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19/07/2017 

Latte. Etichetta d'origine Il latte di soia è una truffa. O meglio una fuffa. Non esiste. Non è latte, semplicemente. E' spremuta di soia. E così anche tutti gli altri latti vegetali finora commercializzati. A ribadirlo è stata una recente sentenza della Corte di Giustizia europea, che altro non ha fatto che condannare un produttore tedesco che aveva utilizzato quella dicitura riferita alla bevanda alla soia, contravvenendo alla legge, che già vieta di utilizzare le denominazioni delle categorie di uno specifico elenco (allegato VII del regolamento UE 1308/2013) riferite ad alimenti.

Da ora, comunque, dev'essere chiaro una volta per tutte che spacciare per latte qualcosa che latte non è, è un illecito. La cosa vale anche per tutti i prodotti caseari e per il miele. Così come dovrebbe esserlo attribuire a impasti di semi e germogli nomi evocativi come mortadella, cotoletta e via discorrendo. Ma non lo è. Almeno non per gli alimenti non protetti dalla denominazione tipica, ma in questo ogni paese fa a sé. L'Italia tutela alcuni prodotti, come il salame e il prosciutto stagionato, e altri no.

Nella maggior parte dei casi basta aggiungere “vegano” ed il gioco è fatto. Così se il ricordo della mortadella ti perseguita, puoi sempre farti un panino con un surrogato dell'affettato, fatto di fagioli e spezie, almeno finché qualcuno non deciderà di vietarlo. Come hanno chiesto gli eurodeputati italiani De Castro e La Via in una interrogazione presentata alla Commissione Ue a novembre 2016, nella quale si chiede di “fare chiarezza a livello Ue sull'utilizzo commerciale di nomi come 'Veggie mortadella', 'Meatless meatballs' (polpette di carne senza carne), 'Vegetarian bacon' o 'Gran chorizo vegan', Bresaola e Fiorentina vegan”.
 
I prodotti in questione, dice l'interrogazione, "si avvantaggiano di denominazioni chiaramente riferibili a prodotti a base di carne". Il che vuol dire che le leve emotive che muovono verso l'acquisto accomunano i vegani più estremisti agli stessi “mangiatori di cadaveri” (così vengono definiti dai più rosiconi), attratti dallo stesso genere di prodotto, con la sola differenza che uno è vero e l'altro è un fake dal contenuto eticamente rassicurante.

Non è un caso che proprio ora si cerchi di dare un freno a questa deriva. L'industria food negli ultimi anni si è accorta dell'enorme potenziale di questo settore, che proprio ora conosce una crescita esponenziale. I vegani, grazie soprattutto ad una precisa scelta del mercato che ha visto in questo filone facili guadagni (pensate a quanto sia molto più redditizio vendere al prezzo della carne ciò che carne non è) sono di moda e di moda è inventarsi sempre più prodotti accattivanti, che in qualche modo possano far dimenticare a questi elitari consumatori di fagioli, di essersi privati, per scelta, di qualcosa di succulento e di indiscutibilmente buono.
 
Qualcosa che il nostro cervello fa fatica a dimenticare. E' ormai nel nostro dna dopo centinaia di migliaia di anni di collegamenti libidinosi che le papille gustative dei nostri antenati hanno registrato, adattandosi al percorso di una specie che ha smesso di vivere di raccolta di frutti eoni fa, per dedicarsi alla caccia e all'allevamento, e prosperare, finalmente. Il latte è con noi da un tempo immemore. E così le uova, la carne, il formaggio, il miele (già perché i vegani non mangiano nemmeno quello) e via così.

Il fatto che il successo di tali prodotti sia dovuto in larga parte proprio all'evocazione di altri, di origine animale, dimostra in realtà che c'è qualcosa di irrisolto nella scelta di queste persone. Che, probabilmente non sono in grado di rinunciare del tutto alle loro ataviche origini, a tal punto di dover simulare di mangiare ciò che si sono proibiti. Il che da un punto di vista psicologico li rassicura. In fondo sono convinti che se hanno accesso a della carne alternativa, non si sono persi nulla. Basta crederci. 
 
 
Cinzia Funcis

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4 commenti finora...

Re: L'invidia vegana e l'industria alimentare

E lo sono talmente, invidiosi, che vorrebbero che il consumo di carne e derivati fosse vietato a tutti.
Dar retta ai vegani significa buttare alle ortiche alcune centinaia di migliaia di anni di evoluzione umana ed iniziare un percorso a ritroso. Queste scelte di solito la Natura le punisce severamente, leggasi estinzione.

da MarioP  07/08/2017

Re: L'invidia vegana e l'industria alimentare

BRAVA LA CINZIA. QUANDO AFFRONTAUN ARGOMENTO LO FA CON UNA VISIONE D'INSIEME CHE DENOTA UNA PROFONDA CULTURA E UNA GRANDE SENSIBILITA'. COSA CHE DA' A QUESTO PORTALE CARATTERISTICHE UNICHE NEL NOVERO DI QUELLI DEDICATI ALLA CACCIA. NONS AREBBE MALE CHE NE TENESSERO CONTO TUTTI COLORO CHE PRETENDONO DI RAPPRESENTARE UNA FONTE DI CULTURA VENATORIA. TANTO PIÙ I SAPUTELLI, MARCHIGIANI O FRIULANI CHE SIANO, TANTO PER DIRE. LA CACCIA HA BISOGNO DI ELEVATE DOTI ETICHE, DI CONOSCENZE NON ESCLUSIVAMENTE SPECIFICHE, DI CAPACITA' DI COMUNICAZIONE CHE RIESCA A PORTARE IL VERBO, OLTRE CHE IN CASA PROPRIA, ANCHE NEI SANTUARI DELLE "CIVILTA" CONTEMPORANEE.

da UMBERTO  21/07/2017

Re: L'invidia vegana e l'industria alimentare

Cinzia fatti i fatti tuoi. Lasciali nelle loro ignoranza e con le loro leccornie e ti accorgerai che tra qualche anno ne avremo molti meno che andranno contro la caccia. Un abbraccio

da onnivoro  20/07/2017

Re: L'invidia vegana e l'industria alimentare

Sempre estremamente efficace, Cinzia! L'utilizzo di termini mediati da altre situazioni più accattivanti è ampiamente diffuso in questa umanità, che ha demandato totalmente a pochi manipolatori l'utilizzo delle propria connessioni neuronali. Potremmo fare lunghi e tediosi riferimenti. Il rischio, o la consapevolezza se volete, è che, in un futuro non tanto lontano, il loro barbecue col "muscolo di grano", alcuni lo andranno a mangiare, con i propri pargoli, in un rassicurante "parco eolico"!

da Sergio Ventura  20/07/2017
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