I beccacciai alla chiusura della stagione venatoria amano fare bilianci e confrontare le loro esperienze. Quest'anno non ho cacciato e perciò posso solo registrare i resoconti degli amici che hanno cacciato nei boschi cedui collinari dell'alto Lazio, aggiungendo le mie riflessioni.
La maggior parte degli appassionati riferisce che nella stagione passata la consistenza dei selvatici è stata buona e forse, superiore a quella dell'anno passato, ma ha lamentato che a parità del numero di incontri la percentuale degli abbattimenti sia stata più bassa del normale a causa dell' "intrattabilità" degli uccelli.
E' accaduto che spesso le beccacce si involassero al semplice approssimarsi del cane, oppure a cane "fermato" si sottraessero di "pedina" e infine nei casi di frullo a tiro riuscissero a sottrarsi in un lampo alla vista del cacciatore.
Poichè nulla avviene per caso e la caccia con il cane è possibile solo se il selvatico "regge" la ferma, è importante cercare di capire le cause di questa inedita tendenza all'involo precoce dei selvatici, di cui c'era stata per la verità qualche avvisaglia negli anni passati, ma che ora sta diventando preoccupante.
Non è così facile analizzare i fenomeni in etologia perchè l'ambiente naturale ha una sua razionalità intrinseca così complessa da trascendere la nostra capacità di comprensione perchè consta di una indefinita pluralità di elementi in equilibrio percario tra loro ma interdipendenti, con la conseguenza che ogni variazione si ripercuote a cascata su tutti gli altri rendendo difficile distinguere le cause dagli effetti.
Per giunta la beccaccia è un selvatico pressochè sconosciuto in quanto vive nascosto nel folto dei boschi, vola solo di notte per mangiare larve e anellidi, nidifica nei paesi del nord e sverna in quelli del sud, ed anche nella migrazione vola di notte.
Tutti i cacciatori sanno per esperienza che, in genere, è la pressione venatoria a determinare l'intrattabilità degli uccelli, ma nel caso di specie le beccacce hanno mostrato la tendenza all'involo precoce già al primo arrivo in Italia, il che significa che hanno sperimentato altrove come eludere le insidie già prima di venire in Italia e cioè nei paesi del nord, dove in effetti da alcuni anni la caccia viene praticata prima della migrazione, e con un intensità sempre crescente, per cui la beccaccia è già smaliziata quando arriva da noi.
La pressione venatoria influisce di regola sul comportamento dei selvatici perchè ogni specie possiede, entro certi limiti, la capacità di modificare l'istinto genetico di sopravvivenza (cioè quel complesso di azioni e reazioni finalizzato all'autoconservazione), in modo da poter fronteggiare l'emergenza di eventuali nuove insidie.
In natura per evitare che una delle specie possa estinguersi, i valori adattativi che presiedono alla autoconservazione sono improntati e strategie di compatibilità tra le tecniche offensive dei predatori a quelle difensive delle prede, e perciò se la pressione dei predatori aumenta la difesa delle prede per simmetria inversa si fà più attenta e sofisticata.
In questa ottica la relazione che corre tra la selvaggina e il cacciatore (che si serve del cane) è analoga a quella tra preda e predatore e le vicende di questa relazione sono la chiave che spiega la continua evoluzione della tecnica venatoria nel tempo.
L'uomo ha iniziato a cacciare gli uccelli con reti fisse e trappole, dopo essere diventato sedentario (grazie all'agricoltura), e per scopi prevalentemente alimentari (la falconeria è stata solo uno sport).
Questo tipo di caccia è diventato più intenso da parte degli agricoltori e degli uomini di campagna quando la caccia ai grandi animali divenuta appannaggio esclusivo dei nobili e dei potenti è stata loro vietata.
L'oggetto principale della caccia con le reti fisse sono stati gli uccelli stanziali e terricoli (le cui carni sono assai pregiate), facilmente catturabili con le reti perchè sedentari e abitudinari.
Gli uccelli terricoli sono quelli che vivono, si alimentano e nidificano in terra nascosti nella vegetazione e che alla percezione di un pericolo invece di volare via come gli altri uccelli, si affidano alla difesa passiva a terra dell'immobilità e del mimetismo (e ciò ne ha consentito la caccia con il cane da ferma).
La riluttanza al volo (cui si ricorrono solo in casi estremi e per brevi tratti) è stata adottata come difesa contro l'attacco dei rapaci che grazie alla vista acuta e al volo veloce e scattante, non lasciano scampo agli uccelli che si muovono in aria, mentre il loro apparato visivo non consente di mettere a fuoco ciò che non si muove.
Quando poi, con il passar del tempo la consistenza degli uccelli terricoli si è ridotta ed essi si sono sparpagliati in aree sempre più vaste, la rete fissa è diventata improduttiva, e allora l'uomo è stato costretto a selezionare un cane dall'olfatto specializzato che esplorando il territorio riuscisse a localizzare i selvatici invisibili nella vegetazione dalla loro emanazione, addestrato inoltre ad arrestarsi vicino ad essi (in "ferma") allo scopo di far scattare in loro il ricorso alla difesa passiva dell'immobilità, così da permettere all'uomo di giungere a distanza utile per scagliare la rete da lancio (una specie del "giacchio" dei pescatori, inventato a tale scopo) ed è nata la caccia con il cane da ferma.
La beccaccia è l'unico migratore terricolo ma la sua caccia nel bosco con il cane è stata possibile solo con l'avvento del fucile a pallini.
Sotto la pressione venatoria dunque la selvaggina stanziale, quando si è già smaliziata ed è in allerta si difende stazionando dove la vegetazione offre una maggiore protezione, (e il cane esperto la ferma a grande distanza per evitare l'involo), ma poi quando alla fine della stagione vuole maggiore sicurezza si piazza sulle maggesi in modo da poter scorgere da lontano il pericolo (e in questo caso, il cane non può più fare nulla).
In conclusione se questa propensione all'involo precoce delle beccacce resterà episodica (anche se frequente) ma non sistematica, la caccia con il cane sarà più difficile ma ancora possibile mentre sotto certi aspetti la riduzione del numero degli abbattimenti in Italia potrebbe avere anche un ritorno positivo, perchè l'aumento degli uccelli che andranno a nidificare al nord produrrà un aumento globale della popolazione e quindi un "passo" più abbondante in Italia.
Da ultimo, ma non per ultimo, non si pùò escludere l'ipotesi (catastrofica ma possibile) che la tendenza all'involo precoce sia l'indizio di una modificazione dell'istinto genetico, che va a sostituire l'immobilità difensiva con l'involo precoce. Una modificazione genetica di questo tipo si è già manifestata in alcune specie di migratori ( mi dicono che gli anatidi per esempio non "credono" più agli "stampi" e addirittura rifiutano di mangiare le granaglie che vengono sparse per attirarli).
In questa funesta ipotesi la caccia alle beccacce con il cane da ferma a grande cerca sarebbe finita, e gli irriducibili dovranno adattarsi a nuove forme di caccia (come è sempre accaduto in passato).
Su altre e diverse tecniche di caccia alla beccaccia ricordo che nei miei verdi anni ho visto come nei boschi difficilmente transitabili (penso ai "tomboleti" della Tunisia e a certe foreste della Scozia) dove il cane da ferma non è utile, che gruppi di due o tre cacciatori usavano cani springer-spaniel a cerca ristretta che obbligavano a frullare le beccacce incontrate, dando loro la possibilità di sparare qualche fucilata.
Un attento monitoraggio delle prossime stagioni venatorie chiarirà in che direzione si sta andando.
Enrico Fenoaltea