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News Caccia

La caccia sulle Alpi: i lavori della 51° Assemblea Nazionale UNCZA


mercoledì 6 luglio 2016
    

Dal 1 al 3 luglio 2016 si è svolta a Morgex, in alta Valle d’Aosta, la 51° assemblea nazionale dell’UNCZA. L’evento ha avuto inizio la mattina di venerdì 1 con l'insediamento della commissione CIC per la valutazione dei trofei ed è proseguito nel pomeriggio con il Consiglio nazionale UNCZA, al termine del quale vi è stata l'apertura della manifestazione Tour De L'Archet. La giornata si è conclusa con la conferenza e la proiezione di alcuni filmati a cura della guida alpina Marco Camandona.

Poiché l’Assemblea Nazionale UNCZA vuole, da sempre, essere anche un momento di approfondimento di argomenti tecnici inerenti la gestione venatoria alpina, nella mattinata di sabato 2 si è svolto, alla presenza di numerosi soci, un’interessante convegno dal titolo "Quale gestione venatoria per il futuro del camoscio alpino?”, a cui è seguita l’Assemblea Nazionale UNCZA e l’inaugurazione della Rassegna di Gestione Venatoria di Valdigne Mont Blanc.
La giornata domenicale ha invece offerto ai soci la possibilità di festeggiare in amicizia la loro passione comune e di effettuare alcune visite naturalistiche nella preziosa cornice della Alta Val d’Aosta.

In questa occasione, abbiamo domandato al Presidente Nazionale dell’UNCZA, Sandro Flaim, se i valori che hanno ispirato la nascita dell’UNCZA, ormai oltre 50 anni fa, sono ancora attuali e quale è la missione di UNCZA oggi.

“UNCZA è nata nel 1964 con lo scopo di promuovere e di valorizzare la caccia alpina, favorendo l’applicazione di pratiche venatorie e gestionali in armonia con la biologia e l’etologia della fauna selvatica. Una gestione, quindi, fondata sulla conoscenza scientifica della fauna selvatica e su un prelievo attentamente proporzionato alle consistenze, attraverso la caccia di selezione, oggi ben nota a tutti, ma all’epoca sicuramente un concetto innovativo per il nostro paese.

Ma accanto all’impegno sul piano tecnico, l’UNCZA è nata anche per promuovere la crescita culturale dei cacciatori e per conservare i valori e le tradizioni del mondo venatorio alpino.

La missione originaria di UNCZA è quindi più che mai attuale, anche se probabilmente oggi il suo compito è più impegnativo alla luce dei vertiginosi cambiamenti che la società moderna ha portato negli ultimi decenni al mondo della montagna e all’istaurarsi di una cultura globalizzata, ormai a livello mondiale, che porta alla rapida scomparsa di quelle connotazioni peculiari che fanno parte della storia delle genti alpine.

L’attività del moderno cacciatore alpino, soprattutto alla luce delle nuove tecnologie di ricerca che il mondo scientifico mette a disposizione, deve ormai essere considerata un importante strumento al servizio della gestione faunistica ed ambientale; un ruolo impegnativo che presuppone la presa di coscienza da parte di tutti noi di far parte, con la pratica venatoria, di un complesso meccanismo di operazioni tecniche, dove la nostra passione viene messa al servizio dell’interesse comune per la conservazione del patrimonio ambientale e faunistico”.

Convegno "Quale gestione venatoria per il futuro del camoscio alpino?”


Sabato mattina 2 luglio, dopo i saluti di Carlo Cappellari, Presidente FIdC della Valle d’Aosta, di Mario Artari, Presidente Sezione Cacciatori di Morgex e di Sandro Flaim, Presidente UNCZA, ha preso inizio un interessante convegno sul tema “Quale gestione venatoria per il futuro del camoscio alpino”.

Il primo intervento è stato quello di. Luca Pellicioli, coordinatore della Commissione Ungulati UNCZA, che ha ben presentato la sintesi dei dati raccolti sulle consistenze stimate e sui prelievi effettivi del camoscio su tutto l’arco alpino nell’arco di 6 stagioni venatorie, dal 2009 al 2014. Dopo aver spiegato le modalità organizzative e operative utilizzate la raccolta dei dati (che è stata svolta anche per cervo e capriolo), Pellicioli ha presentato i dati raccolti nella loro totalità e organizzati in tre macro-regioni alpine. A conclusione dell’intervento, è stata evidenziata la volontà della Commissione Ungulati di continuare in questo importante lavoro di raccolta dati fino a conseguire una serie completa di 10 anni di dati.

Per maggiori dettagli su questo intervento è possibile leggere l’intervista a Pellicioli, riportata di seguito.

L’intervento successivo è stato quello di Silvano Toso, ex direttore ISPRA, che ha sintetizzato ‘Le linee guida per la gestione degli ungulati’ pubblicate da ISPRA nel 2013. Dopo aver descritto la struttura e l’organizzazione delle Linee Guida nel loro complesso e in particolare nell’ottica di gestione del camoscio, Toso ha illustrato in dettaglio le schede di approfondimento presenti nel manuale e si è soffermato sull’ipotesi del prelievo venatorio dello stambecco, che dagli anni ’80 presenta un incremento medio anno pari al 5%, come una scelta teoricamente possibile, ricordando anche il lavoro del gruppo di studio istituito nel 2007 dalla Provincia di Sondrio con la partecipazione di ISPRA che ha delineato le migliori opzioni di conservazione e di gestione di questa specie. Toso ha concluso il suo intervento con una speranza per il futuro: in una società complessa come la nostra dove il rapporto uomo-fauna vive di molte pulsioni, spesso contrastanti tra loro, la sintesi politica, che deve tradursi nelle regole della gestione, ha la necessità di trovare un binario su cui incamminarsi, una sorta di linea guida culturale alla quale debbono sempre essere ricondotte le decisioni sui diversi aspetti specifici.

Il terzo intervento “Chi pesta i piedi al camoscio alpino?”. è stato tenuto da Piergiuseppe Meneguz dell’Università di Torino che ha esposto un’analisi a 360 gradi sui fattori di maggior disturbo al camoscio alpino. Tra le attività sportive e ricreazionali in montagna ha sottolineato come i mountain-biker siano uno degli elementi di maggior disturbo per i camosci che subito fuggono dai pascoli, seguito dal parapendio di cui spaventa particolarmente l’arrivo dall’alto, mentre gli escursionisti, soprattutto se rimangono nei sentieri, arrecano un disturbo molto lieve così come, per evidenti ragioni, le attività di arrampicata. L’elemento di maggior disturbo, che suscita un vero panico tra i camosci e li tiene lontani da pascolo per l’intera giornata, risulta invece essere il volo degli elicotteri. Meneguz ha quindi illustrato le problematiche dovute alla competizione a livello trofico che si verifica quando una o più specie abitano lo stesso habitat e utilizzano risorse comuni, e a livello sanitario quando specie differenti possono sviluppare una stessa patologia. A livello di competizione interspecifica ha evidenziato come quella storica con il muflone, specie oggi in forte diminuzione in quanto preda eletta dai lupi, sia ormai poco preoccupante, mentre quella con il cervo stai diventando un vero e proprio problema da non sottovalutare, soprattutto sugli Appennini.

Il penultimo intervento è stato quello esuberante di Franco Perco sul tema “Aspetti gestionali pratici e di sostanza”. In un immaginario scenario futuribile di un’Assemblea UNCZA 2046, Perco ha ipotizzato due possibili evoluzioni della caccia e del camoscio stesso, una positiva e una negativa, analizzando le implicazioni di entrambe le ipotesi. Il suo intervento si è concluso evidenziando la necessità di istituire delle Riserve comunali di caccia per ottimizzare il prelievo e la gestione del camoscio in ambito alpino.

Infine Sandro Lovari, dell’Università di Siena, ha presentato un’interessante relazione sul tema “Cosa dovremmo ancora sapere sul camoscio?”. La stima attuale del camoscio sulle Alpi si attesta intorno ai 150.000 soggetti e questo elevato numero ne fa una specie di grande interesse scientifico, oltre che gestionale e venatorio. Del camoscio conosciamo ancora molto poco, basti pensare che non abbiamo dati sulla sua storia evolutiva e per giustificare quella che sembra essere stata una sua apparizione improvvisa. Lovari ha quindi presentato un’interessante analisi sulle pubblicazioni scientifiche sul camoscio dal 1967 al 2015 evidenziando come siano significativamente aumentate dal 2007, raggiungendo lo scorso anno le 60 opere. La parte finale del suo intervento ha ripreso ed analizzato il tema, spesso dibattuto, che il prelievo di femmine allattanti produca un danno minore rispetto al prelievo di femmine asciutte. Il fatto però che qualunque analisi scientifica a tale riguardo appaia di notevole difficoltà perché si deve basare sulla cattura/marcatura di un numero sufficiente di femmine allattanti con i loro piccoli, rende impossibile giungere a delle conclusioni, così come le simulazioni al computer sulle dinamiche delle popolazioni non riescono a tener conto di tutti gli elementi che si presentano in natura, offrendo una fotografia della situazione sicuramente sfalsata.


Intervista a Luca Pellicioli,
Medico Veterinario (Studio AlpVet)
Coordinatore Commissione ungulati UNCZA


Qual è il rapporto oggi tra animali selvatici e il territorio alpino?

Stiamo attraversando un periodo di grandi trasformazioni sia nell’ambito dell’attività venatoria, sia della cultura di montagna, ma ritengo che queste trasformazioni possano essere anche una grande opportunità. Dal punto di vista strettamente faunistico, gli ultimi decenni si sono caratterizzati da un incremento di ungulati selvatici, affiancato da una serie di problematiche e criticità legate al mondo della montagna e in particolare al comparto zootecnico e a nuovi scenari che si affacciano, quali il ritorno dei grandi predatori, come il lupo e l’orso. In questo contesto appare sempre più importante sviluppare nuovi modelli di sostenibilità e miglioramento degli habitat in logiche faunistiche.

I cacciatori possono svolgere un ruolo nelle politiche di conservazione faunistica?

In una visione Europea del termine ‘conservazione’ è implicito il concetto di gestione e di protezione e quindi anche quello di una gestione attiva delle popolazioni, compresa l’attività di prelievo sostenibile. I cacciatori quindi svolgono in prima persona un’attività di conservazione attiva a tutela del patrimonio faunistico.

I dati sulle stime e sui prelievi del camoscio sulle Alpi presentati oggi a che periodo si riferiscono? Come sono stati raccolti?

I dati presentati oggi sono la sintesi di un complesso lavoro di raccolta dati finalizzato a contribuire alla definizione delle stime di consistenza degli ungulati selvatici sulle Alpi, iniziato nel Marzo 2012 dalla Commissione Ungulati UNCZA, di cui sono attualmente il coordinatore, e terminato nel Maggio 2016. Questa indagine ha raccolto complessivamente i dati di 6 stagioni venatorie dal 2009 al 2014. Abbiamo stimato la consistenza dei capi a livello provinciale, in base ai censimenti effettuati dai Comprensori Alpini di Caccia (CA), e quella dei prelievi effettivi. Dopo aver valutato più ipotesi, si è scelto di utilizzare una scheda semplificata per la raccolta dei dati, per poter così uniformare il flusso dei dati ed essere sicuri di riuscire ad ottenere il risultato prefissato. La nostra area di studio ha coperto l’intero arco alpino diviso in 24 province, successivamente raggruppate in 3 macro-regioni alpine: zona occidentale (Cuneo, Torino, Biella, Savona, Imperia, Verbano Cusio Ossola, Valle d’Aosta, Vercelli); zona centrale (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Sondrio, Varese) e zona Orientale (Belluno, Bolzano, Gorizia, Pordenone, Trento, Treviso, Trieste, Udine, Verona, Vicenza). Ogni referente della Commissione Ungulati UNCZA (uno per ogni provincia) ha svolto un’azione fondamentale di verifica dei dati raccolti sul proprio territorio, tramite grazie al supporto dei servizi faunistici delle provincie, quello dei Comprensori Alpini di caccia e dei tecnici faunistici, comunicandoli successivamente al Coordinatore della Commissione. I dati raccolti, nel corso del lungo periodo di studio, sono stati presentati alla Commissione Ungulati grazie a report intermedi e riverificati dai singoli referenti.

Durante la 61° Assemblea Generale del CIC, che si è tenuta a Milano nell’Aprile 2014, ho presentato un report preliminare sui dati raccolti.

Nel Maggio del 2016, si è concluso il primo ciclo di raccolta dati e il nostro obiettivo futuro è quello di continuare nella raccolta dei dati di altre stagioni venatorie fino ad arrivare ad una serie completa di 10 anni.

Per concludere, alla luce dei dati che avete raccolto con questa importante analisi, qual’è la presenza del camoscio sulle nostre Alpi e quali sono stati i prelievi?
La nostra analisi, durata 6 anni, ha coperto interamente i comprensori alpini di caccia delle 24 provincie dell’arco alpino e ha evidenziato complessivamente un incremento costante dei capi stimati: dal 2009 con una presenza di circa 119.000 capi, sino al 2014 con quasi 125.000 capi, pari ad una crescita del 4,65%.

Il prelievo venatorio, nello stesso periodo e area di riferimento, ha avuto un andamento pressoché lineare, con una media annuale di circa 13.000 soggetti. Mettendo in parallelo i due dati abbiamo ottenuto un interessante quadro complessivo con un indice di prelievo lievemente superiore al 10% come media. Il dato dei capi prelevati assume un interesse particolare, non solo in relazione a quella che è l’attività strettamente faunistica-venatoria, ma anche in riferimento al grande capitolo di interessi emergenti legato alla filiera eco-alimentare. Il tema delle carni di selvaggina è infatti sempre più attuale ed è grande opportunità per il mondo venatorio, anche perché esistono precisi riferimenti normativi comunitari che permettono la commercializzazione da parte dei cacciatori formati della carne di selvaggina.

 
Patrizia Cimberio

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