Mentre lo sciabordio delle onde seguitava implacabile sulla battigia, di colpo aprii gli occhi, mi guardai intorno, la spiaggia era ormai deserta ed il sole si spegneva pian piano nel mare tra il rosso del tramonto e l’oscurità della notte che inesorabile arrivava. Un occhiata veloce verso la boscosa montagna che cadeva a picco sul mare, un saluto all’acqua, alla sabbia, all’odore della salsedine ed alle dune profumate di ginepro, poi via di ritorno verso casa. Corsi su per la scaletta di legno che sormontava le dune, presi la vecchia bicicletta e pedalai attraversando il ponte sul lago sino alla casa di mia nonna che se ne stava immersa tra i lecci da quasi mezzo secolo.
Avevo preso appositamente un po’ di ferie per stare lontano dal lavoro e per rilassarmi nel luogo dove avevo passato tutte le mie estati da bambino, e dove il riposo era assicurato. Durante l’ultima settimana ero stato alla spiaggia ogni giorno. Avevo pensato alla mia vita tirandone le somme, avevo dormito come un barbone su quella sabbia che ormai conoscevo in maniera così perfetta dal distinguerne ogni granello di quarzo. Nella solitudine di quei giorni la nostalgia alle estati passate era inevitabile. Quello era un luogo incantato, ricco di natura, ancora e nonostante tutto, di natura e di un sano mistero legato al Monte Circeo, dove si dice approdò l’eroe greco Ulisse ormai 3300 anni fa.
In quella sera di novembre, tornando a casa dalla spiaggia, cominciò a ronzarmi nella testa un pensiero, che vorticoso mi riportava a ritroso nel tempo sino a quando ero solo un bambino. Le note nostalgiche del giradischi riuscivano ancora ad infondermi un senso di pace e l’odore di pane bruciato che proveniva dalla cucina mi regalava il ricordo impagabile di un nonno che non racconta favole ma storie ricche d’avventura, natura e di arcani accadimenti. Arrivò la notte e mi addormentai con quel pensiero che galleggiava nel mio cervello come una barca a vela che vento in poppa mi portava verso la meta, verso un luogo che racchiudeva segreti e misteri. Sognai. Quando gli uomini sognano possono vedere gli eventi passati, quelli futuri oppure possono attraversare la storia andando indietro nel tempo interagendo con l’avventura, con la poesia e con il desiderio di vivere il sogno. Quello che andava tramutandosi nel mio viaggio onirico era il ricordo di un racconto che mio nonno mi faceva da bambino ed oggi, a quasi trentaquattro anni, stavo per viverlo.
Camminavo lungo il litorale in direzione del Monte Circeo che pian piano diventava sempre più grande mentre io, sempre più piccolo, giungevo al suo cospetto. Al mio fianco il nonno mi guidava e con passo svelto in un momento giungemmo ai piedi del monte. Lì finiva la spiaggia e cominciava la scogliera, poco più in alto la fitta macchia. Il sole del mattino cominciava a scaldare ogni cosa e nella vampa di calore la mia attenzione venne colta da un sospettoso stupore. Di fronte a noi un gruppo di uomini anticamente vestiti uscivano dal bosco portando della legna asciutta per accendere il fuoco. Altri portavano otri ripiene d’acqua e si dissetavano, altri ancora costruivano capanne e rifugi di fortuna, probabilmente per ripararsi durante la notte. Improvvisamente ebbi paura e decisi di fermarmi, mio nonno invece continuò ancora per qualche passo poi si girò verso di me e mi invitò a seguirlo indicandomi la grande ed antica nave che era ancorata al largo. La lucidità di quel momento mi rese cosciente pur restando nel sogno, ormai troppe cose erano fuori posto: mio nonno era morto da almeno quindici anni e poi quella nave e quelle persone sembravano appartenere ad un’altra epoca. Sorpassati i momenti d’indugio avanzai verso mio nonno che non curandosi dell’operosità di quegli uomini mi invitò a seguirlo, dapprima arrampicandosi sulle rocce e poi fin dentro la macchia. Seguitavo tranquillo e come Dante alle porte dell’inferno mi lasciavo guidare dall’insolito Virgilio. Ci trovammo nel fitto del bosco. Dalla nostra posizione potevamo vedere una casa dalla quale usciva del fumo e poco distante un uomo con una lancia di bronzo in mano.
Ormai avevo capito, stavo passeggiando all’interno di un sogno, dentro un racconto che mio nonno mi narrava spesso. Sapevo che quell’uomo con la lancia era Ulisse, così come sapevo che la casa nel bosco era abitata dalla maga Circe. Ed io spettatore osservavo impaziente come quando da bambino ascoltavo la voce rassicurante di mio nonno in attesa della fine della storia. Oggi però potevo vedere con i miei occhi. Ulisse avanzò verso la casa poi ad un tratto esitò. Sapevo che non sarebbe entrato perché era da solo e perché doveva tornare al campo dai suoi uomini che lo aspettavano affamati. Infatti tornò sui suoi passi e si diresse verso il campo, noi lo seguimmo fino a quando la sua corsa rallentò. Poi fermo, immobile, si accovacciò a terra. Aguzzai la vista anch’io e vidi che dall’altra parte del fiume, che attraversava la selva, c’era un cervo che senza timore si avvicinava all’acqua per bere. Un bellissimo cervo maschio dal palco ben ramificato. Io feci un passo ed il cervo alzò lo sguardo verso di me. Ebbi appena il tempo di cercare con gli occhi l’uomo di Itaca. Lo guardai alzarsi in piedi, fece un passo in avanti caricando con il braccio destro la lancia dietro le spalle. Un istante e vidi la lancia sganciarsi dalla sua mano, ne seguii la parabola fino a quando la punta non si conficcò nella schiena dell’animale passandolo da parte a parte. Un bramito verso il cielo ed il cervo cadde a terra. Con un soffio leggero la vita della grande bestia volò via mentre un raggio di sole penetrò nella selva illuminando il Dio Hermes compiaciuto che aiuterà più di una volta Ulisse nel suo lungo viaggio verso Itaca. Il raggio di sole divenne un bagliore diffuso e raggiunse anche i miei occhi attraversando la persiana della stanza nella quale dormivo.
Davide Zanin
Concorrente al 18° Concorso Nazionale per Racconti di Caccia "Giugno del Cacciatore"