Mentre il bomber Ibrahimovic, la sua apertura (all’alce) la fa in Svezia, noi – più modestamente, ingentilendo il carniere con fagiani, starne, quaglie, tortore, qualche lepre – l’abbiamo fatta sui nostri monti, nelle nostre colline, nelle valli, nelle lanche palustri. Ma va bene così. L’importante che sia partita un’altra stagione, a dispetto di tutti coloro che s’ingegnano a renderci il sangue amaro.
Un’altra stagione, che malgrado tutto ci riserverà le attese gioie, qualche delusione, ma come sempre tante emozioni, a noi, ai nostri cani che già da tempo smaniavano impazienti, a tutti coloro che con noi vivono i magici momenti di questo rito antico come il mondo.
Un'altra stagione, malgrado la Brambilla, impegnata insieme ai suoi asini nella ricerca di “Cartier”, il suo gioiello di cagnetta, distratta così dai suoi doveri istituzionali – la Brambilla, non la cagnetta - che la vedono particolarmente indaffarata a Bergamo, terra di cacciatori, per il successo di una nuova e originale Expo del Turismo. Un ministro che fra i vari e diversi apprezzamenti dei colleghi, tira avanti imperterrita per la sua strada, e sicuramente non mancherà di insistere nel massacro mediatico di caccia e cacciatori.
Un’altra stagione, a dispetto di quei sedicenti scienziati, che insistono nel sostenere che la caccia alla stragrande maggioranza dei migratori va fortemente ridotta, perché – causa la caccia - si rischia l’estinzione di innumerevoli specie, ignorando (volontariamente?) che se qualche rischio c’è - o meglio, ci fosse - la causa andrebbe ricercata altrove. Infatti, fra vincoli e divieti, scempi edilizi ed ambientali ed irragionevoli espansioni urbanistiche, pressappoco sulla metà del territorio italiano non è possibile praticare alcuna attività di caccia. Una percentuale di territorio, quindi, non riscontrabile in nessun’altra parte del mondo, dove gli animali selvatici, che scemi non sono, potrebbero proliferare indisturbati. E in effetti, quando ci sono le condizioni ambientali favorevoli lo fanno. Lo sanno bene gli agricoltori, che non sono più in grado di sostenere il carico delle scorribande di cinghiali, cervi, daini, caprioli, mufloni, storni e cornacchie (ma non scherzano neanche passeri e fringuelli), che là, in quei terreni preclusi alla caccia, si rifugiano.
Un’altra stagione, “alla faccia” di chi ci vorrebbe morti, feriti, messi alla gogna, imprigionati, responsabili di perpetrare continuativamente attentati alla sicurezza e all’incolumità delle persone. Quando invece le statistiche ci dicono tutt’altro. Quegli stessi anticaccia, animalisti, ecologisti di maniera, che brindano alla scoperta della bistecca sintetica, ignorando la seconda legge della termodinamica, quella che regola l’entropia: spiegato alla buona, in natura, per produrre qualcosa di ordinato occorre mettere disordine (ovvero distruggere) in una quantità più alta di materia di quella prodotta. Quindi, un chilo di bistecca sintetica farà più danni al sistema di una bistecca “naturale”. E così, lorsignori, i tapini, guidati da grandi fratelli di cui spesso ignorano anche l’esistenza, sono il più grande strumento di distruzione del nostro patrimonio naturale. E insistono, con i loro comportamenti, a togliere latte a quelle moltitudini di bambini indigenti, che possono purtroppo solo sperare in un futuro di fame che non supera le poche settimane. Sotto gli occhi di un’umanità indifferente, che pensa a propinare merendine e crocchettine a poveri esserini a quattro zampe, castrati o sterilizzati.
Un’altra stagione, che tristezza!, senza una legge e dei regolamenti adeguati ai tempi e alle situazioni. Accusati di voler praticare una “caccia selvaggia”.Tartassati da vincoli e burocrazia, spesso insulsi, quasi sempre ingiusti, causa anche la inadeguatezza di molti dirigenti, di un associazionismo che punta alla divisione, al campanile, alla difesa inutile e anche dannosa di nostalgie del passato, un associazionismo inquinato ancora da tanta ideologia, da troppi furbastri, profittatori e da alcuni personaggi da basso impero, tanto loschi quanto squallidi.
Un’altra stagione, che segnala tuttavia anche l’entusiasmo di molti giovani, non quanti ce ne vorrebbero, ma che fanno sperare in un futuro più fresco, più preparato, più libero ed emancipato da caste e camarille, da divisioni ed egoismi. Un futuro che veda la caccia unita, solidale, proiettata nella contemporaneità. E’ su loro, sui giovani, che noi cacciatori della selva, abituati più agli usi e ai modi della campagna, che alle liturgie della metropoli e alle congiure dei palazzi, dovremo puntare se vorremo ancora ricevere gioia da questa stagione, e da un’altra e da un’altra ancora….
In bocca al lupo a tutti.
Vito Rubini