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Racconti

La beccaccia


martedì 30 settembre 2014
    

I rintocchi di una campana in lontananza scandivano le ore in quella  grigia giornata di fine ottobre. Le foglie,imbrunite dalla stagione si arrendevano al vento, e lui, il vento,quasi come dispiaciuto  per il  loro destino,  le accompagnava  in quel  breve e unico viaggio facendole planare, adagiandole al suolo della madre terra con infinita tenerezza. Alcune raffiche più potenti invece le spingevano verso l’alto, per poi lasciarle cadere con armoniosa eleganza, in un tripudio di piroette e volteggi, inscenando quasi una sorta di coreografia. Ma le foglie, quella mattina, erano le uniche cose che si vedevano in cielo. Lorenzo aveva lasciato a casa il cane, perché colpito da una lieve infezione intestinale, e siccome era sotto antibiotici, non voleva farlo faticare correndo il rischio di peggiorare la situazione. Non era stata una scelta facile,sapeva quanto il suo setter amasse la caccia, ma allo stesso tempo sapeva quanto i cani  a volte in preda alla loro stoicismo riescono a ingannare i propri padroni fingendosi in ottima salute. Decise  cosi di andare a vedere se passava qualche colombaccio, e si era appostato sotto un piccolo boschetto di querce, un ottimo punto di ristoro per i selvatici. Ma Lorenzo non era lì solo per i colombacci; la campagna in quei periodi non regala solo emozioni venatorie, la natura in autunno regala emozioni a prescindere. E’ come se il buon Dio decidesse di prendersi un periodo di ferie, per dedicarsi  esclusivamente al suo passatempo preferito: la pittura. Eh si … perché trovarsi in autunno nel mezzo della natura è quasi come trovarsi in  un dipinto, dove ogni colore è messo sapientemente al posto giusto, con la giusta tonalità, con il giusto equilibrio, con quel calore che solo le mani operose di uno del mestiere riescono ad infondere. E’ una sensazione di pace che solo chi ama la caccia e la natura può comprendere in pieno. E Lorenzo amava la caccia, la amava cosi tanto che aveva deciso di lasciare gli agi della città per trasferirsi in aperta campagna, accettando tutte le difficoltà e gli imprevisti che quel tipo di vita spesso comporta.

Le cornacchie avevano lasciato gli alberi già da un pezzo, e il loro gracchiare era diventato oramai soltanto un flebile brusio. Lorenzo sapeva che subito dopo la sveglia dei corvidi, i colombacci, se mai ce ne fossero stati,  si sarebbero fatti vivi. Ma le sue aspettative si rivelarono deludenti; nel cielo continuavano a vedersi solo le foglie. Di tanto in tanto si udiva lo “ zip” di  alcuni tordi che iniziavano a entrare. Si ricordò di una mattina favolosa, quando lui, suo padre e un amico di famiglia assistettero ad un entrata di tordi fenomenale. A metà mattinata avevano finito le cartucce!  Bei tempi!, pensò, mentre i suoi occhi continuavano a monitorare il cielo alla ricerca di qualche colombaccio.  Quanti ricordi nella sua mente e nel suo cuore. Ricordi che in quel contesto disegnavano sul suo volto un velo di malinconia. Malinconia, non tristezza; la malinconia  non  è altro che la tristezza vestita di miele, l’aveva letta da qualche parta questa frase, e sembrava coniugarsi alla perfezione con quel momento. E quel miele per lui faceva una grande differenza, difatti non c’era un valido motivo per quel suo stato d’animo malinconico, ciò che lui ricordava erano momenti felici ma,  legati all’inesorabile scorrere del tempo, venivano metabolizzati dal suo essere, e ciò che ne scaturiva fuori era  malinconia. Ricordava il giorno del suo matrimonio, la nascita di suo figlio, ma quando i suoi ricordi si focalizzavano sulla caccia le sensazioni che viveva erano indescrivibili;  la caccia e le esperienze ad essa legate avevano un gusto diverso. La caccia è un mondo  diverso. Sorrise quando pensò alla frase che spesso ripeteva sua moglie :- Ti ricordi la cartuccia con la quale hai preso la tua prima beccaccia venti anni fa e non ti ricordi cosa ti ho regalato l’anno scorso per Natale!-  E poi, mentre era rapito dal suo ricordare, sentì un battito d’ali irrompere nell’armonia creata dal silenzio. Due colombacci solcarono il cielo passando sopra la sua testa. Il fragore dello sparo echeggiò nella valle. Uno dei due colombi chiuse le ali e cadde. Fu mentre si apprestava alla fase di recupero che accadde l’inaspettato. Dopo aver fatto alcuni passi lasciandosi indietro la sua postazione, una beccaccia sbucata come per incanto dalle viscere della terra si alzò nel cielo in tutta la sua magnificenza. L’inconfondibile battito d’ali suonò alle sue orecchie come la più dolce tra le melodie. Lorenzo la puntò e la seguì attraverso il mirino del suo fucile per alcuni interminabili momenti, poi invece di tirare il grilletto,sollevò l’arma e lasciò che la regina proseguisse nel suo andare. -Non è giusto senza cane- disse ad alta voce. Lo disse a se stesso, come se ce ne fosse  bisogno! La seguì ancora con lo sguardo fino a quando la fata non scomparve dietro le piante alte. Suo nonno sarebbe stato fiero di lui. Raccolse da terra il colombaccio e ritornò al suo appostamento. Era felice! Aveva rispettato il suo cane, aveva rispettato il selvatico. Aveva fatto ciò che ogni cacciatore, si augurava, avrebbe fatto.  Ecco che cosa era e cos' è la caccia. La sfida atavica tra l’uomo e il selvatico. Dove l’uomo consapevole delle sue possibilità lascia al selvatico una via di fuga. Aveva onorato la natura rispettando le leggi dell’uomo e quelle di Dio. Leggi non scritte da nessuna parte, ma tant’era. Si … suo nonno sarebbe stato fiero di lui. Suo nonno che andava a caccia con una doppietta ma metteva in canna solo una cartuccia.

– Se sbagli il primo colpo ha vinto il selvatico – era questa la sua severa regola, e Lorenzo, benché più volte avesse utilizzato anche il secondo colpo, cercava di trarre da questa “severità” la giusta unità di misura per rispettare la selvaggina e quindi la natura.

 Sparare a una beccaccia o a un fagiano, senza che questi fossero stati trovati dal cane, la vedeva come una situazione di svantaggio per gli animali e lui si era comportato di conseguenza; un po’ come fanno quei calciatori che accorgendosi dell’infortunio di un loro avversario fermano il gioco anche se potrebbero andare tranquillamente in rete. La caccia rispecchia inevitabilmente le regole della vita. Quelle regole che non si insegnano da nessuna parte,ma le trovi per strada o nei boschi,  nei racconti di chi ci sta vicino,o in quelle esperienze che nessun libro di testo riporta, quelle regole che i mezzi dell’istruzione ufficiale spesso non riescono a dare.

Fu una mattina, una di quelle mattine di fine ottobre, quando le foglie danzano nel vento e la nebbia leggera copre la campagna,cosi come farebbe una madre nel gesto amorevole di rimboccare le coperte al figlio mentre gli dà la buona notte … fu la mattina che  Lorenzo lasciò andare la beccaccia, sperando che l’indomani insieme al suo cane l’avrebbe ritrovata, ecco … fu allora che il giovane cacciatore ebbe la conferma di quanto aveva sempre sostenuto, ovvero di quanto forte sia il legame tra l’uomo e la natura, e che la caccia non è morte, contrariamente a quanto qualche bigotto poteva e può pensare, ma che la caccia è vita, è emozione, è poesia, è passione. E l’uomo si nutre di passioni, di poesia di emozioni. Rientrò a casa e trovò il suo cane ad aspettarlo scodinzolante, i due si guardarono e  nello sguardo si celava il racconto di quella fantastica esperienza. Quando si parla di caccia è più facile che si capiscano un cane ed un uomo piuttosto che due uomini, e infatti il cane aveva capito, e fu ancora più affettuoso con Lorenzo, quasi a volerlo rincuorare o, ancora meglio, quasi a volerlo ringraziare.

Nel frattempo la notte aveva guadagnato la sua posizione, e mentre Lorenzo si avviava verso il meritato riposo, il cane rimase sveglio a fissare i contorni del bosco, che si potevano intravedere grazie al riflesso della luna.  In quel bosco, dove anche nell’oscurità più profonda, la vita non smetteva mai di brillare.
 

Vincenzo Mazzone

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