Educare il proprio ausiliare a riportarci in mano la selvaggina significa farne un soggetto avvezzo alle obbedienze. Ecco come, e perché.
E’ spesso snobbato dai cinofili più “in”, che magari ottengono il cartellino con ausiliari che non hanno mai abboccato selvaggina. Ma a chi con i cani da caccia ci va, appunto, a caccia per davvero, il riporto interessa eccome, dato che dalla sua corretta esecuzione può dipendere l’esito di un’intera uscita. Vale sia sotto il profilo tecnico sia sotto l’aspetto etico e morale: un selvatico ferito deve essere oggetto di ogni sforzo, da parte di cane e cacciatore, per il suo rapido recupero e incarnieramento; allo stesso tempo, merita di subire le minori sofferenze possibili. Tutte queste considerazioni si traducono in un unico concetto: recupero – se necessario – e riporto devono essere solleciti, funzionali e senza indugi.
Ecco, è proprio questo il punto. Perché moltissimi cani, di riportare, proprio non ne vogliono sapere. Molti, per la verità, manifestano sin da cuccioli una spontanea attitudine all’abbocco e al riporto di oggetti, palline, bastoni o stracci. Si tratta di atteggiamenti per lo più giocosi, nei quali ancora non c’è manifesta alcuna attitudine alla predazione. Tuttavia, quasi sempre, questi soggetti che inizialmente riportano “per gioco” cambiano del tutto il proprio comportamento non appena condotti sui terreni di caccia, mostrando disinteresse o – nei casi più sfortunati – repulsione nei confronti della selvaggina abbattuta, peggio ancora se ferita.
E allora sia chiaro questo punto: mentre il recupero è un atto di puro istinto - vale a dire ciò che spinge l’ausiliare a cercare, reperire l’usta del selvatico ferito, seguirla e infine abboccare la preda mentre ancora cerca di sottrarsi -, il riporto, quando è sollecito e soddisfatto, è la dimostrazione massima di sottomissione da parte del cane nei confronti del suo conduttore. Questo primo concetto basti a far comprendere come, nel 90% dei casi, anche un ottimo recuperatore possa bastare per andare a caccia, a patto che si disponga di buone gambe e ci si sappia accontentare; ma è soltanto con un cane capace di riportare a puntino che si potranno battere boschi e montagne sicuri del fatto proprio, senza la paura di perdere la coturnice nel dirupo oppure la beccaccia nel roveto, per non parlare del fagiano nel torrente o della quaglia nel ginepro o ginestreto. E direi che no, non è proprio la stessa cosa.
Anche perché, a voler approfondire l’argomento “riporto”, un cane che riporta in mano correttamente e con rapidità è un cane che si presterà molto più volentieri ad assecondare i nostri desideri venatici, andando ad esplorare meglio questo o quell’angolo da noi desiderato, oppure restando collegato anche se dotato di auspicabile intraprendenza e cerca molto ampia. E’ una questione di attitudine al lavoro, di sottomissione e volontà di collaborare. In altre parole: il cane che riporta ha riconosciuto il proprio capobranco e, per questa ragione, sarà molto più facile, piacevole e redditizio cacciare in sua compagnia.
Deviazioni tipiche del riporto sono il dente duro, il vizio di nascondere la preda, masticarla rovinandola o ingoiarla – nei casi di animali piccoli, come ad esempio la quaglia –, il non consegnarla subito al padrone, lo strusciarvisi sopra ripetutamente senza raccoglierla e altri difetti sgraditi, in varia misura, al cacciatore.
Al di là dei problemi legati all’equilibrio mentale dei singoli soggetti, sui quali è inutile soffermarsi dato che ne precludono, molto spesso, l’utilizzo a caccia e certamente la riproduzione, la maggior parte dei vizi legati al riporto denuncia una mancanza di educazione da cortile e sottomissione alla volontà del padrone-conduttore-capobranco. I moderni dresseur utilizzano a volte metodi tecnologici sofisticati per interagire con il cane, fissando nella sua psiche alcuni divieti o comandi. A proposito del riporto, tuttavia, ritengo da scartare ogni supporto tecnologico-elettronico, in quanto si corre il rischio di eliminare completamente l’abbocco del selvatico dall’indole del cane. Il che, per alcuni, potrebbe già essere un punto di equilibrio (cane che non abbocca non nasconde/mastica/ingoia la selvaggina); ma certamente non rappresenta l’obiettivo che si vuole raggiungere. Inoltre, è sempre preferibile e più efficace il metodo premiante a quello punitivo, sia per la dolcezza dell’intervento sia per la durata ed efficacia degli insegnamenti impartiti.
Come scriveva il saggio Felice Delfino nel suo “Addestramento del cane da ferma”: “Si può considerare che la sola educazione al riporto, condotta con saggia progressione di esercizi, raggiunge un grado di addestramento sufficiente per l’esercizio della caccia”. Chiaro il concetto, no? Persino un cane quasi privo di olfatto, o addirittura un animale diverso dal cane, qualora sia stato addestrato correttamente al riporto è in grado di seguire il suo padrone e fargli mettere nel carniere dei capi di selvaggina abbattuti. A maggior ragione ciò deve valere per i moderni soggetti da caccia, frutto di molti decenni di selezione e di numerose generazioni canine. Ma non solo. Il cane addestrato al riporto sarà un ausiliare estremamente sottomesso e premuroso nei confronti del suo proprietario, il che ne delineerà l’assoluta affidabilità sul terreno di caccia e anche in altre situazioni, come ad esempio l’ambiente domestico. Educare al corretto riporto il proprio ausiliare significa, in sintesi, insegnargli a comportarsi bene nella stragrande maggioranza delle situazioni, anche al di fuori dell’attività venatoria.
Il discorso si fa ancora più interessante a proposito di quei cani dal temperamento cocciuto, spavaldo o caparbio, caratteristiche spesso presenti nei soggetti dotati di grossi patrimoni genetici, inesauribili purosangue con una volontà ferrea e fondo smisurati, votati alla corsa e alla prestazione fisica per ore ed ore: in pratica, per quei soggetti che fanno sognare il cacciatore cinofilo, conducendolo per mano lungo il bordo sottile che separa l’Olimpo dalla follia. Ebbene, riuscire ad educare al riporto questi magnifici esemplari comporta, ancor prima dell’utilità derivante dall’atto pratico in sé, il farne delle vere e proprie macchine da guerra per l’esercizio venatorio, lavoratori instancabili e corretti che saranno nostri compagni e protagonisti di tante stagioni insieme.
Il metodo migliore per inculcare non il comando, ma il desiderio del riporto consiste in una serie progressiva di esercizi mirati a condurre il cane nelle condizioni di abboccare un determinato oggetto – straccio, pallina, bastone, stozza di pane – per poi prelevarglielo dalla bocca dopo pochi secondi, accompagnando il gesto con la parola “porta” e un immediato premio particolarmente gradito al nostro amico, ovviamente una piccola leccornia. Dopo le iniziali resistenze, nel giro di qualche giorno o settimana, a seconda della frequenza con la quale si ripete l’esercizio – io consiglio, se possibile, non meno di due volte al giorno per una decina di minuti per sessione –, sarà lo stesso ausiliare ad aprire la bocca per agevolare l’ingresso dell’oggetto da noi prescelto, onde poi ricevere prima possibile il premio. A quel punto gran parte del lavoro sarà già stata portata a termine. Nota di assoluta importanza: durante tutte le operazioni l’addestratore deve mantenere un atteggiamento positivo e mai di rimprovero, senza lasciarsi scoraggiare dalle iniziali rimostranze dell’ausiliare, che potrebbe sputare immediatamente l’oggetto, voltarsi di lato per impedire al padrone di aprirgli la bocca, oppure adottare la resistenza passiva sdraiandosi a terra sulla schiena. Calma, calma e ancora calma: tante coccole, amore, le giuste pause ma anche risolutezza. I primi esercizi andranno ovviamente condotti in ambienti circoscritti, in maniera tale che l’allievo non possa fuggire dalla lezione.
Una volta ottenuta la collaborazione “al chiuso”, si conduca l’ausiliare in campagna e si lasci cadere, oppure si lanci a pochi passi da lui, l’oggetto da riportare. Dopo le iniziali titubanze e i primi tentativi che forse andranno a vuoto, il cane raccoglierà e riporterà l’oggetto, associandolo all’imminente premio che, immancabilmente, deve arrivare. Ormai il gioco è quasi completato. Si proceda allora con il nascondere o lanciare gli oggetti sempre più lontano dall’ausiliare, meglio ancora se al di là di fossi od ostacoli che ne rendano più complicato il recupero… In breve avremo in mano un eccellente recuperatore, che si diverte mentre lavora e riporta felice l’oggetto del proprio lavoro. Cosa state aspettando per andare a caccia?! Prossimamente il recupero e riporto dall’acqua.
Daniele Ubaldi