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Racconti

Gli stivaletti neri


martedì 31 gennaio 2017
    
“A mio padre che mi ha insegnato ad amare la natura, le cose semplici tra persone semplici, che mi ha fatto capire che respirare l’alba quando la luce non ha ancora la forza di dare forma alle cose, è uno di migliore regali che la vita ti possa fare”
 
 
E' sempre stato difficile correre con le gambe così pesanti,  pesanti e quasi incollate al suolo e che rabbia, la stazione è li a pochi passi se solo fossi libero di correre come al solito, non avrei problemi a salire sulla freccia delle 19,05, ma queste maledette gambe di piombo non mi faranno mai arrivare in tempo. Pochi minuti ed infatti il treno parte e tutto pian piano svanisce, i binari che lascia dietro di sé vengono risucchiati come il succo di frutta  lungo la cannuccia di un bimbo, la stazione perde sostanza e forma svanendo come un disegno cancellato da una gomma.

Ora le gambe sono leggere ma non sanno più dove andare, ormai resta solo una minuscola porzione di terreno dove poggiano i piedi, come se a sorreggere l'universo fosse rimasto un numerino della tombola, solo quel piccolo tondino; "numero 11, le gambe delle donne, tombola”,  grida una bimbetta, mentre un campanello suona ininterrottamente per segnalare che il premio più ambito, andrà nelle mani di quella bimba dalle   tracce bionde.

Ma da quando è stato introdotto un suono così fastidioso nella tombola? Io non ricordo che nelle riunioni di Natale con zii e cugini, il tombolone fosse accompagnato da questa sirena spacca timpani.
Che suono antipatico sembra quasi un citofono... ma è un citofono, il citofono di casa, oddio il camion, gli operai, il trasloco.

Corro, sollevo la cornetta e ... "chi è?"

"Buongiorno sono Mario, salgo?"

"Buongiorno, certamente, mi scusi, ma evidentemente il telefonino che doveva fare da sveglia non ha squillato".

Corro in camera da letto a svegliare Paola.

"tesoro sveglia … i traslocatori sono qui, si parte"

Gli operai con velocità imbarcano sul camion tutti gli scatoloni e i mobili e siamo pronti a partire, do’ un'ultima occhiata e da un angolo del ripostiglio prendo il fodero con dentro il fucile da caccia, per portalo con me in macchina, perché non lo voglio affidare agli operai.

Scendo per l’ultima volta le scale di quella casa con sottobraccio il mio 28.

Si parte, si cambia città, si cambia vita, Paola che si è accorta del mio "fardello" poggiato sul sedile posteriore della  macchina con la cura e l'amore che si riserva ad uno degli oggetti più cari di cui si è in possesso, ad un pezzo di ferro e legno impregnato di mille ricordi, mi chiede:

"ma c'è un moschetto o cosa in quel fodero?"

"c'è un fucile da caccia"

"tu sei cacciatore? Incredibile, non l’avrei mai immaginato, non me ne hai mai parlato?"

"si,  da 40 anni, spero non ti dispiaccia"

Paola mi guarda e risponde sorridendo:

"no, non mi dispiace, ma non pensavo che andassi a caccia"

Già la nave traghetto ha velocemente attraversato lo stretto di Messina e ci ha sbarcati in Calabria, il nostro viaggio inizia, la nostra nuova vita vede la sua prima alba, il suo primo giorno,  chiaro, luminoso, limpido come i nostri cuori, tornati d'improvviso ragazzi.

Paola è una meravigliosa sorpresa della vita, una sorpresa venuta fuori da internet una sera d'estate, guardando un bel volto di donna allegro e aperto e scrivendole un semplice "ciao".

Si, la felicità inizia sempre da un semplice ciao.
 
Le nostre chiacchierate al computer in breve sono diventate un appuntamento fisso ed irrinunciabile, ore a trasmetterci attraverso una tastiera gioie, paure, dolore, speranze e risate, senza paura di metterci a nudo, anzi mettendoci nelle mani l'uno dell'altro ogni giorno di più.

Presto ci siamo innamorati, le nostre vite travolte da un onda potentissima e calda.   

Dopo due mesi ci siamo incontrati per la prima volta e le nostre preoccupazioni nel vederci di persona e magari non piacerci, sono sparite come d'incanto lasciando il posto alla meravigliosa certezza dell'amore.

Adesso si andava a fare casa insieme nella stupenda città di Paola, Napoli.

Parecchie ore di autostrada ci separano dalla nostra meta e Paola è incuriosita dal fatto che io vada a caccia, mi chiede come nasce la passione di un cacciatore, quando inizia, cosa si prova andando per boschi con un fucile in mano.

Già piccolissimo avevo un paio di stivaletti di gomma nera, di cui ancora oggi ricordo l'odore e ancor più dell'odore ricordo le emozioni che mi suscitavano,  ancora oggi sento l'odore di libertà e avventura che quei piccoli stivali emanavano.

Erano come quelli di papà e con papà sognavo un giorno di andare per i boschi,  lontano dal quel mondo rumoroso e puzzolente  nel quale la gente si muove frettolosamente grazie ad insulse scatolette con le ruote. Doveva esistere  un mondo parallelo dal quale papà tornava all'ora di pranzo le domeniche d'inverno.

Mentre mamma finiva di apparecchiare la tavola e già l'odore del ragù che invadeva tutta la casa diventava irresistibile, io stavo appiccato a papà che si toglieva quegli abiti strani che odoravano di campagna e mi chiedevo quanto dovesse essere bello quel mondo dal quale tornava, perché la sua faccia stanca, era felice, felice come chi è tornato per mezza giornata al suo vecchio paese  riassaporando il gusto della libertà.

A tavola poi mi incantavano ad ascoltare tutto il resoconto della giornata di caccia: "ho superato una collinetta e ho visto Ala in ferma, ferma perché davanti al proprio naso fiutava una beccaccia e per indicarmela, immobile girava solo gli occhi, una volte verso di me e una volta verso la preda "…

"papà, ma Ala come fa a capire che davanti al proprio naso c'è una beccaccia?"

"ne sente l'odore, i cani hanno un fiuto 100 volte superiore a quello dell'uomo"

Ala il mio spinoncino bianco, il mio batuffoloso compagno di giochi, sente l'odore degli uccelli come io sento l'odore della torta di mele appena sfornata da mamma?

Dai racconti di papà emergeva un mondo fantastico fatto di odori, di albe,
di nebbie, di funghi, di legna che arde, di pane e formaggio mangiato seduti su una pietra ricoperta di muschio, di animali che recuperano la loro dignità perché sono liberi nel loro mondo incantato, di uomini che si riconciliano con la natura, perché non hanno più bisogno di stravolgerla per essere felici, ma gli basta respirarla ed osservarla incantati così per come Dio l'ha fatta.

Paola mi guarda silenziosa, forse tutto poteva immaginare tranne che quel viaggio a seguire un camion pieno di tutte le nostre cose, che si avvicina sempre più ad un nuovo inizio, potesse trasformarsi in un racconto riguardante la caccia;  però adesso c'è un autogrill e ci si ferma a prendere un caffè.
     Si riparte e pur avendo voglia di riprendere il discorso sulla caccia, cambio argomento temendo di essere stato già abbastanza noioso, ma è proprio Paola che mi chiede di continuare,
"allora? Quando sei andato finalmente a caccia per la prima volta? "

"ne sono passati di anni e di racconti di papà prima che arrivasse l'età giusta per avere il porto d'armi".
     18 anni! Finalmente maggiorenne, finalmente la patente, ma finalmente il porto d'armi, finalmente potevo entrare in quel mondo fantastico che da bambino sognavo, finalmente i miei stivaletti di gomma nera si sarebbero sporcati di fango, di fango vero, portandomi per boschi incantati come gli stivali delle sette leghe.

Molti pensano di diventare grandi quando fumano la prima sigaretta, io mi sono accorto di essere diventato grande, quando alle 3 di notte prendevo il caffè con papà in cucina prima di andare a caccia.
Questa volta avevo un fucile tutto mio, non seguivo più nessuno, non ero più un semplice “porta zaino”, questa volta il cacciatore ero io!

Avevo accesso al quel mondo incantato, mi avrebbero aspettato albe brumose, erba ghiacciata che scricchiola sotto i piedi, freddo da far cascare le mani, roventi pomeriggi d'estate tormentato dalle mosche che incessanti ti ronzano attorno al viso, rovi e salite, scarpate e montagne da dovere superare, sudore da asciugare e nelle giornate d’inverno il respiro che fuma come quello del tuo cane,  come quello di un animale, si perché in fondo nel mondo incanto della natura torniamo alla nostra essenza,  torniamo al ruolo di cacciatori e prede assegnato ad ogni essere e non l'uno contro l'altro, ma l'uno per l'altro, non più due mondi, quello dell'uomo con le sue puzzolenti città e quello degli animali, sempre più piccolo, sempre più offeso,  sempre più mortificato,  sempre più ristretto,  sempre più umiliato.

Finalmente una volta la settimana e per pochi mesi l'anno posso tornare in quella natura in cui siamo uguali, uomini e animali, in cui,  esattamente come gli animali, cerchiamo con fatica la nostra preda e trovata la trattiamo con rispetto, senza mortificarla dentro una scatoletta di latta sullo scaffale del supermercato, per poi “tagliarla con un grissino”.

Paola mi guarda stupita e mi sorride ancora, forse sono riuscito a farle capire perché quel pezzo di ferro che portiamo in macchina mi suscita tante emozioni.   Intanto il nostro viaggio finisce, gli operai scaricano i mobili nella nuova casa,  facendo slalom tra mille scatoloni, riusciamo a farci una doccia, mangiare un trancio di pizza e finalmente, sfiniti, andare a letto.

Per la stanchezza prendo subito sonno, ma che succede, di nuovo una stazione, un treno da prendere, un rapido con il suo locomotore verde, salgo la scaletta del vagone e mentre poggio il piede sul predellino, mi accorgo che porto gli stivaletti di gomma nera, il treno parte subito, non sobbalza perché è come se camminasse su un cuscino d'aria, fa tre curve e un cerchio, si ferma in una stazioncina di campagna. E’ l'alba, la nebbia avvolge i lampioni che si sforzano ad illuminare appena il marciapiede, scendo, mi alzo il bavero per ripararmi dal un venticello gelido e alzando gli occhi vedo una figura che si avvicina, ha pantalone e giacca di velluto, in spalla una doppietta e un cane al guinzaglio, il lampione pare fare un ultimo estremo sforzo per lanciare un bagliore e farmi vedere meglio, è papà! È Ala!
"Ti sei ricordato il termos con il caffè? "

"Si papà, certo"

"Allora andiamo è già l’alba da un po’, oggi sarà una bella giornata per le beccacce, oggi ci divertiremo"
"Si papà sarà una bella giornata, come sono state  tutte belle  le giornate a caccia con te, andiamo"
Lo so è solo un sogno, ma la caccia in fondo è il sogno di quando l'uomo era felice, il sogno di un bosco  pulito che odora di foglie marce, il sogno di prendere dalla natura quel poco che basta per vivere senza alterare nulla, il sogno che poteva durare per sempre solo che l'uomo avesse capito che del creato non era il padrone, ma solo un ospite, quel sogno in cui ho avuto la fortuna ed il privilegio di entrare anch’io, con un fucile in spalla, gli stivaletti neri, tenendo per mano papà.

W la natura, W la caccia.

 

Franco Martino
 
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