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Racconti

Libecciata


lunedì 22 giugno 2020
    

Adriano si svegliò circa dieci minuti prima che suonasse la sveglia.Il rumore della risacca, ritmico e violento,accompagnato dall’urlo delle raffiche del forte vento che faceva tremare le persiane della finestra della casa sul mare,gli dissero subito che era ponente, o, peggio, libeccio. Nel caldo delle coperte,a letto, gli vennero in mente i proverbi che conosceva sin da bambino: ”Ponente, caccia niente” e, a rinforzare l’idea: ”Labici, mai  benefici”. Si chiese se non fosse il caso di cercare di riaddormentarsi, concedendosi un giorno di pausa,durante quelle vacanze di Natale. Ma aveva trascorso gli ultimi tre mesi lontano da casa, per i suoi studi, pensando a quelle vacanze ed a quante volte sarebbe andato a caccia in quei quindici giorni! Reagì scostando di colpo le coperte ed alzandosi, dopo aver spento l’inutile sveglia.

Aprendo la porta della sua stanza, attraverso la finestra del cortile ancora completamente buio,vide che la luce in cucina era accesa; vi si diresse, trovandoci  suo padre,intento a preparare il caffè. ”Che fai ,in piedi a quest’ora?” -chiese il padre - “Non vorrai per caso andare a caccia? Non hai sentito che libecciata? Non troveresti niente!”. ”Mah-rispose-ci provo…”. Il padre gli porse il caffè, brontolando che anche se non avesse avuto da andare a lavorare, mai sarebbe andato a caccia con quel tempo: troppe fregature aveva preso in passato, con il libeccio, per riprovarci!


Adriano ritornò in camera sua,si vestì,prese il fucile e, fatto un fischio a Tom, l’anziano grifone di suo padre, che accorse saltellando felice,scese giù,si infilò gli stivali a coscia alta,aprì il portone per prendere la macchina.


Fuori il vento era ancora più impetuoso e il rumore della risacca ancora più forte di quanto si era immaginato.Nel cielo plumbeo che annunciava l’alba,si rincorrevano veloci  i nuvoloni.”Per fortuna non piove”pensò Adriano,mentre si dirigeva verso la vicina palude.


Una volta arrivato,parcheggiò vicino alla cabina elettrica,recente e,per fortuna  sinora  unico ,monumento al cemento che inesorabile avanzava;il cielo,cupo, si era colorato di varie sfumature di grigio, con le nuvole che incombevano, cambiando rapidamente mille forme. Le raffiche di  vento piegavano rumorosamente la distesa di canne e creavano giochi di ombre che saettavano sulla superficie dell’acqua, mentre il rumore della risacca,proveniente dalla vicina spiaggia, era assordante e scoraggiante, perché sottolineava la direzione del vento. Un solitario gabbiano, con le ali rigide, planava sull’acqua ,con velocissime accostate, spinto dal vento: scacciato dal mare in tempesta,era,anche lui, come Adriano, alla ricerca di qualche preda in palude.

Si  avviò,con Tom che,comunque felice,apriva la strada fra l’intrico di canne e falasco,solcato da canali e acquitrini.


Dopo un centinaio di metri Tom cominciò ad agitare la coda,naso a terra,in cerchi sempre più stretti. Finalmente si irrigidì in ferma. ”Sarà una sciabica” pensò pessimistico Adriano, avvicinandosi  al cane, che, appena si accorse che il padrone si era accostato, cominciò lentamente a gattonare e si fermò di nuovo.Improvvisamente,con un rumoroso battito d’ali ed emettendo il suo caratteristico verso, si levò un fagiano.Passato il primo istante di sorpresa, Adriano sparò ed il fagiano cadde pesantemente, in una nuvola di piume, dispersa subito dal vento. ”Scappato dalla vicina riserva” - pensò Adriano –“che fortuna!”, mentre Tom, visibilmente contento, tutto impettito, gli riportava la preda.


Con l’animo un po’ più sollevato, Adriano proseguì a battere la palude. Ma quella del fagiano sembrava proprio la classica eccezione che confermava la regola: non si vedeva volare nessun uccello, malgrado che ansiosamente Adriano tenesse lo sguardo rivolto in direzione del mare, nella speranza che qualche anatra,spinta dalla mareggiata, cercasse riparo in palude. Neanche Tom,che batteva sistematicamente il terreno davanti a lui,dava segni di aver annusato qualcosa. Di tanto in tanto, lontano,si udiva il lamentoso grido di una sciabica,che,considerato l’uniforme  grigio del paesaggio, non metteva  certo allegria.


Cane e padrone percorsero così un bel tratto di palude,avvicinandosi alle dune che la dividevano dalla spiaggia.


Le dune,anni prima, erano state oggetto di rimboschimento con degli alberi di pino,nella speranza -abbastanza vana, pensava Adriano - di trattenere la sabbia: ne era scaturita una fascia di pineta non molto lussureggiante, perché troppo esposta alla salsedine, lunga alcuni chilometri e larga una trentina di metri.In un punto,in particolare ( e proprio  lì era diretto Adriano) quattro grossi canali si intersecavano ad angolo retto con la pineta,divisi da essa da una fila di alberelli di kaki, reliquia di un antico tentativo di coltivare quel pezzo di palude.


Arrivati ai margini della pineta,Tom cominciò ad entrare in agitazione: teneva la testa alta, al vento, con movimenti della coda inequivocabili. Adriano si fece più attento,accostandosi al cane,che improvvisamente andò in ferma,con il muso verso la pineta. Con un frullo caratteristico, partì una beccaccia, che Adriano fece appena in tempo a vedere mentre si infilava fra gli alberi e ad arrischiarle dietro  una fucilata, al rumore della quale, sentì alle spalle, dal canale,uno sbattere d’ali. Si voltò rapidamente e vide un fischione che, con il lungo collo proteso verso l’alto, si alzava. Sparò subito, d’istinto ed il fischione cadde con un tonfo nell’acqua.
                                                     
Tom era sparito nella pineta e l’acqua era troppo alta per poter recuperare agevolmente il fischione; tutto era successo in pochissimi secondi, ma ad Adriano sembrava come se tutta la scena si fosse svolta al rallentatore. Si stava avvicinado al bordo del canale,pensando a qualche sistema per recuperare l’anatra che, spinta dalle raffiche di vento, tendeva ad allontanarsi, quando comparve Tom, con in bocca la beccacia. Adriano prese subito l’uccello che il cane gli porgeva,notando che aveva solo la punta di un’ala spezzata: lo guardava spaventato, con quei suoi occhi neri, tondi e umidi. Si affrettò, però, a cercare di mostrare a Tom il fischione, lanciando ,in direzione dell’uccello che galleggiava , delle zolle di terra. Subito il cane capì, vide la preda e si tuffò in acqua: nuotò rapidamente e, recuperato l’uccello, ritornò, porgendoglielo.


Adriano lo prese,tenendolo per il becco,per far sgocciolare l’acqua,mentre Tom si scrollava;poi,guardando Adriano, le labbra del cane si arricciarono come in un ringhio  e … gli fece un sorriso,in risposta ai complimenti ed alle carezze che il padrone gli stava facendo,mentre il moncone di coda si agitava freneticamente.


Adriano cacciava spesso solo,o,al massimo,in compagnia del suo amico Giuseppe,che quel giorno, visto il tempo, si era ben guardato dal venire! Ma in quel momento avrebbe desiderato condividere la sua gioia con qualcun altro. Si incamminò verso la pineta, sul limitare della quale sporgeva una pietra miliare del Demanio Marittimo: vi si sedette, con Tom accucciato ai piedi e, soddisfatto, accarezzando la testa del cane, si accese una sigaretta.


Poi proseguì il suo giro per la palude:il vento,piuttosto che diminuire,incalzava e l’unico essere vivente che si vedeva era il gabbiano, probabilmente sempre lo stesso,che si produceva nel suo volo acrobatico sulla corrucciata distesa d’acqua. Il cielo si era ancora più incupito, minacciando seriamente pioggia.Adriano,ormai appagato,si diresse verso il punto dove aveva parcheggiato l’auto. Quando arrivò,tirò fuori un vecchio  plaid e  cominciò a strofinare Tom, per asciugarlo,poi,scaricato il fucile,montò in macchina e si diresse verso il paese.


Aveva voglia di comunicare la sua soddisfazione a qualcuno e pensò che suo padre a quell’ora doveva aver già aperto la farmacia.Poi decise che lo avrebbe disturbato sul lavoro, e rinunciò ad andarci,tanto  gli avrebbe raccontato tutto più tardi,a pranzo.Cominciò invece a pensare a quello che avrebbe riferito nel pomeriggio,nel solito ritrovo dei cacciatori, il negozio del suo amico Tommasino.Si vedeva già intento a mimare le mosse del  cane,coinvolgendo gli amici nella sua storia: visto il tempo, il risultato era  innegabilmente degno di entusiastici  commenti…


Oggi quella palude non esiste più: al suo posto è sorto un villaggio sul mare, con spiagge, alberghi e discoteche ,ma, a distanza di cinquant’anni, Adriano, di tanto in tanto pensa a quel giorno di libeccio con nostalgia e…perché no, ancora con una punta di emozione.



Marcello Laviano

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