Nella globalizzazione imperante, anche i profeti di sventura si sono globalizzati. La planetarizzazione della notizia, oggi ulteriormente amplificata e parcellizzata dai social, fa assurgere a evento catastrofico anche un modesto acquazzone, se strombazzato attraverso mediatori di comunicazione adeguati. "Il medium è il messaggio", ci ricorda ormai da una cinquantina d'anni il mitico McLuhan. Principio di cui fanno largo uso, oggi, tutti coloro, campioni del neoassolutismo, che nella politica, nell'economia, nella società intendono consolidare le proprie posizioni.
Mi ripeto, lo so, ma io credo che molti dei guai che attanagliano la nostra caccia dipendono dall'utilizzo accanito di questo principio da parte di coloro che per interessi a volte turpi ci additano come colpevoli per distrarre l'attenzione dell'opinione pubblica da altri e gravissimi mali che minacciano la natura e l'ambiente. Credo anche che il fenomeno ambientalista sia il frutto, studiato a tavolino, di uno scellerato progetto messo in atto per una mondiale distorsione di massa della realtà. Consiglio, a chi volesse approfondire, l'interessantissimo saggio di Matt Ridley (Un ottimista razionale. Codice Edizioni), dove pur con i dovuti distinguo si cerca di dimostrare che le cose stanno in maniera diversa da come ce le rappresentano certi catastrofisti.
Dice bene Hellen Heath, nota blogger del New Mexico, quando di fronte al paventato declino della caccia (causato a suo parere dalle aggressioni all'ambiente) invita i cacciatori a "costituirsi in organizzazione (Hunters forever) per denunciare il riscaldamento globale, l'inquinamento, il degrado del suolo, l'espansione urbana, l'impoverimento della biodiversità", in modo da tutelare anche se stessi, diventando "eroi culturali".
Insomma, c'è da riappropriarsi di quel ruolo di tutori dell'ambiente che le tradizioni venatorie di tutto il mondo ci hanno storicamente assegnato. In gran parte già lo facciamo, impegnati più a farlo che a comunicarlo, e su questo, proprio su questo ci dovremo meglio applicare. Per far sapere che un vero presidio del territorio è messo in atto quotidianamente dai cacciatori, che sono elemento determinante nella difesa del patrimonio naturale, contribuendo alla prevenzione degli incendi, gestendo il bosco, recuperando i sentieri, togliendo dal degrado le aree palustri, costituendo zone adatte per la sosta e il ristoro dei selvatici, stanziali e migratori, fornendo (gratuitamente) decine di migliaia di volontari alla protezione civile, contribuendo con tasse e balzelli a foraggiare progetti ambientali e associazioni ambientaliste che - sciagurate, osteggiando stupidamente la caccia - hanno fatto e fanno di tutto per autocastrarsi. E si autocastreranno, perchè ormai anche la "casalinga di voghera" tanto cara ad Arbasino ha capito che questa gente (ambientalisti-animalisti, chi più chi meno) fa soprattutto il proprio interesse, visto che i problemi dell'ambiente sono sempre gli stessi, anzi per certi versi stanno peggiorando (vedi la peccaminosa perdita dei suoli e, quest'anno, il proliferare a dismisura degli incendi), mentre lor signori continuano a tirarla di fuori, ovvero a mancare il bersaglio.
D'altra parte, è più di mezzo secolo, dall'abiura di Pratesi in giù, che questi movimenti non fanno altro che rispecchiare un disfattismo radicaleggiante, fallimentare, che dal partito radicale ai verdi ai gruppuscoli della sinistra ex-extraparlamentare, ma non solo, a mano a mano è degenerato in espressioni che di politico hanno ben poco, visto che la politica si dovrebbe occupare del bene comune, mentre costoro al proprio bene personale pensano, soprattutto. Per non parlare di certa nuova "intellighenzia" che pretende di chiamare latte anche quella sbobba che la mucca non l'ha vista nemmeno in televisione. (Meno male che a Bruxelles ogni tanto si svegliano).
Dove manchiamo, si noi, tutti, ogni singolo cacciatore manca, è nel sollecitare i nostri dirigenti ad adoperarsi per ricostituire le fila, ringiovanire le schiere, prepararle, renderle più attuali rispetto al mondo che cambia. Sono ancora pochi i giovani, altrettanto poche le donne (oggi determinanti in tutti i settori della società) che abbracciano questa nostra passione. E di giovani abbiamo bisogno, per tramandare le nostre conoscenze, ma anche per usufruire delle loro menti brillanti, della loro visione di futuro, della loro capacità di utilizzare a pieno gli strumenti della modernità.
Anch'io, alla mia veneranda età, ho un'inseparabile smartphone, ma lo utilizzo si e no per il 20-30% delle sue multiformi, magiche possibilità. Abbiamo bisogno di donne, che sono o saranno le madri dei nostri figli e nipoti. Ai quali possono impartire fin da subito quell'educazione ai valori della caccia che li porteranno a confutare le illusorie visioni oggi sempre più animaliste di certi "educatori" infinocchiati dalle melense litanie che passano ormai anche attraverso campagne dal sapore sfacciatamente commerciale. E nonostante tutto, siamo ancora qui, saremo qui fra dieci, cento e mille anni, a festeggiare le nostre aperture, a trepidare in attesa di un frullo, di un volo, di un bramito, un grugnito, un abbaio, o di uno scagno. Di uno zirlo, come di un nostalgico francescomìo, del crè di una marzaiola, del psì di una pispola.
Andiamo a caccia! Andremo a caccia! Con gioia, con orgoglio, con coraggio! Nessuno ci potrà impedire di dare risposta a questo impulso che tocca le corde di tutti gli esseri viventi. Perchè noi siamo "Cacciatori per sempre".
Giuliano Incerpi