Può capitare che in una famiglia di cacciatori, oltre al padre, anche i figli maschi condividano la stessa passione, ma che a seguirlo nel bosco ci vadano anche la figlia e la moglie, su ammettiamolo…non è molto frequente! Conosco invece una famiglia composta da papà Roberto, dai figli Alessandro e Denise e da mamma Ornella la quale, tra tutti, è anche la più appassionata e decisamente la più … agguerrita! Guai a non metterla in una posta buona e che Roberto e Alessandro non si facciano in quattro per mandargli sempre “almeno” un cinghiale. Perché Ornella è una buona e cara mammina, ma quando imbraccia la sua Browning BAR calibro 30.06 dotata di ottica da battuta si trasforma nella tigre dei monti Cimini.
La famiglia Wild Boar Fever, come l’ho soprannominata io, vive, lavora e soprattutto caccia nell’ Alta Tuscia Viterbese, ma non disdegna di recarsi anche fuori regione, in Umbria e Toscana, quando hanno l’occasione di essere invitati a partecipare ad una bella battuta. Ho avuto il piacere di conoscere Roberto & Family a Pieve a Salti in provincia di Siena, ad un tiro di schioppo da Montalcino, dove Maurizio e Massimo – quest’ultimo detto il Siluro per l’abilità e la forza che ha di solcare ogni tipo di macchia e rovaio - organizzano sempre delle splendide mini battute, poco più che delle girate, tra i calanchi senesi, per pochi ma selezionatissimi amici. Se c’è una cosa che non dovrebbe mai mancare in una battuta è l’armonia tra tutti i partecipanti ed il gruppo che frequenta Pieve a Salti è molto omogeneo, ben affiatato e soprattutto stracollaudato. Quindi, ogni volta che si parte per una nuova avventura lo facciamo sempre con tanto entusiasmo ed allegria, specialmente poi se alla battuta c’è anche una piccola componente … rosa.
Quel giorno lo ricordo bene, perché la cacciata fu davvero molto particolare. Ma cominciamo dall’inizio, da quando Massimo e Maurizio ci presentarono la Wild Boar Family al completo, tutti belli e pronti con i loro giubbini ad alta visibilità personalizzati by Lauretta. Roberto, oltre ad essere un bravissimo canaio, è anche un appassionato allevatore e selezionatore di segugi maremmani, e di conseguenza non manca mai di ricordarcelo, tappezzando l’abbigliamento del suo Team e il suo fuoristrada con patch e adesivi raffiguranti i bravi ausiliari. Non oso immaginare come possa essere arredata la sua casa! Nel locale dove di solito ci raduniamo ardeva un bellissimo fuoco e qualcuno, sicuramente a corto di energie oppure in preda ad una golosità impellente, aveva messo a cuocere sulla brace salcicce e pancetta. Il profumino che aleggiava nell’aria ti faceva venir voglia di pranzare nonostante fossero appena le nove del mattino.
Ci registrammo sul libro delle presenze, poi prendemmo armi e bagagli ed aspettammo pazienti dove Maurizio, che funge da Capocaccia, avrebbe voluto mandarci. Si decise di fare la macchia del Casaletto, chiamata così perché nelle vicinanze c’è un vecchio casale diroccato. Credo che in tutto, tra canai e postaioli, non arrivavamo neanche ad essere una decina di persone, per battere non so quanti ettari di bosco, canaloni, cannucceti ed incolti. Ma la Tenuta Podere Caprili di Pieve a Salti possiede una caratteristica che la contraddistingue da molte altre, è composta da isole di macchia circondate da immensi campi aperti, da tanti piccoli appezzamenti incolti, oppure lavorati con delle culture lasciate a perdere proprio per sfamare gli ungulati, che permettono ai cacciatori appostati di godersi tutta la battuta a 360°. Ovunque guardassi, vedevo giubbini arancioni, forse l’accessorio più prezioso del moderno cinghialaio, visibilissimi a grandissima distanza e in ogni dove. Le poste erano ben messe sui poggi e i braccaioli ben schierati a fondovalle.
Ad essere sinceri l’unico difetto che posso dare a quelle bellissime cacciate è l’uso, pressoché obbligatorio, dell’ormai onnipresente radiolina! Perdonatemi, ma proprio non la sopporto, mi disturba talmente tanto che potrei definirla quasi sacrilega! Perché quando partecipo ad una battuta di caccia mi piace viverla il più possibile a contatto con la natura, per godermi tutti i rumori o assaporare i silenzi; il gracchiare dei Vox nell’auricolare o i berci dei miei compagni di caccia, mi piacciono poco. Comunque è davvero un piccolo prezzo da pagare in un contesto invece perfetto sotto tutti gli altri punti di vista. Indipendentemente da dove si caccia, se nel Lazio, in Umbria o in Toscana, in libera o in riserva, io e il mio amico fraterno Alvaro siamo sempre vicini di posta. Vicini vicini come dicono a Striscia la notizia, in modo da controllarci e confortarci a vicenda! Sempre se per vicini possiamo intendere uno a cento metri dall’altro! Purtroppo quando si è in pochi è così, infatti a Pieve a Salti è molto raro tirare entro i cinquanta – quaranta metri. Raggiunta la mia posta eseguii le stesse operazioni che ripeto da quasi cinquant’anni. Sistemai il seggiolino a treppiedi, controllai che la pila della mia ottica fosse carica, cercai di individuare gli ipotetici passi per avere una certa idea da dove sarebbero potuti arrivare i cinghiali, camerai una 30.06 ricaricata con delle micidiali palle Nosler Ballistic Tip da 165 grani nella canna della mia fida Browning BAR Long Trac Composite ed infine controllai per l’ennesima volta dov’erano di preciso i miei due vicini di posta. Per radio annunciarono l’inizio della battuta con un semplice: “Occhio che sciogliamo!”. Le poste come la mia sono praticamente quanto si possa immaginare in una zona dove tutti i cacciatori sono schierati lungo dei campi molto aperti, specialmente oggi che i cinghiali non sono più quelli di una volta, che durante le loro fughe prendono tranquillamente i prati come se nulla fosse. Ero un po’ infreddolito dall’umidità che impregnava l’aria perché, nonostante il tempo fosse buono, i giorni precedenti aveva letteralmente diluviato, trasformando il terreno in un acquitrino da beccaccini. Sospettai che anche Alvaro avesse i miei stessi problemi, perché non stava un attimo fermo, e come lui anche i gli altri nostri compagni di caccia appostati lungo i crinali.
Quel tipo di battute sono relativamente facili da svolgere, perché gli animali, novanta volte su cento, indipendentemente che il vento sia favorevole o meno, una volta scovati e messi in movimento tendono ad allontanarsi subito dal disturbo provocato dai cani e dai battitori. Possono percorrere un tragitto più o meno lineare per farlo, ma la loro meta è sempre la stessa e quindi prevedibile! Comunque, strano ma vero, vista la ricchezza di selvaggina della zona, i nostri ausiliari tardavano a trovare la traccia giusta, col tempo che passava inesorabilmente senza che noi udissimo né abbai né latrati. Come già detto non mi piacciono le radioline e quindi sono propenso a usare la mia il minimo possibile. Ascolto tutto, ma non parlo quasi mai. Nell’auricolare udivo Massimo, Maurizio, Roberto e gli altri scervellarsi perché non riuscivano a capire dove potessero essere andati i cinghiali e che era quasi impossibile che non riuscissero a trovarli. Eppure le tracce non mentono, anzi con un terreno così bagnato parlavano davvero molto chiaramente. Ma dove cavolo potevano essersi rifugiati? La bracca era quasi arrivata a fine cacciata, a meno di cento metri dalla linea delle poste quando Massimo, alias Siluro, decise di fare una cosa che pochissimi bravi canai fanno: ritornare indietro e “rifare” la cacciata, ripartendo dall’inizio.
E’ una procedura molta anomala perché sarebbe come ammettere che durante la prima fase della cerca bracchieri e cani non hanno fatto bene il loro lavoro, ma non è certo un fatto deplorevole perché nessuno è infallibile, nonostante l’esperienza e la bravura. Poi, ripeto, il terreno somigliava ad una palude, era mollo dappertutto. Massimo, come se si sentisse responsabile dell’insuccesso della cacciata, con tenacia e caparbietà rifece la stessa strada a ritroso, collegandosi maggiormente ai suoi cani e incitandoli un tantino più del dovuto finché ad un tratto udì Kira la capomuta, abbaiare sommessamente. La sentiva male, come se il suono fosse ovattato, attutito. Per radio Massimo ci comunicò che anche prima gli era sembrato di udire un abbaio simile, ma che non gli aveva dato peso perché innaturale. Fu così che Massimo, seguendo gli esili abbai e le precise indicazioni del suo Garmin, giunse in prossimità di una profonda grotta! Una grotta che nessuno aveva mai visto e che ne conosceva l’esistenza. Sempre tramite Radio Macchia Massimo ci aggiornò che sentiva il cane che abbaiava all’interno della grotta e che nell’aria aleggiava un puzzo di cinghiale tremendo.
Ad un tratto udimmo un urlo e subito dopo una rapida scarica di colpi: “Attentiiiiiii! La grotta è piena di cinghiali!” Massimo fu quasi letteralmente travolto dal branco in fuga, ma nonostante fosse preso alla sprovvista riuscì ad abbatterne uno quasi sparandogli con una mano mentre cadeva. Fortunatamente tutti gli altri presero la direzione delle poste. “Attenta Ornella che arrivano”. Quello è senz’altro l’avvertimento più bello che un appassionato di caccia al cinghiale in battuta possa mai sentir annunciare. Feci appena in tempo a guardare verso la mia sinistra che vidi un grosso branco di cinghiali uscire veloce dal bosco e correre in diagonale verso Ornella e Denise. Madre e figlia aprirono subito il fuoco. Una scarica di fucileria degna di poter essere utilizzata in qualche film sullo sbarco in Normandia! Alle due donne erano andati contro nove – dieci cinghiali, difficile poterli contare con precisione ed io ne avevo visti cadere due. Non male pensai, ma sarebbe potuto andare anche meglio. I cani sopraggiunsero immediatamente, ma invece di fermarsi ad azzannare i cinghiali abbattuti continuarono ad inseguire quelli illesi che avevano attraversato la linea delle poste. Ma dopo aver percorso poche decine di metri si fermarono a abbaiare a fermo, segno inequivocabile che uno o più cinghiali dovevano essersi fermati perchè feriti.
Neanche a farlo apposta sopraggiunse Alessandro, che in men che non si dica fece un ottimo lavoro, raggiungendo e finendo un bel verro che s’era rintanato in un rovaio quasi impenetrabile. Quando per radio ci comunicarono di riporre nei foderi le armi scariche, che la battuta era finita, corremmo dove erano di posta le nostre compagne di caccia per farci raccontare meglio l’episodio appena vissuto e le loro emozioni. Con grande piacere trovammo in terra tre grossi cinghiali morti, che, insieme a quello finito da Alessandro, portavano il tableau finale a quattro capi. Nonostante i racconti un pochino discordanti sull’assegnazione dei “tiri”, alla fine fu raggiunto un accordo che tre erano stati abbattuti da Ornella e uno da sua figlia Denise! Come si dice in questi casi? Contente loro…. contenti tutti. La battuta finì così, anche perché era pomeriggio inoltrato e c’era da recuperare i capi abbattuti. La giornata fu meravigliosa, di sicuro una tra le più belle dell’intera stagione venatoria. Per la bellezza mozzafiato del territorio, per la bravura degli ausiliari, ma soprattutto per il calore e la simpatia dei componenti della squadra e della calorosa compagnia dell’intera Famiglia Wild Boar Fever, alla quale vanno tutti i nostri più sinceri complimenti per la loro bravura e simpatia! Bravissimi, continuate così che state dando un buon esempio a tutti su come può essere vissuta e condivisa in famiglia la più bella, sana e genuina passione del mondo.
Marco Benecchi