Più si avvicina l'apertura e più si infittiscono i contatti (ormai conta soprattutto lo smartphone, Facebook, ma s'affaccia prepotentemente sulla linea informatica anche una massa sempre più consistente di devoti a WeHunter), si affollano i circoli, le armerie, le sedi delle squadre di cinghialai, i bar, i club sempre meno esclusivi dei selettori.
L'argomento principe, non c'è dubbio, è il calendario venatorio. In alcune regioni ad esempio non è ancora uscito, malgrado la legge preveda quel limite a fine giugno, in altre è stato contestato dai soliti fanpazzisti di WWF e Lipu (che oggi esultano per aver conquistato il ministero chiave, quello dell'Ispra, a dispetto di Salvini e della debordante padania), con strascichi che accendono gli animi. La preapertura è in cima ai pensieri di molti migratoristi, come il sottoscritto, che rimpiangono i bei tempi andati dei prispoloni, delle tortore a gò-gò, dei rigogoli, delle lacciaie pingui e variopinte. E quelli ancor più lontani delle aperture agostane, quelli delle starne in brigata, dei fagiani nati e cresciuti nei campi, delle lepri furbacchione, e i merli, le tortore se non c'erano stati temporali, e le soste all'ombra di una quercia frondosa, per rifocillarsi: un paio di fette di pane, una salsiccia, del salame, il "cacciatorino", una scatoletta di tonno, un bicchierotto di vino, acqua dalla borraccia per i cani, una mela o una pera. Chiacchiere, racconti, prese in giro per l'ultima padella.
Ma, dall'attualità, si passa inesorabilmente alle prospettive per il futuro. Pieno di incognite, ma anche di speranza di rivalse, di aspettative. Il presente e il presente prossimo propongono prospettive di contrasto. Da una parte i tanti impegni presi da una delle due componenti governative, la Lega, esplicita che di più non si può. Dall'altra il bastone tra le ruote messo con altrettanta determinazione (salvo qualche singolo caso) dei Cinquestelle che lanciano anatemi da una fortino (il Ministero dell'Ambiente) caduto in mano, nella pratica quotidiana, al presidente della Lipu, che - come ha ricordato "Il Giornale" - è stato per anni "il braccio destro" del "verde" Pecoraro Scanio, il quale da Ministro dell'Agricoltura avversò in tutti i modi la caccia: fra le tante, oltre al passaggio di gran parte delle competenze (INFS-Ispra comprese) dal Ministero dell'Agricoltura a quello dell'Ambiente, dicono che annullò la lettera del suo predecessore (Paolo De Castro) - richiamata in seguito anche dal Ministro Zaia - con cui si chiedeva a Bruxelles di reinserire lo storno fra le specie cacciabili.
Come impostare, dunque, una politica di prospettiva per riportare l'attività venatoria all'epoca in cui non c'era terra ove almeno una volta all'anno si celebrasse anche il mito della bellezza italiana con la fascia di "Miss Diana"?
Le prospettive ci sarebbero. Subordinate tuttavia al superamento di quel clima di eterna conflittualità fra le associazioni venatorie.
Solo così, raccogliendo le forze, si potrebbe giungere a fare il punto sui valori della pur sempre consistenti schiere di appassionati, fra cui ci sarebbe da selezionare nuova linfa, giovane, acculturata, tablet-dotata - che c'è, non c'è dubbio - ma che per suo tramite ne potrebbe acquisire, conquistarne altra, fra coloro, giovani, donne, che al momento hanno altri interessi, magari inconsapevolmente convergenti.
Già molto si è fatto, in modo semmai poco organico. I salmi che finiscono in gloria, per esempio, stanno conquistando poco più che in sordina i luoghi dove la gente mette le gambe sotto il tavolino. Prima con tovaglia a quadri, campagnola, ma oggi sempre più sotto l'egida anche di chef stellati. Ormai da oltre un ventennio si celebra la "Selvaggina a Tavola", con eventi di spicco. Prima soprattutto in Toscana: chi non ricorda il Carlin Petrini che prese spunto alla Sagra del Tordo di Montalcino per fondare il suo Slowfood?; e la Settimana della selvaggina a tavola di Firenze, proseguita poi fino ad oggi in Lombardia? Di grande spessore il progetto Filiera Selvatica dell'ATC di Pistoia, la partecipazione a Food & Wine alla Leopolda di Firenze (Federazione Italiana Cuochi), il corposo progetto scientifico "Selvatici e buoni" della Fondazione UNA, condotto insieme a prestigiose istituzioni come l'Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo e, non ultima, l'iniziativa editorial-gastronomica "La caccia di Igles e dei suoi amici", con la quale sotto la guida di Igles Corelli e Michele Milani è stato possibile raccogliere le testimonianze culinarie "on the road" di una venticinquina di chef stellati, oltre a Corelli, del calibro fra gli altri, di Heinz Beck, Massimo Bottura, Vito Mollica, Giancarlo Perbellini, Davide Scabin, Mauro Uliassi, Gianfranco Vissani.
Un impegno con risultati di grande rilevanza, come si vede, che tuttavia non sembra bastare, oggi, a ricollocare la caccia e i cacciatori nell'ambito di quelle attività cosiddette virtuose. Mentre invece, anche qui, per la tutela della biodiversità - mi viene prima di tutto da dire - il nostro mondo fa di più di tutte le associazioni ambientaliste messe insieme, che nell'ultimo mezzo secolo almeno hanno fatto poco più che la foglia di fico a un sistema agro-economico industriale che ha distrutto una parte consistente del nostro patrimonio naturale. Prendiamo il caso degli istituti previsti dalla 157. Sfido chiunque a fare un raffronto, sia di quantità di superfici, sia di qualità di biodiversità, fra le cosiddette oasi di WWF e Lipu e le Oasi di Protezione, le Zone di Ripopolamento e Cattura, i Centri (Pubblici e Pubblici) di Riproduzione della Fauna Selvatica allo Stato Naturale, gestiti in virtù della legge sulla caccia (art. 10). A cui vanno aggiunti, non dimentichiamolo, tutte le aree costituite in Aziende Faunistiche. E gli appostamenti fissi? Volete mettere l'attenzione che ogni titolare di azienda o di appostamento pone nella conservazione (o del rispristino) delle essenze vegetali più adatte alla presenza di fauna selvatica? Perchè non diciamo, per esempio, che nella gran parte delle AFV delle nostre lacune, almeno un terzo è "riservato" per legge a oasi di protezione? Perchè non invitiamo tutti questi soloni da salotto (e da Governo) a colmare le loro "lacune" di conoscenza, facendo loro capire che se in Italia abbiamo ancora zone umide adatte alle specie acquatiche della tradizione (anatre, limicoli, non certo gabbiani, nutrie, cormorani) il merito è esclusivamente di coloro che nonostante tutto continuano con passione a praticare la caccia?
Ecco che allora, anche per far riemergere queste preziose verità, c'è bisogno di convergenze, c'è bisogno di una "cabina di regia" che funzioni. C'è bisogno di mettere da parte volgari concorrenze, inimicizie, dissidii personali, visioni del "particulare" che fanno invidia ai polli di Renzo.
Per prima cosa per ricostituire quei sodalizi diffusi sul territori che facciano riferimento a competenze nuove, a sensibilità capaci di confrontarsi con una realtà sociale e politica nuova, in rapido cambiamento, menti agili, dinamiche, colte. Una classe dirigente, cioè, che viva l'oggi, ma che abbia consapevolezza del domani. Esperta di caccia, ma più attrezzata in pubbliche relazioni (vorrei dire marketing, se non sapessi di offendere le tante sensibilità), in scienze politiche e sociali, in comunicazione, per affrontare con strumenti adeguati queste infinite fake che un abile orchestrazione figlia dei più avanzati algoritmi ci sta scaricando addosso, per distogliere l'attenzione dai veri problemi che stanno affliggendo da decenni ormai il nostro patrimonio naturale.
Vito Rubini