Giorni fa, grazie all'iniziativa dell'ATC 16 Pistoia, alla Borsa del Turismo Sportivo di Montecatini Terme, si è parlato degli aspetti che collegano l'attività venatoria con le varie attività economiche e sociali, turismo compreso. Ritengo sia utile ritornare sull'argomento.
Quando si parla di turismo collegato alla caccia, in primo luogo si pensa al “turismo venatorio”, in Italia e all’estero. Se il riferimento è l’Italia si pensa comunque a “gente che va a caccia”, che cerca alberghi, ristoranti, magari fa acquisti, ma è il “luogo di caccia”, preferibilmente garante di risultati, al primo posto. E' innegabile che fra le varie attività turistiche c’è anche questo “mercato”, non insignificante se consideriamo solo il numero di Aziende Agrituristico-venatorie, con annessi commerciali, produttivi, ricettivi.
L’esplosione del patrimonio faunistico costituito dagli ungulati (a parte il cinghiale, caprioli, daini, cervi: la più ricca regione italiana e fra le più d’Europa) porta oggi in Toscana appassionati da ogni parte d’Italia. La ricerca mobile della migratoria, oggi limitata per tanti motivi e comunque più “povera” , è affiancata dall'interesse per il trofeo, che comporta permanenze in loco, anche più lunghe.
Ormai quasi vent’anni fa, del resto, uno studio condotto da illustri professori dell’Università di Firenze certificò in diversi miliardi (corrispondente a circa un terzo del prodotto agricolo vendibile in regione) il movimento economico messo in circolo, direttamente ed indirettamente, dalla caccia in Toscana.
Questo tipo di turismo, che non deve essere sottovalutato, è comunque solo una delle forme di turismo riconducibile al mondo della caccia e più in generale della gestione faunistica operata in gran misura dai cacciatori, dalle loro organizzazioni, dalle strutture di gestione dove i cacciatori siedono e lavorano.
Sovente, troppo sovente, il concetto di “turismo verde” o “ecologico” è esclusivamente legato ad una visione della natura immobile, ad un ambiente solo da osservare il più da lontano possibile e non da vivere, modalità che considerano l’uomo, fruitore da sempre delle risorse naturali rinnovabili, quasi un intruso, un estraneo che rischia di far deperire un equilibrio che regge solo se l’uomo stesso ne resta fuori.
Questa visione porta automaticamente (fino ad oggi ha generalmente portato) a neppure immaginare che possano esistere qualificatissime occasioni di turismo nella natura fortemente connesse al mondo della caccia e della gestione faunistica e venatoria, connessione determinata sia dal fatto che tantissime di queste occasioni sono oggi delle realtà soltanto perché sono state ricreate o mantenute o migliorate dai cacciatori, sia perché i cacciatori sono spesso i soli, grazie alla frequentazione che ne hanno, a conoscere situazioni estremamente interessanti, a poter “guidare” un appassionato a scoprire la natura in momenti e luoghi altrimenti ignoti.
Un aspetto di particolare rilievo è che spesso queste occasioni sono collocate in aree cosiddette marginali e svantaggiate, non inserite in alcun itinerario turistico, poco segnalate anche per eventuali appassionati di riscoperte gastronomiche o di antiche attività legate al mondo agricolo e forestale: aree dove oggi la sola presenza continuativa “esterna” è quella dei cacciatori, che le frequentano sia per l’attività venatoria propriamente detta, sia per le azioni ad essa propedeutiche (censimenti, realizzazione di colture dedicate, etc), sia per una vera e propria opera di manutenzione ambientale che dura tutto l’anno.
Il pensiero comune è che se si cercano occasioni per poter osservare un cervo, o gli uccelli acquatici, o altri animali che frequentano i nostri monti ed i nostri boschi bisogna andare in un’oasi del Wwf, o in un parco, comunque in un’area interdetta alla caccia e dove i cacciatori non hanno ruolo e cittadinanza. Nella realtà, invece, sono molto più numerose e ricche le tante situazioni legate alla caccia.
E quando dico legate alla caccia, mi riferisco sia a aree dove la caccia si esercita sia a aree dove i cacciatori svolgono attività di gestione faunistica anche con finalità venatoria, ma dove la caccia non si esercita (Zone di ripopolamento, Zone di rispetto).
Fra l’altro, la stagione di caccia va da settembre a fine gennaio, ma la gestione delle aree dura tutto l’anno così come la presenza, secondo i loro cicli biologici e le loro caratteristiche, delle specie selvatiche, che stanno in quei luoghi non per magia ma perché ben gestiti, appunto, tutto l’anno.
Gli ungulati ovviamente ci sono sempre, i migratori acquatici solo in determinati periodi. Non sempre, ovviamente, possono essere avvistati né è opportuno disturbarli.
Diamo qualche nome alle cose di cui stiamo parlando. Nomi che consentono a tutti di immaginare occasioni di turismo ecologico, nella natura, alla scoperta o riscoperta di immagini, gusti, conoscenze, piaceri, situazioni, emozioni dimenticate o mai provate.
- Ambienti naturali o rinaturalizzati (nel senso di ripristinati o ricreati dall’uomo nel corso dei secoli) come zone umide (in Toscana: padule di Fucecchio, Bientina, Massaciuccoli, laguna di Orbetello) o i laghi di caccia (piana di Firenze, Prato) dove gli appostamenti di caccia sono luoghi di sosta e nidificazione di decine di specie che altrimenti in queste plaghe non si troverebbero più.
Appostamenti fissi alla selvaggina migratoria di collina o ai colombacci, con l’assetto vegetazionale coltivato, curato e mantenuto adatto ad ospitare ed alimentare avifauna di tante specie.
Aree di caccia di selezione, ricche di ungulati osservabili ed “ascoltabili” (il bramito del cervo nel periodo degli amori).
Le ricordate Zone di ripopolamento e Zone di rispetto, con specie di fauna cosiddetta nobile stanziale altrimenti difficile da vedere allo stato naturale per un non cacciatore, ad esempio: come lepri, starne, pernici, fagiani.
Tutti luoghi che possono ovviamente essere frequentati in compagnia e sotto la guida dei cacciatori. E che se vissuti da un visitatore profano nella giusta atmosfera, non possono altro che far capire la reale importanza della caccia per l'equilibrata presenza della fauna selvatica sul territorio.
Sena dimenticare anche tutte quelle attività strettamente connesse alla caccia, come le prove cinotecniche, le fiere degli uccelli, i “musei naturalistici e della civiltà contadina” come il Museo Venatorio Itinerante, che aprono uno spaccato per molti nuovo, poco arcadico e molto vissuto e faticoso, sulle campagne e sulle attività che da sempre le caratterizzano; le “imprese economiche” legate alla gestione faunistica, come gli agriturismi venatori che sono anche luoghi di gastronomia.
Il tutto arricchibile con iniziative tematiche mirate, secondo scelta ed interessi: degustazione, ma anche lezioni di cucina della selvaggina e sulle sue proprietà; riconoscimento delle impronte dei mammiferi o del canto degli uccelli; riconoscimento di erbe spontanee commestibili, perché non ci sono solo funghi e tartufi; e l’elenco è lunghissimo, fino all’allevamento, l’addestramento (e in tanti casi la reimmissione in natura) di falconi e rapaci.
Queste realtà già esistono, ne esistono i “curatori gestori” (singoli, a gruppi, di natura sociale o privata), sono a disposizione per visite, osservazioni, esperienze che vanno dal birdwatching all’ascolto del bramito, dalla visita guidata con il tradizionale barchino di padule all’appostamento per vedere il daino o il capriolo o quant’altro.
Ci sono esperienze, ad oggi di nicchia, che hanno disvelato e dimostrato il potenziale di questo mondo, fruibile da parte di una utenza non abituale. A Fucecchio con i barchini nei canali e nei chiari di caccia, a Prato sul bramito del cervo, in Garfagnana per scoprire la marmotta, nell’alto Mugello per osservare cervidi in libertà e scrutarne comportamenti e abitudini in natura, non allo zoo o nei semizoo. I laghi di caccia della piana di Firenze sono stati meta di scolaresche entusiaste.
Possiamo pensare che mettere a sistema tutto questo corrisponda anche ad un obbiettivo di interesse generale quale è quello di generare ricadute economiche che, visto lo scenario in cui si collocherebbero, diverrebbero anche motivo di rivitalizzazione di realtà marginali, nelle quali però la gente vive ed ha le sue attività, fra cui quelle ricettive, di ristorazione, di prodotti tipici?
E che tutto ciò possa diventare uno scenario interessante anche per un particolare comparto del turismo, gestito come si deve, dalla elaborazione dell'offerta (i cowiddetti pacchetti), alla loro proposizione, diffusione, gestione?
Il mondo della caccia dispone della conoscenza, l’esperienza, i rapporti col territorio sia per individuare situazioni interessanti dal punto di vista naturalistico/faunistico (con la consulenza in tutto il percorso di docenti e ricercatori universitari che ne validano la rilevanza) sia per fare la propria parte di operatori; servono competenze diverse, professionali con specifico know how per verificare l’esistenza delle altre condizioni richieste, dei requisiti per poter parlare di proposte veicolabili ad un pubblico vasto e per far si che queste proposte soddisfino esigenze diverse ( esempio banale: ascolto il bramito, ma devo dormire, mangiare, magari sapere se nelle vicinanze c’è un museo, o un concerto, o una sagra, o un luogo storico, o che altro) fino a poter parlare di “offerta turistica” davvero tale ed organizzarla.
Lancio una proposta: perchè non realizzare un catalogo delle opportunità fruibili in Toscana per un visitatore che cerchi emozioni del tipo di quelle sopra sommariamente richiamate? Le basi ci sono tutte, in parte anche con informazioni organizzate e disponibilità verificate. Un catalogo con schede che, per ogni singola opportunità, ne descrivano le peculiarità, l’ubicazione, il periodo, le modalità, i servizi, le eventuali necessità o limitazioni per la fruizione, il contesto circostante, la possibile coincidenza con altre occasioni nelle prossimità, e via dicendo.
E' un'idea forte, utile a veicolare un'immagine propositiva della caccia e dei cacciatori, che ad esempio Federcaccia Toscana è pronta a mettere in pratica con tutti coloro che vorranno dedicarvisi, in primo luogo con gli operatori del settore. In poco tempo, con poche risorse di partenza, si può fare un ottimo lavoro.
Perchè non provare?
Massimo Cocchi