatonnellate di CO2 allo spreco alimentare, equivalente al totale delle emissioni della Romania o dell’Olanda nel 2008.
Il nostro cibo preferito, la carne di selvaggina, presenta vantaggi sia a livello nutrizionale che economico, e contribuisce almeno in parte a sopperire alle necessità di proteine nobili per la nostra dieta. E' ormai acclamato da più parti che la carne degli animali selvatici è un alimento sano, ricco di proteine e soprattutto molto magro. Carni sane e a buon mercato, che crescono praticamente a costo zero, tenendo conto delle infinite estensioni di foreste, molte in abbandono. Esperienza e competenza dei cacciatori potrebbero gratuitamente effettuare i prelievi finalizzati oltre che ad una razionale gestione faunistica per prevenire i danni, anche alla tutela della nostra salute, con un alleggerimento dei costi per i consumatori e con consistenti vantaggi per la nostra traballante bilancia dei pagamenti.
Alla fine l’accordo è arrivato. Nella serata di sabato 12 dicembre 2015, dopo 20 anni di negoziati, quasi tutti i paesi del Mondo per la prima volta hanno sottoscritto un impegno per contenere le emissioni di anidride carbonica. L’intesa si muove principalmente su tre assi: impegni vincolanti a convertire economie e produzione industriale in senso più verde, differenza di trattamento fra i paesi sviluppati e quelli in via di sviluppo e finanziamenti economici a questi ultimi a patto che si impegnino a crescere nel rispetto dell’ambiente. Il patto siglato permetterà di limitare l'aumento del riscaldamento globale ben al di sotto dei 2 gradi centigradi entro il 2020, forse fino agli 1,5 gradi, ha annunciato Laurent Fabius, ministro degli Esteri francese. Lo speriamo tutti, perché non si tratta di salvare il nostro pianeta in un futuro lontano, in termini di centinaia di anni, ma del domani. Considerando il fatto che la Terra è dei nostri figli, dei nostri nipoti, ma ancora nostra. Perché oltre all’aumento della popolazione mondiale, che da qui al 2050 raggiungerà i 9 miliardi di persone, è in costante aumento anche l’aspettativa di vita ed è nostro dovere preparare il terreno per vivere al meglio la vita sul Pianeta.