“Non appena raggiunta la maturità, Odisseo si recò a far visita ad Autolico ma, mentre cacciava in compagnia degli zii, fu ferito da un cinghiale alla coscia e gli restò una cicatrice che diede modo, alquanti anni dopo, alla nutrice Euriclea di riconoscerlo quando rimise piede nel suo palazzo a Itaca in sembianza di mendico”.
E così, prendendo spunto dalla scoperta della nutrice, Omero racconta questa epica cacciata, descrivendo un Ulisse giovane, ardimentoso, grande cacciatore.
Vale la pena di rileggere tutto il brano, nella traduzione del Pindemonte.
“Caduto e apparsa della notte l'ombra,
La dolcezza provâr, cui reca il sonno.
Ma come figlia del mattin l'Aurora
Si mostrò in ciel ditirosata e bella,
I figliuoli d'Autolico ed Ulisse
Con molti cani a una gran caccia usciro.
La vestita di boschi alta montagna
Salgono, e in breve tra i ventosi gioghi
Veggonsi di Parnaso. Il sol recente,
Dalle placide sorto acque profonde
Dell'Oceán, su i rugiadosi campi
Saettava i suoi raggi, e i cacciatori
Scendeano in una valle: innanzi i cani
Ivan, fiutando le salvatic'orme,
E co' figli d'Autolico, pallando
Una lancia, che lunga ombra gittava,
Tra i cani e i cacciatori andava Ulisse.
Smisurato cinghiale in così folta
Macchia giacea, ché di venti acquosi
Forza, né raggio mai d'acuto sole
La percoteva, né le piogge affatto
V'entravano: coprìa di secche foglie
Gran dovizia la terra. Il cinghial fiero,
Che al calpestìo, che gli sonava intorno,
Appressare ognor più sentìa la caccia,
Sbucò del suo ricetto, e orribilmente
Rizzando i peli della sua cervice,
E con pregni di foco occhi guatando,
Stette di contra. Ulisse il primo, l'asta
Tenendo soprammano, impeto fece
In lui, ch'ei d'impiagare ardea di voglia:
Ma la fera prevennelo, ed il colse
Sovra il ginocchio con un colpo obliquo
Della gran sanna e ne rapì assai carne;
Né però della coscia all'osso aggiunse.
Ferilla Ulisse allor nell'omer destro,
Dove il colpo assestò: scese profonda
L'aguzza punta della fulgid'asta;
E il mostro su la polvere cadé,
Mettendo un grido e ne volò via l'alma.
Ma d'Autolico i figli a Ulisse tutti
Travagliavansi intorno: acconciamente
Fasciâr la piaga, e con possente incanto
Il sangue ne arrestâro, e dell'amato
Padre all'albergo il trasportaro in fretta.
Sanato appieno e di bei doni carco,
Contenti alla cara Itaca contento
Lo rimandaro. Il padre suo Laerte
E la madre Anticlèa gioìan pur troppo
Del suo ritorno; e il richiedean di tutto,
E più della ferita; ed ei narrava,
Come, invitato a una silvestre guerra
Da' figliuoli dell'avo, il bianco dente
Piagollo d'un cinghial sovra il Parnaso.
Tal cicatrice l'amorosa vecchia
Conobbe, brancicandola, ed il piede
Lasciò andar giù: la gamba nella conca
Cadde, ne rimbombò il concavo rame,
E piegò tutto da una banda; e in terra
L'acqua si sparse” (Odissea. Libro XIX).