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Racconti

Il Grande verro


martedì 22 maggio 2012
    

L’attesa telefonata dell’amico Giovanni mi aveva raggiunto nella tarda mattinata di quel freddo giorno di dicembre ed il mio cuore aveva già cominciato a battere forte, pregustando l’annunciata “passeggiata” in montagna, sulle tracce del re del bosco.

Nei giorni precedenti proprio Giovanni, accompagnato dai suoi fidi segugi, aveva rilevato la presenza di un consistente branco di cinghiali che si aggirava fra i querceti e le folte macchie che caratterizzano la mia terra, in provincia di Salerno, ed insieme avevamo deciso di effettuare una nuova ricognizione, armati di arco e frecce, per intercettare e seguire le tracce degli ungulati e tentare un abbattimento.

Giovanni, che è il presidente dell’Associazione Nazionale Arcieri Cacciatori (UNARC), è un vero esperto nella caccia al cinghiale effettuata con arco e frecce ed è per me un vero amico, oltre che paziente Guida venatoria e Maestro d’arte.

Così, nelle prime ore del pomeriggio, ci ritroviamo ad arrampicarci sugli irti crinali della montagna per poi addentrarci nel folto del bosco dove i segni del passaggio dei cinghiali erano più evidenti.

Arco in pugno, in silenzio e pronti al tiro, ci muoviamo sotto vento seguendo le impronte fresche di una scrofa con i suoi porcastri; ma a breve distanza ecco comparire sul terreno le tracce altrettanto fresche di un grosso verro che, evidentemente, segue il primo gruppo di cinghiali.

Mentre Giovanni mi indica sottovoce il tragitto da seguire per aggirare un folto roveto, possibile rimessa dei selvatici, mi ritrovo a sognare ad occhi aperti, colmo di emozione e di comprensibile tensione, ed a sperare ardentemente in un incontro ravvicinato con il grande verro.

Forse gli Dei della foresta hanno ascoltato le mie preghiere, ed in breve il mio sogno si è tramutato in adrenalinica realtà. Seguivo in silenzio il sentiero che si inerpicava lungo l’impervio crinale, mentre Giovanni, a circa 150 metri di distanza, sempre con gli occhi fissi sul terreno con la freccia già incoccata nel suo arco, scendeva in un profondo vallone.

Le tracce del grosso verro erano molto chiare sul terreno bagnato dalle abbondanti piogge dei giorni precedenti; sembrava quasi che il cinghiale le avesse lasciate lì apposta per me, quasi a voler sfidare il mio spirito di Cacciatore. Ed io le ho seguite.

All’improvviso, nel bosco un silenzio irreale; anche la brezza leggera che prima soffiava timida alle nostre spalle ora era del tutto sparita. Forse per istinto mi sono immobilizzato, guardandomi attorno circospetto e attento ad ogni più piccolo rumore e…. incredibile!! All’inizio non credevo ai miei occhi, ma poi ho messo meglio a fuoco l’immagine che si stagliava nell’ombra pomeridiana del bosco, a circa 20 metri dalla mia posizione: la sagoma inconfondibile di un grande cinghiale era comparsa improvvisamente dietro uno scomposto ammasso di arbusti e cespugli troppo piccoli per poterlo nascondere interamente. Vedevo chiaramente il muso sporgersi da una parte del cespuglio, mentre l’animale annusava l’aria perché evidentemente allarmato dalla mia presenza, mentre dall’altra parte sporgeva il posteriore del cinghiale con la coda già irta e pronto alla fuga o… alla carica.

Ho estratto piano una freccia dalla mia faretra e… ed ho commesso un errore: per incoccare la freccia, infatti, ho staccato per un attimo gli occhi da quella sagoma; un attimo solo, e la mia preda non c’era più, sparita silenziosamente come un fantasma, come un sogno, come solo un cinghiale sa fare.

Solo frazioni di attimi, prima che mi tornassero in mente le parole di Giovanni: “…tieni sempre sott’occhio il corridoio tracciato dal cinghiale”. Solo frazioni di attimi, interminabili. Mi sono girato lentamente, per guardare alla mia sinistra, e l’ho visto, enorme, con il muso puntato verso di me e le setole ritte sul groppone.

Non ho avuto il tempo di pensare e tutto si è svolto senza soluzione di continuità, in maniera estremamente naturale, come se appartenesse al mio essere ancestrale. La prima freccia, con un rumore secco, è penetrata sotto il muso del cinghiale, attraversandolo interamente fino a fuoriuscire in parte nella natica destra dell’animale che, nonostante fosse colpito a morte, ha emesso un urlo sinistro e si è gettato a capofitto giù nel crinale.

Sentivo l’odore del sangue e vedevo le abbondanti chiazze rosse che il verro aveva lasciato sul terreno durante la sua fuga precipitosa, ed avrei scommesso che l’animale si era diretto nella parte più bassa della foresta, dove mi era sembrato volersi dirigere, ma non era così e di lì a poco avrei imparato una nuova lezione. Infatti, quando ho chiamato Giovanni via radio per spiegargli l’accaduto, questi mi ha invitato prima di tutto a rimanere calmo e a non precipitarmi sulla via di fuga dell’animale, per evitare che il cinghiale, sentendosi braccato, potesse raccogliere tutte le sue forze per allontanarsi troppo; Giovanni, poi, mi ha spiegato che non bisogna fidarsi della direzione presa dall’animale in fuga, che quasi certamente cercherà di disorientarci (e di cambiare più volte direzione) per evitare di essere catturato. Abbiamo adottato, pertanto, la cosiddetta “Tecnica della Spirale”, che consiste nel segnare il punto del ferimento e di girare intorno ad esso disegnando cerchi sempre più ampi, fino a trovare le tracce più fresche del selvatico colpito. Ed in effetti in breve tempo abbiamo scoperto che il cinghiale ferito era fuggito nella direzione diametralmente opposta a quella che credevo io.

Tracciare il cinghiale ferito è stata un’esperienza unica e piena di emozioni contrastanti. Alla felicità incontenibile dell’incontro, infatti, si contrapponeva il timore di aver perduto definitivamente la mia preda più desiderata, e la tensione accumulata faceva tremare le mie mani, mentre un’abbondante ed improvvisa sudorazione (di origine nervosa) imperlava la mia fronte ed il viso con vistose gocce trasparenti. Il cuore continuava a battere mille, ma ho continuato a seguire le indicazioni e i consigli di Giovanni, fino a quando……. La seconda freccia ha raggiunto il costato destro del verro ormai rantolante che aveva cercato rifugio in un folto cespuglio spinoso.

Non so raccontarvi a parole ciò che ho provato quando finalmente abbiamo raggiunto il cinghiale che giaceva ormai privo di vita. E’ come se parte della sua grande energia fosse stata assorbita dalla foresta e dal mio stesso essere, dal mio spirito e dalla mia anima di cacciatore, ma anche di uomo che attraverso la caccia con l’arco ha scoperto un mondo nuovo e certi segreti equilibri presenti in natura sempre contrassegnati da emozioni forti, antiche ed ancestrali e che, forse, attraverso la cruda morte di una grande preda oggetto della nostra caccia, riconducono al vero significato della immortalità ed alla ricerca ed al recupero dei nostri più atavici istinti e delle nostre radici.

Quella giornata rimarrà per sempre nella mia memoria e nel mio cuore.


Carmine Aufiero

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