In pieno clima equatoriale, surriscaldati come siamo da Flegetonte, che secondo i paesani di Tsipras è il "fiume di fuoco" dell'Ade, l'inferno, può darsi anche che le considerazioni che seguono appaiano inflenzate da tanta calura.
Tuttavia, a occhio e croce, ormai nella cosiddetta direttiva uccelli, a me sembra che l'unica cosa certa o poco di più sono gli allegati. Quegli elenchi cioè che ad oggi classificano l'avifauna selvatica come particolarmente protetta, cacciabile in tutti gli stati aderenti alla UE, cacciabile paese per paese.
Esisterebbero anche le deroghe, ma con l'aria che tira, le temerarie e meritevoli amministrazioni regionali che si danno da fare per contemplarle, hanno del gran filo da torcere.
Di questi elenchi, già da qualche mese imperversa il toto modifiche, su cui si stanno applicando a fondo le associazioni anticaccia - scusate, ma non mi sento più di chiamarle ambientaliste, almeno quelle che operano sul territorio della nostra beneamata Italia - e lo fanno per dimostrare che l'avifauna del paleartico soffre soprattutto per la caccia (adesso hanno scoperto anche che il bracconaggio incide pesantemente, ma i numeri che loro stessi propagandano dicono che al massimo da noi il bracconaggio puo' incidere si e no per uno zero virgola), con lo spocchioso fine di aumentare i vincoli soprattutto temporali e di ridurre gli elenchi delle già esigue specie oggetto di caccia.
Secondo me lo fanno invece perchè devono distogliere l'attenzione dai loro evidenti fallimenti, dato che gli obiettivi primari della direttiva in oggetto (ma anche quelli della parallela direttiva cosiddetta Habitat) sono la tutela degli habitat (appunto) e la prevenzione della perdita di quella biodiversità vegetale e animale che per millenni ha consentito la presenza del prezioso patrimonio avifaunistico sul nostro territorio. Come si dice: è più facile colpire l'anello più debole della catena, i cacciatori, piuttosto che le multinazionali della chimica, gli speculatori fondiarii, gli industriali dell'agricoltura senza identità. Quelli che per esempio vorrebbero fare il formaggio senza latte. Quelli che - da quanto si è anche vociferato - si sono fatti scudo di simboli "nature", anche ultranoti, probabilmente pagando laute royalties, per continuare a fare i loro comodi.
Ecco che allora escono roboanti proclami a base di "rapporti" targati sulla situazione degli uccelli comuni in Italia, sulle specie in pericolo, sull'effetto caccia prossimo venturo. Secondo lor signori nefasto.
Di fronte a tanti allarmi che ci riguardano direttamente anche come cacciatori, voi che fareste? Personalmente mi sono voluto documentare, andando alla fonte. E qui, m'ha aiutato anche Bighunter, che devo dire puntualmente pubblica di tutto e di più delle vicende che riguardano la nostra passione. Insomma, apro questi mastodontici rapporti e leggo cose che dai proclami non avevo percepito. Sarà il caldo? Fatto si è che una delle cose che saltano subito all'occhio è il giudizio negativo sulle capacità delle direttive - in questo caso la direttiva Habitat - di opporsi alla perdita di biodiversità. La causa prima? L'agricoltura, con la selvicotura come seconda. Quelle che in questi ultimi decenni hanno sconvolto gran parte dei territori fertili, distruggendo equilibri ecologici frutto di esperienze e saggezze che i nostri contadini si erano tramandate generazione dopo generazione.
A questo punto il caldo mi dà un'accelerazione pazzesca ai neuroni e metto a fuoco d'un tratto due o tre perle che mi sembrano sintomatiche. La prima, che è una domanda: che ci stanno a fare tutti questi parchi e queste aree protette? Che siano stati una scusa per consentire libertà di sconquasso nel restante territorio? Non sarebbe stato meglio vincolare a dovere (non per la caccia, ma per tutte quelle attività umane veramente impattanti, che l'attuale realtà ci certifica) tutto il territorio? La seconda: la legge 157 vieta la caccia su quasi un terzo del territorio rurale (in alcune province lo supera ampiamente). Quindi, non è possibile che una qualsiasi specie volatile abbia a patire per il proprio futuro a causa della nostra attività. La riprova l'abbiamo per esempio con cinghiali e ungulati in genere, le cui popolazioni crescono sempre di più perchè - giustamente, dal loro punto di vista - per evitare incontri con cani e cacciatori, si rifugiano nelle zone dove i cacciatori non possono entrare. Così fanno gli uccelli. Lo farei anch'io.
La terza, una speranza: con questi chiari di luna, default o non default, spending review o non spending review, soldi ce n'è sempre meno. E allora, finalmente, si ridurranno gli aiuti alle infinite congreghe animaliste, ai parchi, alle aree protette, stipendifici a go-gò, e chi vorrà davvero fare del bene all'ambiente, agli animali selvatici, e nello stesso tempo risolvere qualche squilibrio faunistico, dovrà ricorrere a chi a costo zero può davvero risolvere i problemi.
Perchè, ditemi voi se sono nel giusto, cosa c'entra la caccia con la riduzione dei contingenti di tortore, quando ormai la caccia apre a tortore bell'e andate, o dell'allodola che soffre dei trattamenti a cui è soggetta la produzione cerealicola? O con la scomparsa delle rondini, protette da tempo immemorabile, o dei passeri, ormai da una ventina d'anni esclusi dall'elenco delle specie cacciabili?
E perchè il colombaccio, specie assiduamente da noi insidiata, aumenta le proprie schiere anno dopo anno?
Via, siamo seri!
Vito Rubini