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Racconti

Il ricordo


martedì 14 aprile 2009
    

Da diversi anni, ormai, ho appeso il fucile al chiodo: l’ultima licenza di caccia risale al 28 Luglio 1999,cioè, otto anni addietro. Tanti motivi mi hanno indotto a smettere l’attività venatoria.

Il motivo principale è stato l’istituzione del Parco Nazionale dell’Aspromonte, che mi ha precluso la possibilità di frequentare quei posti di caccia, che avevano allietato la mia vita di segugista: amavo ed amo l’Aspromonte perché nelle sue vallate ho trascorso gli anni più belli della mia vita, e la chiusura di quei posti di caccia mi aveva oltremodo indispettito.

L’altro motivo è stato determinato dal diffondersi della caccia al cinghiale, che mi aveva trovato consensiente nei primi anni della ricomparsa del suide nelle nostre cacciate, ma, poi, mi ha disgustato l’immissione in questo tipo di caccia di una massa di cacciatori vocianti, schiamazzanti ed invadenti, di altra provenienza, che disconoscevano completamente i buoni comportamenti da praticare nella caccia con il segugio, tanto da ritenersi- per il numero presente in una squadra- i padroni della montagna.

Poi, altri due motivi importanti mi hanno indotto a smettere l’attività di segugista: il primo è stato il fatto che non riuscivo più ad affrontare determinate fatiche; il secondo, è stato la scomparsa di quasi tutti i miei compagni di caccia, che, essendo più anziani di me, mi hanno preceduto nel trapasso alle praterie celesti.
Scrivo queste poche righe per ricordare, appunto, l’ultimo compagno di caccia che recentemente è passato a vita migliore; Ugo.

Il ricordo di Ugo, sicuramente, accompagnerà anche tutti gli altri segugisti che l’hanno conosciuto: è stato un ottimo cacciatore, un Signore, ma, principalmente, un amico verso tutti coloro che hanno avuto il privilegio di avvalersi della sua bravura di segugista e di abile canettiere: i suoi segugi erano molto ordinati ed era un piacere cacciare con lui.
La mia lunga esperienza di vita m’induce a dire: sono poche le persone che associano alla innata distinzione, quella bontà che porta a ben ricordare una persona che, per varie ragioni, hai conosciuto, praticato e stimato; fra questo ristretto numero devo, per motivi vari, annoverare anche, Ugo.

Voglio, brevemente, ricordare un episodio di caccia che lo riguarda.
Era notorio, fra i segugisti che frequentavo, il fatto che spesso (anche se mio malgrado ) “spadellavo” la selvaggina che sparavo.
Questo fatto mi angustiava moltissimo.

Non riuscivo, come non riesco ancora, a spiegarmi il perché: attribuivo il difetto al fatto che mi emozionavo in modo esagerato alla vista della lepre che sopraggiungeva, ma, non era questo il motivo; forse, il motivo principale era dovuto al fatto che arrivavo affannato all’appuntamento con il selvatico, perché praticavo questo tipo di caccia in un modo particolare: mi spostavo in continuazione per coprire la postazione, in montagna, dove ritenevo fosse diretta la lepre, che aveva fatto cadere in fallo i segugi che l’inseguivano.

Comunque: non ero un ottimo tiratore, e questo fatto era risaputo.
Consapevole di questa mia deficienza preferivo che fossero gli altri ad occupare le postazioni migliori, prima dello scovo. Un giorno, dopo l’ultima lepre da me” spadellata”, dovevamo iniziare una battuta di caccia in compagnia di Ugo.

Sulla macchina, si parlava di questo fatto, ed io ,conoscendo la bravura di Ugo come tiratore, lo avevo pregato di occupare una determinata postazione, anche perché sapevo che, una volta scovata, la lepre avrebbe imboccato quel viottolo. Ugo, non aveva opposto nessuna obiezione.
Raggiunta la radura, dopo aver constatato la presenza della lepre e sciolto i segugi, dovevamo prendere i posti.

A quel punto, Ugo, mi disse: “Senti, ritengo meglio che sia tu ad occupare quella postazione;anzi,pratica la battuta come abitualmente sei solito condurla quando cacci da solo. Vai tranquillo, alle tue spalle ci sarò io”. “Ma non ritieni che “Vai tranquillo!”
In altre parole mi aveva voluto dire:” Avrei piacere che fossi tu a sparare la lepre “.

Avendo capito il senso del discorso, seguivo i segugi da vicino mentre si spostavano dalla pastura verso il covo.
Essendoci imbattuti in una lepre, maschio, piuttosto grosso,come s’intuiva dalle fatte,l’accostamento era difficoltoso.

Dal” pianoro dell’acqua fredda” i segugi, imboccata la vecchia mulattiera, avevano iniziato a scendere verso il “Piano del previte”.
Avendo intuito che il lepre era sceso giù per soddisfare anche i suoi bisogni sessuali, essendo ancora il periodo degli amori,mi ero posizionato all’imbocco di un sentiero che congiunge la macchia sottostante con la mulattiera,in una posizione sopraelevata che permette di vedere il viottolo per un lungo tratto. Lo scovo tardava ad avvenire.

Dalla postazione in cui mi trovavo, conoscendo bene i posti, potevo seguire- dalla voce che davano i segugi- le varie fasi dell’accostamento.
Ad un certo punto ho sentito la flessione caratteristica della voce della cagna di Ugo che precedeva lo scovo che si spostava verso la macchia che sfocia nel viottolo in cui mi trovavo io. Avevo capito, subito, che il predestinato a sparare la lepre,ero, proprio, io.


Ho imbracciato, quindi, la” doppietta” mirando una pietra bianca che si trovava nel viottolo, preoccupandomi della giusta equilibratura dell’impostazione dell’arma, quando ho visto che stava per sopraggiungere, prima dello scovo,la lepre.

Poi, ho sentito le voci dei segugi, in seguita. Ho lasciato avvicinare la lepre a tiro e ho sparato: una, due volte. La lepre è caduta: stecchita!

L’ho presa da terra per non farla maltrattare dai cani, e, mentre stentavo a metterla nella capiente tasca della “ cacciatora”,dopo averla ripulita del sangue,ho sentito, alle mie spalle, la voce di Ugo che mi diceva: Bravo!” Si vedeva chiaramente, dagli occhi di Ugo, la contentezza.

Sono cose che non si possono dimenticare! e, che denotano l’altruismo di un animo nobile. Ho voluto, in questo breve racconto, ricordare un amico segugista scomparso da poco.

Anche nel mondo della caccia sono poche le persone che lasciano dei buoni ricordi, e, pertanto, sono proprio queste poche persone che, senza enfasi e senza esagerazioni- giusto anche come era nel loro carattere- vanno ricordate, affinché sia il loro ricordo la giusta ricompensa per quelle peculiarità comportamentale che li hanno contraddistinti nell’arco della loro vita.

Filippo Galati

Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"

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