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Racconti

Starne


giovedì 3 maggio 2018
    
Non mi ricordo più che anno era né che età avessi, forse nove o dieci anni. Abitavo a Greve in Chianti insieme a mio padre, mia madre e mia sorella. Avevo anche una sorella maggiore che era sposata ed abitava a Castellina in Chianti. Essendo io il più piccolo della famiglia ero il più coccolato ed anche il mio cognato Tiberio, marito di mia sorella maggiore, mi voleva molto bene.

Quell’anno, per la prima volta, Tiberio sarebbe venuto a prendermi la vigilia dell’apertura della caccia che allora sarebbe stata il 15 di agosto, per portarmi a casa sua ed insieme avremmo fatto l’apertura. Mi ricordo che Tiberio venne a prendermi a Caprolo, di sera, con una moto Morini 175. Salendo verso Panzano nonostante fosse piena estate dopo cena faceva freddo; ci precedeva un camion e noi standogli dietro sentivamo un bel calduccio che purtroppo finì quando lo sorpassammo. Arrivati a Castellina andammo a dormire, io nel lettino di mio nipote e lui nel lettone con mia sorella.


La mattina dell’apertura ci alzammo alle cinque ed io, mio cognato e suo fratello Pilade, con il cane Trotti (un bastardo mezzo pointer e mezzo bracco) ci incamminammo verso la pineta, luogo preposto per l’apertura della caccia.


L’altro fratello di mio cognato, Vasco, si era alzato prima per andare a “balzellare” la lepre al rientro dalla pastura e ci avrebbe raggiunti più tardi.


Mi ricordo che per la strada verso la pineta il cane Trotti rimase in ferma vicino una macchia di ginepro. Stava albeggiando ed i fucili erano scarichi. Mio cognato incitò il cane e, dopo alcuni secondi, Trotti si tuffò nella macchia e cominciò a guaire; allora ci accorgemmo che aveva puntato uno riccio. Lo lasciammo al suo destino e continuammo verso la pineta. In tutta la mattina non trovammo altro che un piccolo fagiano che, a cane puntato, Pilade padellò.


Verso le dieci del mattino ci raggiunse Vasco che aveva nel carniere una bella lepre uccisa al rientro nel sodo del Campanaio. Alle undici ci incamminammo verso casa abbastanza delusi poiché verso mezzogiorno e mezzo ci aspettava il pranzo, un piccolo rito.


Ora, dovete sapere, che quella di mio cognato era una tipica famiglia patriarcale, anche se il padre era morto da molti anni. La famiglia era costituita dai tre fratelli con le rispettive mogli ed un figlio per ognuno, la vecchia madre e naturalmente me. Il fratello più grande, Pilade, aveva il ruolo di capoccia, gli altri due fratelli Tiberio e Vasco (che era il più giovane) erano i “mezzomo”. La vecchia madre cucinava per tutti ed  invitava  a  tavola  quando  era  pronto.  Pilade  tagliava  il  pane  e lo distribuiva ai commensali me compreso, invitava a mescersi il vino e tutti in contemporanea iniziavano a mangiare. Non si poteva lasciare avanzi nel piatto, il pane soprattutto, andava preso quello che si prevedeva di mangiare. Assolutamente non si poteva lasciare nemmeno una mollichina.


Questo anche a casa mia, infatti mio padre e mia madre non lo permettevano e lo giustificavano dicendo che il cibo non va sprecato perché nel mondo ci sono persone che non ne hanno. Tutto il contrario di quello che succede oggi; si sprecano enormi quantità di cibo giustificandolo con la società dei consumi, ma questa è un’altra storia. Continuiamo con la caccia. Nel pomeriggio mia sorella mi impose di andare a letto per riposarmi con mio grande dispiacere. Naturalmente i tre fratelli tornarono a caccia e rientrarono, mi sembra di ricordare, con tre fagiani. Durante la settimana io andavo a caccia solo con Pilade e Vasco, che lavoravano facendo i turni, mai con mio cognato che, facendo il muratore, lavorava dalla mattina alla sera.


Un pomeriggio Vasco, il fratello più piccolo, tornò da lavoro presto e mi disse: “che fai Pirimpi (così mi aveva soprannominato e non so perché) vieni a caccia con me fino a buio?”.


“Certo” risposi io tutto contento e, preso il cane Trotti, ci incamminammo verso la pineta.


In pineta, che a quei tempi era molto bassa essendo stata piantata da appena un anno, non trovammo niente, ma appena oltrepassata, entrando in “ginepraia”, il cane rimase in ferma.


Una ferma bella, statuaria, con una zampa metà alzata, il muso diritto in avanti che fiutava la preda: sembrava un quadro di Rembrandt, bellissimo soltanto a vedersi. Dopo qualche secondo Vasco lo incitò, il cane si mosse ed un branco di starne si alzò in volo. Vasco si imbracciò e lasciò partire due colpi dalla doppietta. Due starne si fermarono in volo e una cadde a terra di botto, l’altra planando. Il cane corse verso di loro e ne abboccò una rimanendo fermo sul posto; era un “difetto” del cane, ogni volta ricercava la preda abbattuta, l’abboccava, ma non la riportava mai. Corremmo verso di lui, gli prendemmo la starna e lo incitammo a ritrovare l’altra, ma nonostante tutte le ricerche non riuscimmo a ritrovarla. Vasco non si scompose e disse: “adesso facciamo un giro più largo e dopo ritorniamo qui, penso che la starna sia ferita ed abbia pedinato lontano. La ricerchiamo dopo.”


Cacciammo ancora per un’ora e ritornammo in ginepraia, ma della starna neanche l’ombra. Proseguimmo quindi verso il Poggio Butini ed arrivati li Trotti rimase nuovamente puntato. Il branco di starne si rialzò in volo ed esplosi due colpi da Vasco, cadde una sola starna. Trotti corse in avanti ma fatti pochi metri ritornò indietro e rimase nuovamente puntato. Incitato da me e da Vasco si gettò nella macchia, ma fatto il giro, ritornò al punto di prima sempre puntato. Allora Vasco capì tutto ed incitando il cane, gettò un sasso nella macchia. Trotti si rigettò dentro ed uscì con una starna in bocca. Era la starna ferita in precedenza. Essendo già quasi buio ritornammo a casa con tre starne nel carniere. Io mi rammaricavo del fatto che la seconda volta Vasco ne avesse abbattuta solo una, ma lui da vero cacciatore mi disse: “non essere mai troppo egoista, pensa che quelle rimaste il prossimo anno coveranno e formeranno altri branchi, che potremo cacciare con soddisfazione”.


La saggezza degli anziani.



Marcello Barbetti


Tratto da RACCONTI DI CACCIA, PASSIONE E RICORDI Raccolta di racconti in ordine di iscrizione al 3° concorso letterario “Caccia, Passione e Ricordi” A cura di: Federcaccia Toscana – Sezione Provinciale di Firenze [email protected] www.federcacciatoscana.it

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1 commenti finora...

Re:Starne

ORamai per quante se ne dicano... la caccia vera e' finita!!!!Le starne son di plastica i fagiani puzzano di orina le lepri sono conigli ,ma dove la vedete piu' voi la vera caccia. Anche i cinghiali sono addomesticati e se non li spaventi coi cani li acchiapperesti con le mani!

Voto:

da Dononodon 06/05/2018 17.28