È buio e fa freddo. Cammino avanti ed indietro su una carraia di montagna e mi maledico per la solita incoscienza. Per la mancanza di senso della misura. È stato un fine settimana da schifo. Dal sabato mattina alla domenica sera, su e giù per le montagne a rincorrere caprioli evanescenti come i sogni. Il sabato mattina, nella tenue luce dell’alba, il primo tentativo andato male. Un avvicinamento maldestro su terreno ghiacciato e scricchiolante a tre caprioli che se ne stavano sdraiati in un prato. Naturalmente mi hanno sentito e quando sono sbucato da sopra il campo si erano già volatilizzati. Poi più nulla di interessante per il resto della mattinata. Al pomeriggio torno su per ritentare il colpo. Dopo una breve attesa, ecco uscire dal bosco un bel gruppetto di animali.
Riconosco la femmina adulta e i due giovani dell’anno. E’ necessario un minimo di avvicinamento per portarmi in posizione di tiro. Con il cuore palpitante striscio sul terreno e mi avvicino quel tanto che basta. Piazzo la carabina. La distanza di tiro è quella giusta. L’animale che ho scelto si gira sul fianco mettendosi a “figura”. È il momento, è tutto perfetto, nulla può andare storto. Ma nell’inserire lo stecher parte accidentalmente anche la fucilata che ovviamente va a voto. Il branchetto di animali parte di corsa risalendo il campo. Ricarico velocemente tra le imprecazioni nella speranza di poter sfruttare l’abitudine che hanno i caprioli di soffermarsi un istante prima di entrare nel bosco. Così è, ma sono ormai a 300 metri. Troppi per me. Ma non trattengo la rabbia e la delusione per il maldestro inconveniente e mollo una seconda fucilata alla volta della femmina adulta che però non ne rimane molto impressionata. L’animale si guarda attorno stizzito per poi entrare tranquillamente nel bosco seguito dal resto dei famigliari.
Fine delle trasmissioni. Domenica mattina non desisto. Sono uno duro a mollare io, ed alle prima luci sono ancora là, sui monti. Dei fuggiaschi della sera prima nessuna traccia ed in tutta la mattina vedo solo due maschi adulti, che, visto anche il periodo invernale, non rientrano nel piano di prelievo. Nel pomeriggio ci sarebbe l’impegno del carnevale al paese ed io dovrei andare con la moglie ed i bambini. Ma invece no, come già detto, sono uno testardo io, uno che non molla. Potremmo tranquillamente dire una testa dura. A metà pomeriggio salto in macchina alla volta delle montagne, che il carnevale non è roba che fa per me. Non amo la folla, la confusione, i sorrisi ed i convenevoli di circostanza che pervadono i momenti di aggregazione, specie se forzata. Andiamo, con due autorizzazioni per caprioli in tasca sto a perder tempo con coriandoli e stelle filanti. Andrà mia moglie con i bambini, tanto io in qualche modo avrei trovato il modo per alienarmi comunque. Alle 16:30 sono già in vetta alla mia collina. Mi accovaccio su un comodo mucchio di fieno abbandonato nei campi dall’autunno prima. Il pomeriggio è tiepido nonostante si sia ai primi di febbraio ed il tramonto da cartolina. Osservo il cielo che si spegne dolcemente. Sono felice. Sento che quello è il mio posto. Il mio posto nel mondo, perché non vorrei essere in nessun altro luogo se non dove sono in quel momento. Poco dopo la mia attenzione è rapita da un movimento lontano. Mi accorgo che i tre caprioli della sera prima stanno uscendo in pastura anche se decisamente distanti rispetto alla mia postazione. Parto subito per l’avvicinamento che mi costringe ad un lungo giro. Ormai il buio incombe. Cerco di dare il meglio di me nella difficile operazione di accostamento. Scivolo il più silenziosamente possibile sul terreno. Trattengo d’istinto pure il respiro nell’inconscia illusione di poter trattenere, insieme ad esso, anche i piccoli rumori del mio avanzare. Ma anche questa volta qualcosa va maledettamente storto. Gli sono quasi a tiro quando mi gelano con l’inconfondibile abbaio d’allarme. Vado avanti, ma riesco solo ad intravederli per pochi istanti tra i rami della siepe che ci divide. Se ne vanno a balzi nervosi. Scompaiono nel folto del bosco. Poi più nulla. Delusione, maledizioni, scoraggiamento. Si è fatto buio e non mi resta che affrontare la lunga salita che mi riporterà alla macchina.
Arrivato inizio a frugare tra le innumerevoli tasche per cercare le chiavi. E quando si è un po’ nervosi e si regge la carabina con una mano, il cavalletto con l’altra e lo zaino con quel che resta, l’operazione si fa più complicata del necessario. Mentre frugo nervosamente penso che la degna conclusione di un fine settimana del cavolo come quello appena trascorso, sarebbe di aver pure perso le chiavi della macchina. Invece no. Alla fine le trovo. Apro il baule e rimetto le chiavi in tasca. Con l’animo affranto carico lo zaino, il cavalletto e la carabina, poi mi tolgo il giubbotto e butto anche questo nel baule, che per guidare con il riscaldamento acceso non serve tenerlo indosso. Chiudo il baule. Istantaneamente percepisco un tonfo al cuore. So di aver fatto qualcosa di sbagliato, di tremendamente sbagliato, ma non ho ancora chiaro esattamente cosa. La domanda che mi pongo nell’attimo successivo è la seguente: “le portiere dell’auto le ho aperte?”. No. Mi frugo nelle tasche dei pantaloni ma le chiavi non ci sono. Non ci posso credere. Le svuoto tirando fuori tutto quello che ho mentre la consapevolezza della situazione inizia a farsi terribilmente chiara. Le chiavi sono rimaste nella tasca del giubbotto che è chiuso nel baule. E il baule si apre solo per mezzo di un pulsante interno sul cruscotto. Sono chiuso fuori. Moccoli stratosferici. Ormai sono in preda alla disperazione. Che fare? Rompere il vetro di un finestrino? Quanto potrà costare ricomprarlo e farlo rimontare, una pazzia sicuramente. Per fortuna il telefono mi è rimasto in tasca e con quello decido in fine di telefonare a Cristian, amico e compagno di caccia, per chiedergli di portarmi le chiavi di scorta dell’auto. Lui è l’unico che sa esattamente dove mi trovo. “Pronto ? Cristian ?” “no, Cristian è impegnato” mi risponde Francesca, la fidanzata. “Scusa ma avrei un problema” le dico io. Me lo passa: “dimmi Maurizio”, “guarda è successo un guaio…” e gli racconto. “Non c’è problema” mi dice lui “vado a casa tua, prendo le chiavi di scorta e ti raggiungo”, “grazie” concludo io. Il problema è che tra una cosa e l’altra ci vorranno quasi due ore prima che Cristian arrivi, e io sono in montagna in piena notte, in febbraio e senza giubbotto. Non posso nemmeno chiamare gli amici che abitano nei dintorni per farmi venire a prendere ed attendere l’arrivo di Cristian al caldo di un Bar, perché nell’auto c’è la carabina. Allora comincio a passeggiare a braccia conserte avanti ed indietro per la carraia e penso alla situazione nella quale mi sono cacciato. E penso a quanto sono stato stupido a voler per forza tornare in montagna nonostante gli impegni famigliari e nonostante la stanchezza accumulata nelle uscite precedenti. Il freddo comincia a farsi sentire, le orecchie friggono e le riscaldo di tanto in tanto coprendole con le mani. Il cielo è gelidamente sereno. La costellazione di Orione è già alta sull’orizzonte e mi guarda da lassù con commiserazione. “Maledizione, maledizione. Non potevo starmene a casa oggi a riposare. Andare al carnevale con la famiglia come tutte le persone normali. Invece no. Due giorni su e giù per le montagne a rincorrere caprioli. Maledetti anche loro. Maledetta la caccia che mi fa trascurare la famiglia, la casa e tutto il resto”. E pensai a tutte le mattine d’inverno che la maledetta passionaccia mi aveva strappato dal letto, alle inutili giornate trascorse nella nebbia, nel fango, sotto la pioggia o al gelo. Alle lamentele in famiglia per la mia costante assenza. Ma per cosa poi? per quattro uccellacci nemmeno tanto buoni da mangiare. Basta, basta. Perché non sono come quelli che al sabato mattina si alzano alle 9:00, lavano la macchina, vanno in piazza a comperare il giornale, a bersi il caffè o l’aperitivo al Bar ? E magari la domenica vanno a messa, alla partita, in pizzeria. Con la famiglia si intende. Hanno una vita regolare loro, posata, ordinata. Non hanno certo il garage ingombro di scarponi e stivali perennemente infangati. Non hanno in giro per la casa camicie, maglioni, giubbotti, pantaloni e cappellacci puzzolenti e luridi come i miei. Non hanno l’auto infangata come un trattore agricolo e imbrattata di pelo, di piume e di sangue. Basta. Devo capire che così non si può andare avanti. Le cose devono cambiare per forza. Per prima cosa, appena arriva Cristian, gli cedo le mie autorizzazioni d’abbattimento dei caprioli, e se non le vuole lui le butto al fuoco. E vadano a quel paese anche i caprioli. E poi con il prossimo anno basta caccia di selezione. Eh si, cosi risparmiamo soldi, fatiche e tempo. Non si può voler prendere da tutte le parti come faccio io. E la pre-apertura alle tortore, e l’apertura alle anatre, e a colombacci in giro per l’Italia tutto inverno, e poi la caccia di selezione fino a primavera, e poi i censimenti, e poi, e poi, e poi… non si è mai finito. Basta, qui ci diamo una regolata. Ma una regolata di quelle grosse. Per quest’anno comunque la caccia la chiudo qui. Finito. Maledetta caccia.
Passa il tempo, Orione ormai è arrivato quasi sulla mia verticale. E fa sempre più freddo. Non vedo l’ora di essere a casa. Mia moglie ha proprio ragione nel commiserarmi come spesso fa. Ma gli dimostrerò che da domani cambierà tutto. Sono ormai le 20:00 ed a casa staranno cenando. Ed io sono qui, come un’imbecille su una montagna, di notte, al freddo, senza giubbotto e ho dovuto scomodare un amico che aveva un sacco di impegni costringendolo a fare 120 chilometri. Perché non sono rimasto a casa? Sarei andato al carnevale con la famiglia ed al rientro mi sarei steso sul divano a sonnecchiare beatamente davanti alla stufa accesa. Invece sono qui. Freddo, scarpe infangate e bagnate, abiti sporchi e maleodoranti, capelli appiccicati alla fronte sotto il cappellaccio di velluto. Quanto odio la caccia in questo momento. Non ne voglio più sapere. Si ho deciso è la volta che smetto proprio. È la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Basta con questa sporca vita da vagabondo, da zingaro. Alzo gli occhi al cielo. Orione è sopra di me e mi ascolta con scetticismo. Orione il Dio Cacciatore della mitologia greca. Ci conosciamo bene noi due vero? Quante volte ci siamo incrociati in tutti questi anni. Quante volte, uscendo di casa ti ho cercato nel cielo ancora buio del mattino per salutarti, come a compiere un rito propiziatorio, prima di partire per la caccia. Sono ormai le 21:00 e dal fondo della valletta due fari violano l’oscurità. Finalmente è arrivato Cristian. È con la fidanzata perché debbono incontrare amici con i quali avevano appuntamento per la cena. Per colpa mia arriveranno in ritardo. Dopo le spiegazioni ed i ringraziamenti, con le chiavi che mi hanno portato apro il baule della macchina. Recupero il giubbotto e dalla ladra sfilo le due autorizzazioni d’abbattimento. Come mi ero ripromesso, glie le porgo. Ma non c’è verso di fargliele prendere. “Non ho tempo di andare a caccia” mi dice “nel prossimo periodo ho un sacco di impegni. Non ce la faccio proprio”. “Se non le prendi tu le darò ad altri oppure le butto al fuoco” gli dico. Tento buttandogliele sul sedile posteriore dell’auto, ma lui me le riporge. Nulla da fare, non cede e me le devo riprendere. Lui sì che è un bravo ragazzo. Uno equilibrato, con la testa a posto. Mica un salta fossi come me. Allora passerò dal Bar, dove c’è il ritrovo del nostro gruppo di cacciatori di selezione e le darò ad uno di loro, e che si divertano. Al Bar però non trovo nessuno perché vista l’ora, sono già tutti a casa. Nulla da fare me le devo tenere. Beh, domani telefono a qualcuno dei ragazzi e vedremo se non riesco a disfarmene. Il rientro a casa è decisamente mesto. La moglie mi guarda con giustificata commiserazione. “Al carnevale com’è andata?” le chiedo incautamente, “bene” mi risponde “ma c’erano anche tutti i papà. Ero l’unica senza marito. La gente penserà che siamo separati”. Non posso che ammettere le mie colpe e sedermi a tavola per racimolare qualche avanzo di una cena ormai fredda.
Il giorno dopo è lunedì e si sa che il lunedì lascia poco tempo per pensare e per fare ciò che ci si era ripromessi di fare nel tempo libero. E come spesso avviene, il lunedì si tira dietro voracemente tutti i giorni della settimana, senza soluzione di continuità. Solo verso il venerdì sera riesco a staccarmi un attimo dagli impegni dell’intensa settimana di lavoro. Mi rilasso un istante. Guardo dalla finestra dell’ufficio il sole che tramonta. Il cielo è sereno, l’aria immobile ed il crepuscolo sfoggia tutte le più accattivanti tonalità che può esprimere una tersa serata d’inverno. Lo sguardo si perde all’orizzonte. La mente cerca rifugio in luoghi lontani. Un pensiero mi coglie a tradimento in quell’attimo di innocente distrazione. Penso che forse, in quello stesso istante, al margine di un bosco che si apre sui campi, un capriolo fa capolino preparandosi al pascolo serale. Nel mio cuore qualcosa si scioglie. L’animo è lentamente pervaso da calde emozioni. Nel trasalimento inconsapevole di quei momenti mi sembra di vederlo. È il capriolo. Si sofferma sospettoso al margine del bosco. Le orecchie indagano in ogni direzione per cogliere il più impercettibile suono; ogni segnale di pericolo. Lo sguardo fisso a scrutare punti indefiniti. Ecco, fa qualche passo, ma subito si ferma. Si guarda attorno. Ancora qualche passo. Sembra abbia preso fiducia. Abbassa la testa verso il terreno, pare che voglia dare la prima boccata d’erba, ma invece la rialza di scatto. Le orecchie protese in direzione dello sguardo. Non è ancora tranquillo.
Senza accorgermene il legno della scrivania alla quale sono seduto si è rifatto albero, il pavimento di mattonelle si scioglie defluendo sotto un letto di foglie madide di rugiada. Le pareti evaporano su orizzonti indefiniti nei quali i profili di colline lontane si dissolvono tra le nebbie dell’incipiente crepuscolo. Sento l’odore del bosco umido, il profumo dell’aria che ha accarezzato i prati e i ruscelli, che si è soffermata tra le forre e i canaloni più bui, che ha corteggiato gli avari raggi di sole di questo giorno d’inverno che va spegnendosi. Sento il palpitare della vita nelle creature invisibili che popolano il bosco. Di quelle che si stanno addormentando affidandosi alla sua protezione e di quelle che si risvegliando solo ora, cercando nel tramonto e nell’oscurità le risorse della propria sopravvivenza, nell’imperituro, meraviglioso, quanto spietato, ciclo della natura. Mi lascio rapire senza opporre resistenza. In fondo questo è il mio mondo. Il mondo nel quale sono nato e cresciuto e nel quale le mie radici attingono la linfa dell’esistenza. Della mia esistenza. Il sangue si è fatto caldo, le membra inquiete. Non c’è nulla da fare, siamo alle solite. Sento che devo partire, che devo andare. Che devo ributtarmi tra le braccia di ciò che in realtà amo: un nuovo giorno, un’alba incantata, attese trepidanti, delusioni amare, gioie incontenibili, attimi carichi di magia. Per ritrovare il sapore della terra, l’entusiasmo della fatica, del sudore. Della vita. Per vedere il sole sorgere, le stagioni avvicendarsi. Per sentirmi parte di tutto questo. Per ritrovare ciò che in realtà sono, ciò che in realtà siamo. Per non dimenticarlo.
E tutte le promesse e le buone intenzioni della settimana prima? i propositi di redenzione, di mettere giudizio, di darsi una regolata, di cambiare vita? Come mi sembrano irreali e lontane adesso. No, non sarò mai quello che trascorre i fine settimana lavando l’auto e leggendo le gazzette sportive. Mi dispiace. Sarà qualcun altro. Ma non sarò io. Scusate ma sono innamorato.
Maurizio Lodi
Tratto da RACCONTI DI CACCIA, PASSIONE E RICORDI Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi” A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze [email protected] www.federcacciatoscana.it