L'Italia non investe abbastanza per la tutela e la gestione delle sue risorse e per la ricerca ambientale. Negli ultimi 50 anni l'investimento generale dell'Italia per la ricerca e lo sviluppo non ha superato l'1 per cento del Pil, praticamente la metà (e in certi casi un quarto) di quanto viene investito mediamente negli altri paesi europei.
Ultimamente, con i tagli decisi nel 2008, la situazione è addirittura peggiorata. I ricercatori italiani (zoologi, biologi e geologi) dispongono di scarsissime risorse per effettuare ricerche necessarie in un paese come il nostro in cui le emergenze ambientali sono una calamità continua e non certo trascurabile. Quanto è successo con il terremoto d'Abruzzo per esempio in parte poteva essere evitato o per lo meno arginato se si fosse costruito rispettando principi antisismici.
Ma disboscamenti, inquinamento di aria e acqua, edilizia selvaggia, smaltimento senza regole dei rifiuti, sembrano essere la regola per l'Italia. Secondo il recente Rapporto Ispra i comuni soggetti al rischio di frane sono 5596, il 69 per cento, di cui 2839 sono a rischio elevato di crollo.
Per tutti questi motivi sull'Italia pesano una cinquantina di procedimenti avviati dalla Commissione europea per l'infrazione delle varie direttive comunitarie (smaltimento dei rifiuti, costruzioni abusive ecc.).
Altro aspetto da considerare è che i ricercatori nostrani percepiscono stipendi nemmeno paragonabili a quelli dei loro colleghi europei, un articolo di Stefano Rodi sul Corriere della Sera spiega che la maggior parte di loro prende all'incirca mille euro al mese e a volte sono costretti ad anticipare le spese per le proprie ricerche. Ovvio poi che i più bravi lavorino all'estero.