"Cinghiali, caprioli, daini e storni stanno contribuendo all’abbandono dei terreni agricoli nelle zone montane coltivate e curate fin dalla notte dei tempi dagli agricoltori". Lo dice così, chiaro e tondo Coldiretti Lucca, in una nota che porta il drammatico bilancio di questo declino: in vent'anni – dati Istat sull'erosione delle superficie agricole montane - si è persa la produzione del 54% delle superfici agricole (circa 32mila ettari che rappresentano il 58% del totale di campi ed appezzamenti utilizzati dagli agricoltori su tutto il territorio provinciale). E ancora: rispetto al 1990 nelle zone caratterizzate da paesaggio montano sono sparite 4.300 imprese agricole, praticamente un terzo di quelle dell’ultimo censimento che risale al 2010 (-65%).
I dati escono in un momento in cui l'emergenza ungulati ha ripreso la ribalta delle cronache, dopo la sequenza di incidenti provocati dallo scontro “accidentale” con alcuni animali selvatici che hanno provocato per fortuna solo danni materiali. Secondo la principale organizzazione agricola del territorio il numero ormai fuori controllo della fauna selvatica avrebbe un peso specifico molto elevato nell’abbandono nelle aree montane, marginali e svantaggiate dove la presenza dell’agricoltura e dell’impresa agricole gioca un ruolo fondamentale nel mantenimento dell’assetto e della stabilità idrogeologica dei terreni. Ad essere minacciate, oltre ad alcune produzioni vitali per l’azienda agricola come gli oliveti ed i vigneti che rappresentano un parte importantissima dell’economica agricola, ci sono anche tutte una serie di piccole e particolari varietà autoctone locali “recuperate” e valorizzate con fatica dagli agricoltori che ora rischiano di “sparire”.
“La minor denuncia di danni da parte degli agricoltori non significa – spiega Cristiano Genovali, Presidente Provinciale Coldiretti che precisa in merito ad alcune considerazioni dell’Assessore Provinciale all’Agricoltura, Diego Santi – che non esista più il problema o che si sia ridotto. La verità è che gli agricoltori non denunciano la maggior parte dei danni che subiscono a causa di un meccanismo burocratico che sconforta, è lungo ed è laborioso. La presenza dei cinghiali aiuta, ed è un fattore determinante, il processo di abbandono delle campagne. Coltivare nelle zone montane è oltre che più fatico, anche più dispendioso”.
Stando ai dati forniti dalla Regione sono 350mila gli ungulati presenti nella nostra regione tra cinghiali, caprioli, storni e mufloni; il 70% dei danni a coltura e produzioni agricole sono imputabili alle scorribande dei cinghiali che da soli rappresentano la metà della popolazione totale di ungulati. “I piani di prelevamento vanno rivisti così come è necessario attivare, la dove la presenza è reiterata, abbattimenti straordinari in difesa delle produzioni; – spiega Maurizio Fantini, Direttore Provinciale Coldiretti – la resistenza e sopravvivenza dell’agricoltura in particolari aree è messa a repentaglio con frequenza quotidiana ormai dalla presenza degli ungulati che distruggono in poche ore mesi di fatica ed investimenti. In questa fase l’azione dei cacciatori è fondamentale – ammette – per riportare in equilibrio la presenza della fauna”.