E' l'ora di agire. Di ripensare al futuro di questo pianeta che giorno dopo giorno rivela nuovi punti critici legati alla sostenibilità delle attività umane. Ce lo hanno detto i telegiornali, i programmi di approfondimento, la ricerca scientifica, e persino i partiti e i governi.
La terra soffre, lo dimostrano segni come lo scioglimento dei ghiacci dovuto al surriscaldamento dell'atmosfera o la progressiva distruzione della biodiversità, causata dalla riduzione massiccia degli habitat naturali e dalle sostanze tossiche dell'agricoltura intensiva. Senza andare troppo lontano ce ne accorgiamo anche nei nostri ambienti di caccia, ogni anno centinaia di ettari vengono sottratti alla natura, gli uccelli migratori cambiano le loro rotte millenarie disorientati dagli squilibri ambientali e sempre meno specie popolano quelli che al tempo dei nostri nonni erano veri e propri paradisi pullulanti di vita. Che siano molti i fattori legati alle attività umane che contribuiscono a rendere sempre più difficile la sopravvivenza della vita sulla terra (inquinamento, urbanizzazione, cattiva gestione di acque e rifiuti sono solo i più menzionati) si sa da tempo anche se poco, pochissimo finora si è fatto per invertire la rotta.
Le cose stanno però gradualmente cambiando, tant'è che durante l'ultimo G8 a L'Aquila è stata avanzata e sottoscritta dai grandi della terra la necessità di ridurre di almeno due gradi la temperatura del globo entro il 2050.
L'impegno dei governi è importante ma nell'immediato possono ben poco e senza l'appoggio del mondo economico sono solo parole al vento. Sono i cittadini ed insieme a loro le imprese che possono spostare l'ago della bilancia verso un sistema virtuoso che dà lavoro e profitti con il minimo impatto sulla terra, attraverso l'istituzione di nuovi modelli di consumo. Siamo noi, per dirla in breve, noi che produciamo, acquistiamo e consumiamo.
L'impresa non è impossibile, basta volerlo. Lo ha dimostrato la piccola comunità di Samso (4500 anime in tutto), un'isola della Danimarca sperduta nell'Atlantico che ha invertito l'inesorabile declino della sua economia agricola, prima incapace di sostenere i costi della normale gestione (primo tra tutti quello del petrolio da importare) poi, convertendosi alle rinnovabili, decretata primo luogo al mondo ad impatto zero. Qui abitanti, imprenditori e istituzioni hanno lavorato insieme per permettere l'installazione di 12 grandi turbine a vento, capaci di produrre energia pulita a costo zero. Ma non solo, la conversione è stata totale, sono stati installati sulle case pannelli solari e strati di muschio per conservare il calore e produrre energia propria. Inoltre eliminato petrolio e derivati, i macchinari agricoli, industriali e le autovetture di questo posto funzionano grazie ai combustibili naturali. Tutti questi accorgimenti hanno permesso di abbattere i costi e di evitare così la chiusura delle fattorie, creando nuove opportunità di lavoro e fermando l'esodo dei giovani dall'isola alla terraferma (chissà se qualcosa di simile si può immaginare per invertire lo spopolamento delle nostre montagne) e, cosa ancora più importante, di guadagnare sull'energia prodotta, vendendola altrove.
Un esempio tangibile che permette di capire quanto sia importante la volontà delle persone nell'unire le proprie energie a vantaggio dell'ambiente, della nostra salute e anche del portafoglio. Questa piccola grande storia è anche la dimostrazione di come siano in realt�le piccole comunità legate alla tradizione e alla vita rurale ad avere una maggiore sensibilità rispetto alla salvaguardia dell'ambiente, perché proprio sulla sua protezione si basano agricoltura, allevamento, caccia, pesca e tutte le attività a contatto con la natura.
Arrestare il processo di distruzione innescato, ora che più che mai è possibile grazie ad un ventaglio enorme di nuove possibilità. Punto forte del cambiamento è, insieme alla ricerca di nuove fonti energetiche, paradossalmente la riduzione drastica dei consumi. Ridurre il proprio impatto sulla terra è possibile anche tornando ad una vita più sobria.
E' questo l'obiettivo di movimenti come “Decrescita felice” di Maurizio Pallante che vede una possibilità di progresso nella conservazione, sia in fatto di risorse materiali che dei valori della tradizione. Una sorta di elogio della qualità di ciò che “consumiamo”, usiamo e mangiamo ma prima di tutto della vita. “La decrescita – è scritto da Pallante sul sito decrescita felice - è la possibilità di realizzare un nuovo Rinascimento, che liberi le persone dal ruolo di strumenti della crescita economica e ri-collochi l’economia nel suo ruolo di gestione della casa comune a tutte le specie viventi in modo che tutti i suoi inquilini possano viverci al meglio”.
I cacciatori, quelli che vivono la caccia tutto l'anno, spesso unici presidi del territorio, possono fare molto. Prima o poi qualcuno se ne accorgerà.
C.F.