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Riforma della caccia: come la pensano gli agricoltori


lunedì 1 febbraio 2010
    

Associazioni agricolePer gentile concessione del periodico dell'Enalcaccia Caccia e Natura, che ringraziamo,  pubblichiamo le dichiarazioni rilasciate dai leader delle tre organizzazioni agricole riguardo alla ipotesi di riforma della 157, attualmente in discussione in Commissione ambiente al Senato.

 
Federico Vecchioni (Confagricoltura)
 
La proposta Orsi: un’occasione per cambiare guardando all’Europa
 
Dopo 18 anni la 157 mostra tutti i suoi limiti. I grandi cambiamenti verificatisi impongono una revisione delle regole, un’evoluzione della normativa. Due i punti chiave: i crescenti danneggiamenti alle coltivazioni da parte dei selvatici e un nuovo modello di relazione tra sistema agricolo e attività venatoria.

 L’evoluzione dei sistemi produttivi, i crescenti impegni ambientali e i nuovi modelli di consumo hanno disegnato, in breve tempo, un comparto agroalimentare profondamente diverso dal passato.
Un cambiamento indotto soprattutto dalle innovazioni di processo e di prodotto, ma anche da una globalizzazione inarginabile che in poco tempo ha esasperato le condizioni di competitività in cui operano le imprese.
Lo stesso uso del territorio, condizionato dai nuovi bisogni di superficie per infrastrutture, per attività produttive non agricole, per insediamenti abitativi e per attività ricreative, ha subito profonde modificazioni; negli ultimi 25 anni sono stati sottratti all’uso agricolo circa 4 milioni di ettari, spesso quelli di migliore qualità.
In un contesto di radicali trasformazioni, solo il quadro normativo che regola il rapporto tra agricoltura e attività venatoria è rimasto sino ad ora immutato.
A quasi 18 anni dalla sua approvazione, la legge 157/92 mostra tutti i suoi limiti. Rileggendola, oggi, è evidente che le novità legislative introdotte non reggono all’impatto con il tempo e con la nuova realtà.
Lo scenario è profondamente diverso. Le radicali modificazioni del quadro faunistico intervenute in questi 18 anni, ma anche delle aggregazioni venatorie, ed il nuovo contesto in cui opera il sistema agricolo italiano impongono una revisione delle regole.
In un mondo che cambia vorticosamente, e tenendo ben presente cosa avviene nel resto dell’Europa a 27, è opportuno che anche il mondo venatorio, fruitore di risorse esauribili, sia convinto della necessità di una evoluzione della normativa. Sul tappeto, oltre alle compatibilità ambientali e faunistiche, ci sono due temi importanti: i crescenti danneggiamenti alle coltivazioni ed un nuovo modello di relazione tra sistema agricolo e attività venatoria.
Il proliferare dei danni alle produzioni da parte dei selvatici, ed in alcuni casi alle strutture produttive, va affrontato in tempi brevissimi. Un problema ampiamente riconosciuto nella sua gravità ed estensione territoriale, tanto da essere oggetto di numerose audizioni parlamentari, la cui soluzione rappresenta un elemento pregiudiziale.
Le conclusioni pressoché unanimi a cui si è giunti non hanno ancora prodotto la naturale evoluzione normativa. Segnale non positivo, che denota, quanto meno, qualche titubanza nel voler affrontare e risolvere il problema.
I danneggiamenti si moltiplicano e la presenza di ungulati sul territorio (cervidi e cinghiali) cresce per numero, tipologia ed areali, interessando zone che non hanno mai ospitato queste specie, aree ad alta intensità produttiva e territori dedicati a produzioni di alta qualità.
Le attività di controllo dei selvatici non producono gli effetti desiderati né negli ambiti territoriali di caccia, né nelle aree protette, che dovrebbero per altro riservare particolare attenzione agli equilibri faunistici.
La soluzione del problema passa necessariamente dalla determinazione della portanza dei singoli territori e dalla conseguente riduzione delle presenze di selvatici, ma anche dal controllo costante sulla evoluzione delle popolazioni. Attività ormai ampiamente regolate da protocolli tecnici scientificamente testati che solo la volontà dell’uomo può rendere non efficaci.
In ordine al nuovo modello di gestione il settore agricolo ha il diritto/dovere di proporre una revisione del quadro legislativo che introduca elementi che consentano lo sviluppo di sinergie e di economie connesse alle attività faunistiche, venatorie e cinotecniche, ovviamente salvaguardando tradizioni e rapporti territoriali.
In pratica, niente di più di quanto già avviene nel resto d’Europa, con soddisfazione reciproca e con minori difficoltà sul piano faunistico, anche nei Paesi con una forte e diffusa cultura venatoria. Un equilibrio di relazioni, l’Europa è disseminata di modelli mutuabili, che potrebbe rigenerare anche i rapporti organizzativi, oggi condizionati da un quadro denso di pregiudiziali e sospetti. Un equilibrio che potrebbe aprire nuovi spazi di collaborazione ed allo stesso tempo giovare al contenimento del flusso di cacciatori e cinofili verso altri Paesi europei, offrendo loro spazi e territori idonei. L’occasione per affrontare questi due temi, ma anche gli altri, ci è data dalla proposta di legge unificata di cui è relatore il Sen. Orsi.
Con la necessaria accortezza, ma con obiettivi chiari, distillando e mutuando esperienze normative consolidate potremmo cogliere la possibilità di introdurre gli elementi normativi utili per realizzare un maggiore equilibrio delle presenze di specie selvatiche sul territorio, ivi comprese le aree protette, un migliore utilizzo del patrimonio faunistico ed un modello di gestione che valorizzi le connessioni tra attività agricola e attività faunistica, venatoria e cinotecnica.

 
Sergio Marini (Coldiretti)
 
Innanzitutto arginare i danni provocati dagli ungulati
 
Le imprese agricole sono esasperate dalla mancanza di strumenti adeguati. È necessario puntare sulla prevenzione, individuando la densità ottimale delle singole specie, partendo da quelle che arrecano maggiori danni. Nella nuova normativa occorrerà perciò dare maggior rilievo al concetto di gestione delle risorse faunistiche.

La riforma della legge 157/92 offre l’occasione per rilanciare un confronto su caccia, agricoltura e tutela dell’ ambiente, tre attività che possono tra loro interagire positivamente per la gestione del territorio, a condizione che siano migliorati i contenuti di una legge che necessita di essere adeguata ai recenti orientamenti della Politica Agricola Comunitaria. Occorre, infatti, rinnovare alcuni principi della pianificazione faunistico-venatoria del territorio e della programmazione dell’ attività venatoria, tenendo conto dei nuovi strumenti di tutela dell’ambiente previsti dall’Ue, inserendo, ad esempio, le aree della Rete Natura 2000 e valorizzando la multifunzionalità dell’impresa agricola.
Una riforma della legge in materia, deve partire, in ogni caso, dall’esigenza, di rafforzare alcune misure miranti a contenere i danni da fauna selvatica: una vera e propria emergenza soprattutto per quanto concerne gli ungulati e, in particolare, la specie dei cinghiali.
Nell’ambito della pianificazione si tratta, ancora, di assegnare uno speciale rilievo al concetto di gestione delle risorse faunistiche; mentre il prelievo venatorio deve diventare una modalità di fruizione di tali risorse compatibile con le finalità di salvaguardia della fauna selvatica e di tutela degli habitat, naturali o artificiali.
Inoltre, l’articolazione degli ambiti territoriali di caccia deve riflettere gli obiettivi conservativi e di fruizione: ne deriva che dimensionamento e organizzazione ottimali di tali ambiti sono condizioni di una sana autogestione alla quale concorrono le rappresentanze dei cacciatori, agricoltori, ambientalisti ed enti locali.
Al fine di valorizzare appieno il ruolo dell’impresa agricola, poi, occorre, prevedere che nell’ambito della pianificazione faunistico-venatoria regionale si determinino i criteri per gli incentivi in favore degli imprenditori agricoli professionali, singoli o associati, che si impegnino alla tutela e al ripristino degli habitat naturali e all’incremento della fauna selvatica nelle aree rurali, nelle aree protette e nei siti della rete Natura 2000, avvalendosi prioritariamente di contratti di collaborazione e di convenzioni tra imprese agricole e forestali e le pubbliche amministrazioni. In attuazione della legge di orientamento può essere così attribuito esplicitamente all’impresa agricola un ruolo nella gestione, manutenzione e valorizzazione del territorio.
Parimenti, le Regioni dovrebbero incentivare l’allevamento a scopo di ripopolamento di fauna selvatica da parte di imprese agricole professionali secondo standard di qualità definiti da appositi protocolli, evitando l’immissione di specie provenienti dall’estero.
Ma l’aspetto che più interessa le imprese agricole rispetto alla disciplina sull’attività venatoria riguarda il problema dei danni da fauna selvatica. Si deve prendere atto, del fatto che le norme vigenti che avrebbero dovuto controllare il fenomeno hanno fallito sia, a monte, sul piano della prevenzione che, a valle, su quello del controllo numerico e del risarcimento dei danni, tanto che oggi le imprese agricole sono esasperate dalla mancanza di strumenti adeguati ad arginare la presenza degli ungulati, con particolare riferimento ai cinghiali e di alcune specie alloctone, quali ad esempio le nutrie.
Per quanto concerne tale aspetto specifico, il disegno di legge in discussione ha il merito di inserire delle misure di controllo straordinarie della fauna selvatica, attribuendo dei poteri speciali al Prefetto, l’applicazione delle quali subentra nel momento in cui si rileva l’inefficacia delle misure ordinarie previste dall’art. 19 della l. 157 cit che prevede il ricorso all’abbattimento selettivo. Tuttavia, tali misure dovrebbero essere integrate disciplinando in modo puntuale anche l’aspetto della prevenzione dei danni da fauna selvatica, in quanto è necessario che il fenomeno sia contenuto alle origini per cui è importante prevedere quali siano le misure di prevenzione che le imprese agricole devono adottare (ad esempio recinzioni elettrificate, trappole e così via) stabilendo che le Regioni adottino dei regimi di sostegno finanziario.
Un aspetto importante è quello dell’individuazione della densità ottimale delle singole specie. A tal fine, sarebbe opportuno stabilire che le Regioni e le Province autonome, di concerto con gli enti gestori delle aree protette, attraverso gli strumenti di programmazione e pianificazione, per ciascuna unità territoriale di gestione, individuino per le specie potenzialmente in grado di arrecare maggiori danni all’agricoltura e, quindi, prioritariamente per gli ungulati, delle densità obiettivo per ciascuna specie in modo tale che si regolamenti la presenza sul territorio della fauna contemperando le esigenze di natura ecologico-ambientale con quelle economiche.
Altro aspetto rilevante riguarda il risarcimento dei danni da fauna selvatica, in merito al quale occorre introdurre dei criteri di stima e valutazione dei danni prevedendo l’obbligo che tale computo sia effettuato sulla base dei prezziari dei prodotti agricoli vegetali e degli animali pubblicati sui Mercuriali delle Camere di Commercio delle Province o in alternativa delle quotazioni riportate dall’Ismea. Attualmente, infatti, i danni sono spesso sottostimati e si traducono in un indennizzo piuttosto che in un vero e proprio risarcimento a favore dell’imprenditore agricolo.
Si ritiene, inoltre, che in via complementare potrebbe essere introdotto un sistema di contributi per polizze assicurative sottoscritte dalle imprese agricole analogamente a quanto avviene con il Fondo di solidarietà nazionale per le calamità naturali.
Infine, si evidenzia come sia indispensabile che il complesso degli interventi a favore dell’agricoltura sia accompagnato da un’adeguata copertura finanziaria proveniente dai fondi costituiti dalle tasse di concessione venatoria senza la quale non è possibile affrontare in modo efficiente un problema che incide negativamente sulla redditività delle imprese agricole e che, non essendo stato adeguatamente risolto, sta creando sul territorio una situazione di forte conflittualità che certamente non giova ad una gestione sostenibile del territorio e dell’ambiente.
 

Giuseppe Politi (Cia)
 
Cambiare la 157? Prima vediamo  come ha funzionato
 
Servirebbe una relazione sullo stato di attuazione della legge, propedeutica ad eventuali interventi migliorativi. Comunque è inopportuno e controproducente rivedere la normativa solo sul versante della liberalizzazione delle regole venatorie. L’unica vera emergenza è quella dei danni prodotti dalla fauna selvatica, che può essere affrontata anche con una apposita proposta legislativa.

Si sa che le cose più importanti vanno dette all’inizio di un discorso o di un articolo e quindi vorrei dire subito che per la Cia è inopportuno e controproducente rivedere la Legge n. 157/92 quasi dall’esclusivo versante della liberalizzazione delle regole nell’esercizio dell’attività venatoria, intaccando in tal modo, nella sostanza, il delicato equilibrio che si era ottenuto, e che si dovrebbe avere a cuore di mantenere, tra esigenze degli agricoltori, istanze delle associazioni ambientaliste e mondo venatorio.
La possibilità di utilizzare richiami vivi, l’abbassamento dell’età per l’esercizio venatorio a 16 anni con attestato di tirocinio, l’estensione di forme di prelievo venatorio specialistico, la caccia consentita fino a dopo il tramonto o all’ora solare del lembo di territorio più a ovest della regione…, come si legge nel Testo unificato in discussione nella XIII Commissione del Senato, ci sembrano “opportunità” che non rispondono alle priorità dell’agricoltura.
L’equilibrio a cui abbiamo accennato in premessa, nell’interesse del Paese, della sensibilità dei cittadini, della qualità dell’ambiente e del territorio, deve essere perseguito innanzitutto e soprattutto incentivando politiche di contrasto rispetto alla sottrazione e al consumo di suolo agricolo, a partire dalle aree periurbane, di aumento di agricoltura intensiva e diminuzione di territori naturali, dall’altro lato di miglioramento delle attività di conservazione e gestione della natura e di prevenzione dei danni.
Sarebbe necessaria oggi una relazione sullo stato di attuazione della legge n. 157/92, peraltro prevista dall’art. 35 della legge medesima e più volte chiesto dalla Cia, insieme ad altre organizzazioni, ai Ministeri competenti e alle Regioni.
Questo atto rappresenterebbe lo strumento di conoscenza propedeutico ad eventuali interventi migliorativi della legge, il cui impianto sarebbe in ogni caso, da confermare e rafforzare.
Di grande importanza è la conferma dello “status” della fauna come patrimonio indisponibile dello Stato e la sua tutela nell’interesse della comunità nazionale e l’esigenza che l’esercizio venatorio non contrasti con la conservazione della fauna e non arrechi danno effettivo alla produzione agricola.
L’unica vera urgenza per la Cia è rappresentata dal tema dei danni da fauna selvatica alle produzioni agricole e zootecniche.
Questa grande criticità, in alcune zone realmente emergenziale, richiederebbe un intervento legislativo rapido, snello, efficace, e basato sul principio della semplificazione burocratica.
Non ci convincono le richieste espresse dalla gran parte delle associazioni venatorie a proposito della riforma della legge 157 e non condividiamo che il testo unificato in discussione al Senato sia ritenuto una buona base di partenza. Anzi, per noi è esattamente il contrario.
La Cia propone di scindere la questione dei danni da fauna selvatica e/o inselvatichita dall’attività venatoria e quindi dalla Riforma della Legge 157/92.
Per essere chiari, ad esempio, non è una soluzione la dilatazione dei calendari di caccia.
Una proposta legislativa ad hoc dovrebbe comprendere la riforma del sistema di risarcimento dei danni alle produzioni agricole e zootecniche, le attività preventive di conservazione dell’ambiente e le azioni ordinarie e straordinarie tese al contenimento delle specie dannose.
Al tema del risarcimento dei danni la Cia tiene molto: deve esserci un “equo risarcimento” e non un semplice contributo al danno e in tempi certi. Per la Cia è importante che si superi la disomogeneità territoriale attuale, si semplifichino le procedure, si introducano criteri oggettivi per la stima dei danni e si istituisca un Fondo per risarcire le imprese agricole utilizzando anche parte dei proventi delle tasse di concessione governativa.
Anche alle attività preventive di conservazione dell’ambiente la Cia attribuisce grande importanza (vedi l’impegno agricolo nelle politiche di sviluppo rurale e il fatto che i pagamenti diretti della Pac sono subordinati al rispetto dei criteri di eco condizionalità).
Si debbono anche decidere, laddove necessario, cioè dove è stato inefficace il controllo selettivo, le autorizzazioni per piani di abbattimento, anche in collaborazione con i proprietari e i conduttori di fondi.
Si devono adottare divieti di immissione legale e illegale sul territorio nazionale del cinghiale e altre specie dannose e prevedere l’introduzione di nuovi strumenti, ad esempio la tracciabilità degli allevamenti, in modo che la destinazione degli animali sia sempre controllata.
Su questa delicata materia, per la Cia resta prioritario saper favorire il confronto e il dialogo tra le sensibilità dei diversi attori sociali, avendo a riferimento gli interessi collettivi diffusi sotto il profilo della conservazione della natura e della fauna, della valorizzazione del sistema rurale a partire dal lavoro svolto dalle imprese agricole orientate alla qualità ed alla multifuzionalità, e di un’attività venatoria responsabile.
 

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